Non erano aquiloni. Erano aerei, diretti verso le città del nord allo scopo di bombardarle, che lasciavano cadere sotto di sé munizioni e fucili per i partigiani che li raccattavano, era come quando ne passava uno ogni tanto, negli anni ’60, sulle spiagge tra Cesenatico e Cervia per lanciare sui bagnanti dei formaggini griffati, appesi a dei piccoli paracadute, era festa. Però per i soloni dell’ANPI – quest’ente inutile, che viene tenuto artificialmente in vita per perpetuare l’odio – quella dell’Ucraina nei confronti delle armate russe non è Resistenza, perché riceve un sostanzioso ‘aiutino’ da parte della NATO: come se, senza gli Angloamericani che ‘presidiavano gli ingressi’, sarebbe stato facile per loro mettere in scena la porcheria di piazzale Loreto o, senza il contributo dei titini, soldataglia straniera, avrebbero potuto cimentarsi nella sistematica eliminazione degli Italiani dalle regioni prospicienti il confine orientale.
La celebrazione del 25 aprile è stata comunque un atto di cosmesi propagandistica, quello di tagliare a fette e a pezzi la Storia secondo le indicazioni del committente, giacché, in realtà, la Resistenza cominciò con l’arrivo in Sicilia, ancor prima della caduta di Mussolini, delle quinte colonne capitanate dalla mafia, e proseguì, a guerra finita (siamo nel ’49 inoltrato), con la notte di San Bartolomeo dei fascisti superstiti, gente comune, il placido anonimato del vicino di casa, sui quali si abbatté l’onda assassina della Volante Rossa.
Ciò detto, giusto per fare un po’ di ripasso, dichiaro di non avere alcuna intenzione di farmi coinvolgere nella diatriba tra chi, a sinistra, tifa per la Russia perché l”Ucraina’ (è una licenza che si può tranquillamente concedere ad una mente superba come quella di Vauro) è ‘fascista’, e chi, a destra – chiedo venia per la toponomastica un po’ retrò – vede in Putin una sorta di giustiziere, intento a spazzare via dall’Ucraina una banda di pervertiti coi tacchi a spillo e con la ‘guepiere’ nera, capeggiata da un cocainomane, la vetrina di tutte le aberrazioni che trascinano verso l’abisso i Paesi dell’Occidente.
Il miracolo, solo apparente, è che, nel romanzare quest’evento, altrimenti troppo banale (il tentativo da parte di Putin di riprendersi una costola della vecchia URSS che stava decantando in direzione della UE e della NATO, o quanto meno di sottrarle i pezzi strategicamente più importanti) una certa Destra e una certa Sinistra – quelle italiane – si sono trovate sulla stessa lunghezza d’onda, ma ha suscitato ancora più impressione negli osservatori più attenti – fra i quali mi sono trovato quasi per caso – il fatto che nelle loro libere esternazioni il termine ‘fascista’ sia stato adoperato per significare delle proprietà negative, mentre non consta, né a destra, né a sinistra, che qualcuno abbia dato del ‘comunista’ ad un ex ufficiale del KGB che ha ereditato dall’URSS il vizio di risolvere le pendenze condominiali coi carri armati: eppure non sembra essere cambiato nulla dai tempi in cui il Cremlino li utilizzava per ‘normalizzare’ la periferia dell’ impero, con la scusa che era infestata da elementi controrivoluzionari e da agenti al soldo della Reazione internazionale.
