IT – Alieni

 

IT – Alieni

Credo che l’obiettivo principale per chi assiste allo sfacelo della nostra civiltà col proposito di arrestarlo sia quello di scoprire in che modo e attraverso quali misteriosi passaggi i burattinai del Nuovo Ordine Mondiale siano riusciti a convincere centinaia di giovani italioti ad inginocchiarsi nelle strade per onorare la memoria di un nero americano assassinato da un poliziotto bianco, e  ne abbia invece ottenuto l’indifferenza allorché un orco nero, solo due anni fa, aveva fatto a pezzi una nostra connazionale bianca stipandola dentro un trolley.

Si pone analoga questione per l’iconoclastia che si è abbattuta, feroce e fitta come una grandinata d’agosto, sulle targhe e sui monumenti eretti a ricordo dei nostri trascorsi in  diverse località del  Paese.

Ad onta di tutti coloro che prendono di mira i teorici del ‘gomblotto’, sghignazzando sull’evidenza didascalica di certi intrecci, suscita molta inquietudine il fatto che, nella stessa unità di tempo, come per ottemperare agli ordini di un unico regista, si siano dichiarati apertamente i sostenitori  (inconsapevoli, perché italioti) della sostituzione etnica modello  Kalergi e quelli (inconsapevoli, perché it-alieni) che si privano del futuro distruggendo il proprio passato. Tanta perfezione nel combinare i due aspetti salienti della strategia NOM, pur non essendo casuale, procura molto disagio a quanti denunciano l’estrema pericolosità degli eventi che si stanno srotolando sotto i loro occhi: è il disagio avvertito dalla signora Rosemary – rimasta incinta di un esserino alieno mentre dormiva – allorché, nel film di Polanski, segnala, angosciata, al marito e ai vicini di casa, i dolori lancinanti che ella accusa a causa delle gravidanza, ma viene, proprio da loro che gliel’hanno procurata di nascosto, fatta passare per pazza.

Una piccola frazione dell’opinione pubblica, destinata a guadagnare altro spazio, nega ormai che si tratti di coincidenze episodiche. Il problema, semmai, è  – come dicevo all’inizio – quello di capire come abbia fatto tutto questo veleno ad entrare nella testolina di così tanti giovani, e come molti di loro possano vantarsi di esser diventati delle ‘sardine’: un atto di grande onestà intellettuale che hanno compiuto (ovviamente senza rendersene conto, essendo italioti e it-alieni) perché il nome evoca  le dimensioni lillipuziane, la passività grigia del branco, l’essere stati programmati per obbedire  tutti insieme ad un impulso irresistibile, senza che insorga l’obbligo di domandarsi dove tutto questo finisca.

Al riguardo, è lecito azzardare qualche risposta. Due, per l’esattezza. La prima è che il grosso l’ha fatto la Scuola, con l’ablazione sistematica della disciplina, dell’applicazione, del sacrificio da qualunque attività che implichi l’impiego dei contenuti mentali. Il ‘pensiero debole’ è stato lo strumento e, al tempo stesso, il fine strategico di una Scuola appositamente attrezzata dalle elite per inserire nella società degli individui che dicessero sempre sì o no a comando, che avanzassero allineati e coperti come i martelli da carpentiere che sfilano da anni nel video di ‘The Wall’. Che vivessero, cioé, un’esistenza automatica. La rifinitura di tale progetto é stata assegnata ai media. Cominciò Berlusconi con la sua TV brulicante di sciacquette e di nani. E hanno continuato tutte le altre emittenti, compresa mamma RAI, nel porre graziosamente a disposizione del pubblico, una sorta di pulpito colorato da dietro il quale si affacciano continuamente i mughini, i vairo, i cazzullo, le pairetti, i librandi, tutto il circo barnum dell’informazione taroccata e della disinformazione compiacente, che sono l’una l’interfaccia dell’altra.

La TV è anche questo: l’esenzione dall’obbligo di pensare. Fanno tutto loro. Tu, piccolo it-alieno con velleità da italiota, puoi disporre di tutto il tuo tempo che vuoi per andare a pisciare sulla statua di Garibaldi o per cercare un nero a cui chiedere scusa per i torti che anch’ io, autore di questo pezzo, gli ho fatto.

Lui forse non capirà: ma non è la cosa più importante.

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