L’esproprio neoliberista della casa nell’Europa green delle multinazionali
Il problema dell’Unione europea è insito nella filosofia che arma i suoi provvedimenti. Alla cui base c’è il concetto d’una completa privatizzazione dei servizi abbinata all’eliminazione dei limiti alla grande impresa sostitutiva dello Stato: quindi l’eradicazione di ogni costo sociale. In quest’ottica la piccola proprietà privata, sia essa una casa od un laboratorio, un fondo agricolo, un capannone, un ufficio, vengono percepiti come limite al “grande privatizzatore”; quindi come un “costo sociale” perché impegnano lo Stato nel rapporto fiscale con una moltitudine di soggetti. L’efficienza fiscale che sta perseguendo l’Ue è oggi la stessa che caratterizza gli Usa dagli anni della “grande depressione”, ovvero concentrare i beni immobili e le terre nelle mani di pochi soggetti fiscali; in modo che lo Stato possa tagliare i costi della macchina fiscale al punto di privatizzarla completamente, affidandola al sostituto fiscale principe, ovvero la grande banca. Quest’ultima va così a calcolare le tasse su reddito ed immobili per pochissimi ricchi, e ne versa la parte competente allo Stato dopo aver stornato i propri costi di gestione del “conto fiscale”. In questa visione il pulviscolo immobiliare italiano viene visto alla stessa stregua dei vari costi sociali previdenziali e sanitari, che l’Ue ci chiede di privatizzare ed affidare ai grandi gruppi assicurativi privati, controllati dalle banche private che pattuiscono le tasse dei pochi con lo Stato. Ecco perché il grande evasore riesce “saldo e stralcio” a condonare tombalmente le proprie posizioni irregolari: deve per esempio dieci milioni e grazie ai propri “sostituti” (banca e studi legali commerciali) si può accordare per meno della metà, lo Stato accetta ed il “grande evasore” è rispettato dal sistema. Diversamente la moltitudine dei cittadini contribuenti deve al fisco l’intera somma d’un presumibile errore formale e sostanziale, gravata anche di tutte le sanzioni e gli interessi. Questa visione parte dal presupposto che i privati sono più efficienti dello Stato anche nella gestione fiscale: tale concezione venne presentata nel 1929 nell’opera “I fallimenti dello stato interventista” di Ludwing Von Mises, che invitava a sostituire i servizi pubblici con quelli privati.
La riduzione delle spese sociali abbinata alla falcidie della piccola proprietà privata sono i due pilastri della cura neoliberista: Friedman suggeriva di attuare programmi volti ad una riduzione delle spese sociali, tagliando i fondi per il sistema sanitario e pensionistico, accompagnando tali riforme con una riduzione delle tasse per i grandi gruppi che andavano ad acquisire le proprietà private dei cittadini.
Friedman da principio venne ascoltato solo in alcuni stati degli Usa, quelli dove insistevano metropoli come New York e Washington, e negli stati dove avveniva la razzia della piccola proprietà contadina espropriata dai grandi gruppi, come del resto ci racconta Steinbeck (l’autore di Furore). All’epoca l’economia mondiale provata dalla “grande depressione” del 1929 abbracciava le teorie di Keynes, e le manteneva immutate nelle politiche attive e di programmazione degli Stati fino al 1973. Dal 1929 al 1973 lo Stato occidentale ha promosso politiche di miglioramento delle condizioni sociali, di salvaguardia dei servizi essenziali e della piccola proprietà privata. Ma il 1973 consente un giro di boa in forza d’una crisi petrolifera che ridà forza alle politiche economiche delle multinazionali occidentali, dei grandi privati. Iniziano ad essere eletti in Usa ed Inghilterra i discepoli del “pensiero neoliberista” della Scuola di Chicago, i consiglieri di Margaret Thatcher e Ronald Reagan sono tutti discepoli di Mises e nemici della piccola proprietà privata. Inizia così lentamente a realizzarsi anche nei paesi europei una politica tesa ad espropriare i tanti in favore dei pochi: la semplificazione dei costi fiscali per le multinazionali oggi sta trasformando anche l’Italia.
Basti solo pensare al fatto che Bill Gates ed Elon Musk hanno potuto comprare in Italia grandi strutture alberghiere con la benevolenza del fisco europeo, dell’Agenzia delle Entrate e del Territorio, e con la clausola che in caso di fallimento dell’Italia i loro beni non verrebbero mai toccati: su tutti gli altri privati in caso di “default” graverebbe l’ipoteca europea paventata in epoca Monti. Da questa visione discendono quelle che in gergo appelliamo come “procedure cautelari”, che prevedono l’ipoteca preventiva sugli immobili che hanno beneficiato dei bonus 110% e 90%. L’ipoteca serve a garantire banche, Agenzia delle Entrate e creditori vari, e rimarrà iscritta fino a che non verrà appurata la congruità della spesa e, soprattutto, se il condominio o il singolo proprietario, ne potevano effettivamente beneficiare. A sindacare su tutta la procedura, come da sentenza della Cassazione, tocca all’Agenzia delle Entrate, che dovrà appurare che i bonus abbiano raggiunto soggetti con immobili privi di abusi, soprattutto persone fisiche in regola col fisco, non segnalate alle centrali rischi bancarie e che non abbiano riportato condanne penali, soprattutto per evasione fiscale. In pratica la Cassazione ha ribadito sui vari bonus i principi che si applicano sul “reddito di cittadinanza” che, ovviamente, non viene elargito a pregiudicati o a soggetti che lavorano a nero. Parimenti, l’Agenzia delle Entrate chiede la restituzione dell’importo del bonus ai proprietari di immobili non meritevoli, come già fa l’Inps per le procedure di restituzione dei soldi a chi ha indebitamente percepito il “reddito di cittadinanza”. Nei casi più sciagurati già è possibile prevedere il pignoramento dell’immobile, e poi la messa all’asta. Ma cosa succederà quando i sindaci che giocano a fare i più bravi della classe (Gualtieri e Sala) faranno partire gli accertamenti sugli immobili non conformi alle regole europee: c’è già chi prevede l’ecatombe sanzionatoria, per importi che andranno dai 10mila euro ai 50mila, a cui andrà comunque ad aggiungersi l’obbligo entro un certa data di “messa a norma nella classe energetica e nelle norme Ue”.
Di fatto è decollato l’esproprio immobiliare europeo, a beneficiarne saranno le multinazionali finanziarie, le stesse che negli Usa posseggono il 90% del patrimonio abitativo delle grandi città (quelle che oggi sondano la situazione immobiliare tramite agenzie di “real estate”). Obiettivo? Quando decideranno di rinnovare un quartiere o di costruirci un centro commerciale, metteranno per strada tutti i condomini (ormai affittuari) con la forza pubblica: è un vecchio libro poi romanzo americano, ed oggi andrà in scena nell’ex nostra Italia.
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