Qualcuno, dei pochi che pagaiano sulle rapide di Facebook senza andare giù con la testa, ha scritto che l’unica differenza tra l’imperialismo americano, che ha riverberato sulle vicende dell’Ucraina, e quello russo, sta nel fatto che l’uno è viscido quanto l’altro è violento. Quoto, ma non intendo discostarmi dall’oggetto inizialmente pensato per quest’articolo, un interrogativo che si presenta sulle prime facile facile: non su come il mainstream, coi suoi potenti tentacoli, che s’infilano nei media, nelle scuole, nelle università, nelle famiglie, sia riuscito a trasformare il fascismo nel sinonimo del ‘male assoluto’ (sino al punto da farsi scudo di Badoglietto Secondo, al secolo Gianfranco Fini, allora, però, si trattava di un’operazione politica di vasto respiro che metteva insieme grandi apparati e grandi risorse, il fissaggio definitivo dell’Italietta minore sulla zolla atlantica), ma su come anche coloro che stanno fuori e lo osteggiano ardentemente, abbiano finito per accettare di buon grado tale virtuosismo semantico, classificando, ad esempio, come fascisti e come nazisti meritevoli di schiattare i militi del battaglione Azov, asserragliati nell’acciaieria di Mariupol, quelli che solo quarant’anni fa, la durata di un lampo, sarebbero stati dei patrioti.
Forse la ripetizione a tambur battente di un messaggio, il tempo che lucida le fandonie facendole brillare come verità rivelate: ma questa spiegazione, quand’anche non fosse errata, sarebbe largamente insufficiente. C’è a monte certamente un progetto, di quelli che prevedono una variante b) e una variante c) a seconda di dove spira il vento, roba per professionisti, tant’è che l’odio, il più nobile dei sentimenti ex aequo con l’amore con cui rappresenta la feconda dualità dell’intero universo, uno dei due motori della Storia, andava bene finché si trattava di giustificare l’olocausto dei fascisti, quelli che andavano in giro senza pistola, dei Giovanni Gentile in ventiquattresimo o in ottantesimo, che avevano solo la colpa di pensare, di non essere come loro, ma è diventato addirittura un reato – unico caso dacché esiste il Diritto, almeno dalle nostre parti, in cui un sentimento ha assunto rilevanza penale già soltanto nel trasparire o nell’essere appena accennato – da quando i fascisti sono scomparsi dalla circolazione, ma si è diffuso il timore che potrebbero ritornare, richiamati dal lezzo della democrazia formale in putrefazione, della democrazia che non c’è.
Personalmente -in questo mondo divenuto all’improvviso troppo piccolo per non essere, gli uni schiacciati contro gli altri, un posto molto pericoloso, e in una società, come questa, che abroga le differenze con la pretesa di renderci tutti uguali come tanti fogli extrastrong sputati fuori da una fotocopiatrice impallata – ho il forte sospetto che l’annichilimento ‘ope legis’ dell’odio sia in realtà un trucco per conferirti la mansuetudine della pecora, mentre a lor signori, classe privilegiata, viene riconosciuta intatta la facoltà di nutrirsene.
Perché, diciamolo chiaramente, chi ti chiede di scegliere, in piena estate, tra il condizionatore acceso e la pace, mentre firma l’ordinativo per cambiare tutti gli erogatori di aria fredda nei locali della Presidenza del Consiglio, non è scemo: ti odia.
Lui – il Governo – che fa entrare quasi settantamila profughi dall’Ucraina con la promessa di assisterli con una propina mensile di novecento euro mensili, con l’assistenza sanitaria gratuita, e con l’impegno di procurargli al più presto un lavoro, non può non sapere che la fila degli Italiani per un piatto di pasta scotta alla Caritas si allunga ogni giorno di più, e che aumenta in misura esponenziale, quasi ogni ora, il numero dei disoccupati.
A Lampedusa arrivano cantando e danzando, è l’unico Paese al mondo, il nostro che è privo di frontiere, un laboratorio per sapere l’effetto che fa, come in una vecchia canzone di Enzo Jannacci, ma la Francia, dove il voto degli immigrati ha finora ostacolato l’avanzata della Destra nazionale, lo sa, e lo stesso succede con gli svedesi, biondocriniti, occhi azzurri, che si sentivano a casa propria fin quando non sono arrivati a frotte da contrade lontane, l’ape africana fatta entrare nell’alveare pieno zeppo di piccole api operose, anch’esse forse con gli occhi azzurri, una strage.
