Il Santo Graal dell’evo moderno è ciò che ci si troverà tra le mani tremanti per l’emozione quando realizzeremo la quadra tra cos’è la Destra e cos’è la Sinistra., ma è possibile che il portento avvenga già soltanto per essere stati capaci di distinguere, come i marmittoni al secondo giorno di naja, tra destra e sinistra, quelle con l’iniziale minuscola, avendo un’idea, anche un po’ appannata, di dove si trovi la destinazione finale.
L’impressione è che gli sforzi profusi nei nostri cenacoli, per cercare di capire su quali coordinate si sviluppi la Storia corrente, siano in qualche misura vanificati dalla persistenza nella nostra mente di concetti scaduti o disposti uno accanto all’altro, uno sopra l’altro, alla sanfason: la paura, cioè, di persone che non ci stanno a morire con dei dubbi dentro e che non vogliono trovarsi da un momento all’altro da soli in una piazzola d’emergenza dell’autostrada col pullman che se n’è già andato.
Semmai ci fosse bisogno, l’Ucraina è la prova di quanto disordine ancora brulichi sotto il cielo. Ci siamo tenuti stretti nella pietà verso gli abitanti di Mariupol, macellati dall’artiglieria russa, perché quello ucraino è un governo fantoccio creato nei laboratori del NWO, che ha preso il potere col colpo di Stato di otto anni or sono, ma l’obiezione lascia tutto il tempo che trova, e forse anche qualcosa di più, se è fatta da chi dimentica che Zelenskj è divenuto presidente dell’Ucraina a seguito di una regolare consultazione elettorale, per quanto possa esserlo quella “drogata” dai cospicui finanziamenti del signor Soros e dalla propaganda yankee riversata su quel Paese in quantità industriali, e da chi attribuisce scarsa importanza al fatto che in Italia – più e peggio che in Ucraina – tutto è cominciato col golpe giudiziario del ’92 ed è proseguito per gli ultimi trent’anni, con tanti piccoli colpi di Stato, controllati come le esplosioni che servono per far crollare su se stessi gli edifici in disuso, fino a che non si è arrivati – tatatata”, Beethoven – all’accoppiata Draghi-Di Maio, il massimo del minimo di una falsa democrazia, quella in cui l’antipolitica professata da un “vile affarista” si è saldata con l’assenza della politica incarnata da una marionetta che ripete, modulando abilmente il movimento della bocca e degli occhi, le parole del ventriloquo, di un altro comico che ha preferito ai piacevoli rischi della ribalta, quelli del buen retiro dietro le quinte.
La questione se parteggiare per Putin contro l’Ucraina sia una scelta di destra, ”occasionalmente” molto simile a quella dell’ANPI, si pone, a mio modesto parere, solo a determinate condizioni: 1) se si è sottovalutata l’ingerenza degli USA negli affari interni del nostro Paese a partire dalla Liberazione, anche qui con delle soluzioni chirurgiche che hanno tuttavia provocato effetti su larga scala, come il rogo di Bescapè o l’assassinio di Moro diretto da un uomo dell’intelligence amerikana, Steve Pieczenik, in cabina di regia (a parte Mani Pulite, mascherata, nelle sue enormi implicazioni politiche, dal compiacente turbinio delle toghe in quel di Milano); e 2) se, inoltre, mettersi dalla parte dei Russi non significhi avere ignorato che quello di risolvere con l’impiego dei carri armati i loro complessi (di nazione perseguitata dalla NATO) sia un vizio antico, documentato dall’invasione dell’Ungheria del ’56 e dai fatti di Praga del ’68.
Dato che queste due condizioni non sussistono e non c’è, per soprammercato, alcuna ragione per ritenere che il signor Putin – un grigio colonnello del KGB che si è fatto strada verso l’autocrazia quasi come Stalin, strisciando sottocoperta per sottrarsi alla vista di competitori molto più titolati di lui – si sia assunto il compito di cominciare con l’Ucraina per poi cercare di ribaltare il NWO (il fulcro di tutta la cosmogonia allestita da Dugin), viene, di conseguenza, a mancare ogni giustificazione per gli anatemi lanciati contro gli ucraini che con la loro resistenza impediscono agli invasori di porre fine alla guerra (anzi, no, all’”operazione militare speciale” che sembra essere qualcosa di molto più nobile di una semplice guerra), e per i bombardamenti russi, il prezzo, secondo alcuni, della loro sottomissione ai “nazisti”.
Nessuno in realtà riflette sull’oscena duttilità di questo termine. Nazista il battaglione “Azov”? E il “Wagner Group” allora cos’è? Nazista è la suocera che attenta alla serenità della coppia, l’arbitro che fischia un rigore contro all’ultimo minuto, tutto ciò che, relativamente a determinate situazioni, viene avvertito come il “male assoluto”, a rimorchio di un altro termine, “fascista” che dove lo metti, lo metti, va sempre bene.
È curioso come, trascorsi quasi due mesi dal primo missile, l’opinione pubblica si sia come assuefatta alla contabilità dei morti e alle grandi manovre effettuate sulla carta geografica dagli appassionati di Risiko. Passi per gli adolescenti, ormai incapaci di vedere altra realtà da quella riprodotta dalla playstation o incastrata tra le barzellette dello smartphone. Il problema è la celata sporca di residui ideologici, come piccole cacche di uccello, attraverso la quale molti adulti leggono il mondo esterno e lo interpretano. È la prima volta, dai preliminari della seconda guerra mondiale che due Paesi (di cui uno troppo più grande dell’altro) si fronteggiano al centro dell’Europa per un problema legato alle inquietudini, vere o presunte, di una minoranza linguistica, se si fa eccezione per le terribili convulsioni dell’ex Jugoslavia che risalgono ad altre cause.
I precedenti – di una Storia che concede un’infinità di repliche, attingendo, però, di volta in volta ad un guardaroba diverso – fanno intendere che tale problema viene di solito ingigantito dal Paese che può trarne profitto per allargarsi: così la Germania coi Sudeti, per citare il caso più noto, così l’Alto Adige se, per assurdo, lì si parlasse russo e ai confini, invece dell’Austria, avessimo la Russia di Putin in cui, mutatis muntandis, si è trasfusa la vocazione imperiale dell’Unione Sovietica.
A me pare che per il plausibile desiderio di liberarci dalle pastoie della NATO e per un’Europa nata storta, più di qualcuno continui ad accarezzare l’idea – insalubre – che il rimedio consista in un intervento da fuori, che rimetta in discussione – per i traumi a catena che sarebbe in grado di provocare – le fondamenta fatiscenti non solo dell’UE governata dai salumieri, ma anche quelle di quest’Italia che si offre come cavia a chiunque le chieda di mettere in atto delle politiche regressive contro il lavoro, contro i diritti sociali, contro l’interesse nazionale, contro se stessa,
Non c’è solo l’Ucraina. Ci sono i Corsi che sgomitano. C’è la Svezia che brucia per aver prestato orecchio ai promoters dell’integrazione, un’altra bella trovata di quella genia di traditori e di idioti, assai numerosa anche qui in Italia, che lavorano per intossicare, per corrodere, per spazzare via quel che resta di una civiltà millenaria. Tanti piccoli incendi qua e là, e il rombo dei natanti che arrivano di continuo a Lampedusa per portarvi il “meglio” dell’Africa. L’acqua e il fuoco. Un sottile filo rosso, teso tra l’estremo sud e l’estremo nord dell’Europa. I tarocchi dicono che bisogna cominciare a fare esercizi di riscaldamento, altro che l’arcangelo Putin.
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