Nel domandarti perché questo Governo chiuda la finestra in faccia agli Italiani per spalancare la porta appannaggio degli stranieri – prego, si accomodi, ci mancherebbe altro – soprattutto se sono intenzionati a far danno, finirai immancabilmente per essere combattuto tra l’ipotesi che ci fanno e l’ipotesi che ci sono. Taglia corto: ti odiano.
L’anno scorso, col pretesto della pandemia, fu annullata la parata militare del 2 giugno ma fu dato il via libera allo sconcio del Gay Pride. È ormai da diversi anni che si assiste alla graduale sostituzione dei corpi armati con le crocerossine che sfilano impettite davanti al palco delle autorità, dove c’è sempre un berlusconi che fa l’occhietto. Ci sarà posto, se continua così, anche per i netturbini, lo sguardo fiero, l’allineamento perfetto e la ramazza che ondeggia in fondo a via dei Fori Imperiali, mentre sopraggiunge, a passo di carica, uno squadrone di infermieri in camice bianco.
Per questa classe politica, che ama farsi apprezzare dalle élite cosmopolite per la sua servile affidabilità, le Forze Armate costituiscono un impiccio, un ammennicolo dispendioso, a meno che non facciano delle corvée per conto terzi: l’Esercito è schierato in Libano, ormai da quasi mezzo secolo, e serpeggia il fondato sospetto che non ricordi più il motivo per cui l’hanno mandato lì. La Marina, disegnata da Dolce&Gabbana – le più belle navi del mondo – che bighellona in tutti gli oceani (il cosiddetto Mediterraneo allargato) a caccia di pirati oppure per prendere a bordo i turisti che fanno i migranti ‘in fuga dalla guerra, dalla miseria e dalla fame’ per non pagare il biglietto: però, se un peschereccio siciliano lancia l’allarme perché sta per essere attaccato da una motovedetta tunisina in acque internazionali, nessuno risponde o arriva alla buon’ora, che é già tutto finito. Quanto all’Aeronautica, che sta prendendo posizione in queste ore nel quadrante baltico su ordine degli Americani, si registrano – ad essere pignoli – due campagne completamente estranee agli interessi nazionali, una contro la Serbia, e l’altra contro l’Iraq di Saddam, mentre ne è stata intrapresa un’altra, nel 2011, contro Gheddafi, per farci male da soli, la classica martellata sulle palle, un episodio, che comunque è in sintonia con le particolari caratteristiche dell’attuale genia politica, formatasi alla confluenza del buonismo per partito preso, tipico di una certa cultura cattolica, con la vocazione anti-italiana della falce e martello e di tutti i suoi derivati, quella della quale era stato banditore il compagno Togliatti col dichiarare – erano gli anni in cui sparecchiava il tavolo a Stalin e gli portava il caffè caldo a letto – che era orgoglioso di aver preso la cittadinanza sovietica e di essersi disfatto di quella italiana, perché se ne vergognava.
Sarebbe interessante appurare se e in che misura tale mentalità abbia penetrato le mura esterne delle caserme. Non c’è al riguardo alcuna ragione per restare ottimisti, specie se si fa mente locale su cosa la politica estera italiana, affidata a Giggetto, abbia fatto per raffreddare l’estro dei Turchi e degli Egiziani, e per ‘restringere’ il Mediterraneo, se, come immagino, quello ‘largo’, nel linguaggio cifrato dei vertici militari, è solo un espediente dialettico per nascondere la nostra estromissione dal novero delle potenze regionali: un modo come tanti altri per dire, con una circonlocuzione elegante, che il Paese non esiste più, il barboncino della NATO, l’ultimo stanzino, giù in fondo a sinistra, di fronte al ripostiglio per le scope, in Europa.
All’Italiano, insomma, hanno tolto l’Italia. Se poi questo non è odio, ditemi allora cos’è, me lo segno.
Immagine: https://it.pearson.com/