Un giorno, se questa spirale si fermerà, proveremo a dare un nome ed un cognome all’orrore della nostra epoca: quella in cui la realtà ha finito, nel migliore dei casi, per diventare un accessorio della finzione.
La prepotenza delle immagini, per progettare le quali si è ormai raggiunta l’oscena perfezione dl ‘Truman Show’, nel consorziarsi col ‘tumore semantico’, che insorge quando si siringa un termine qualsiasi buttandovi dentro un significato che non gli appartiene e privandolo ‘ipso facto’ del suo, è tale da sconvolgere quasi ogni aspetto della società e della cultura contemporanee senza che se ne abbia, sulle prime, il minimo sentore. Un processo, lungo e silente. Uno stillicidio. Già in una precedente occasione avevo sottolineato la grande valenza strategica dell’uso distorto, da parte delle élite, in particolare del PD, della parola ‘fascista’: un involucro da cui è stato tolto ogni riferimento alle vicende storiche del Ventennio (e alla loro comparazione con quelle dell’epopea comunista, che gronda sangue e lutti comunque la giri), per metterci dentro una sostanza paralizzante, una specie di teaser ideologico: sicché, ad esempio, per essersi dichiarata italiana, cristiana e donna (una bestemmia, per chi aborre i valori identitari, a cominciare dai più semplici) la signora Meloni è stata subito messa al muro e fucilata in quanto ‘fascista’. Il gioco delle assonanze fa dei brutti scherzi anche quando, a parziale discolpa della signora ‘fascista’ e della sua omologa francese, Marine Le Pen, vien fatto notare che gli unici partiti, che in Italia e Oltralpe, sono amministrati da una donna, sono due formazioni, cosiddette di estrema destra.
Lo scostamento tra realtà e finzione, che si verifica in concomitanza con la perdita ‘pilotata’ di ogni tipo di rapporto tra ‘significante’ e ‘significato’ in molte situazioni che hanno una pur larvata attinenza con l’agone politico, ha ormai assunto proporzioni epidemiche. Vado un po’ qua e un po’ là, per la ristrettezza dello spazio nel quale debbo calarmi con la corda dello speleologo, cominciando dalle proteste con cui è stato accolto il nuovo sindaco di Palermo per aver preso voti nei quartieri avvelenati dalla mafia, laddove, fra l’altro, aveva pescato anche Orlando: della serie che se sei un candidato del mainstream e raccogli i consensi dell’elettorato di Zen o Brancaccio, la tua è stata una vittoria ottenuta a dispetto della mafia, ma se corri per un’altra scuderia e fai vendemmia da quelle parti, tutto ciò è successo perché sei colluso con la criminalità organizzata. La realtà, insomma, cambia, come il peplo di certe madonne di plastica, che è rosa o celeste a seconda di come riflette la luce del sole. Per quanto mi riguarda, voltando pagina, non avrei avuto dubbi nel classificare la guerra in Ucraina tra le tragedie provocate dalla diabolica attrattività delle risorse energetiche e delle ‘terre rare’, una posta per la quale si scatenarono dispute feroci, con uno strascico enorme di devastazioni e di morti, come agli inizi degli anni ’60 con la secessione del Katanga dall’ex Congo belga o, alla fine degli anni ’70, col distacco del Biafra dalla Nigeria. Nelle analisi – frutto della vocazione, ormai molto diffusa, a scambiare la realtà così com’è per come la si vorrebbe, Dugin, l’aedo di Putin, incombe sulle macerie di Mariupol come la donna che vola di un quadro di Chagall; dietro la nuca del presidente russo si è materializzato un cerchio giallo, l’aureola; c’è la fila fuori dalla porta dei capibastone europei che si sono presi un appuntamento con Zelensky, il primo caso, nella storia incipiente del transumanesimo, di un ologramma che si è fatto uomo e che può ritornare all’occorrenza ologramma, come è avvenuto qualche giorno fa quando è comparso in questa veste ad una fiera tecnologica di Parigi per annunciare, sulle arie di Star Wars, che ‘avrebbe sconfitto l’Impero’.
Che quella intorno a Kiev sia una guerra lo attestano i cadaveri imbustati dentro dei sacchi neri, quelli usati per l’immondizia, ma la sensazione, ad essere sinceri, è che ciò avvenga nell’intervallo tra un atto e l’altro , quando il copione richiede che venga allestita una nuova scena e si debba lasciare lo spazio libero per altre comparse, anch’esse ingaggiate per combattere e per morire. Nessun cenno, neanche di sfuggita, al fatto che nel Donbass, una cornucopia piena di gas e di litio, ci si è ammazzati, tra milizie filorusse e milizie ‘naziste’ foraggiate dal Governo ucraino, per contendere gli uni agli altri la disponibilità di tale ricchezza, e che i partigiani di Kiev lo abbiano fatto anche per conto terzi, al soldo delle compagnie americane: tutto il resto è ‘no contest’, l’irritante inconseguenza di un capottamento in curva.
Non si sono più le guerre di una volta, ma ciò che è cambiato è il modo in cui si interpretano le emergenze, siano esse una guerra o una pandemia. A suo tempo, compravi il giornale per farti illuminare dalle firme migliori o accendevi il televisore allorché si annunciava una fonte qualificata. Oggi, la tendenza a convertire i fatti in spettacolo si traduce in un’overdose di pareri, tra loro necessariamente contrastanti, meglio ancora se assumono la conformazione del wrestling, tutti sul quadrato a darsi un sacco di botte, la verità è un ingrediente facoltativo. C’è quello strano personaggio che insegna ‘Sociologia del terrorismo internazionale’ (come dire ‘Sociologia dell’impiegato di banca in tempi di recessione’, più o meno la stessa cosa) che- lo sguardo grifagno e l’aria di uno ‘che gli altri non sono un cacchio’ – pontifica da tre mesi ripetendo gli stessi discutibili concetti ogni volta con una combinazione diversa, un po’ come il cubo di Rubik o come il viandante disperso nel deserto che, a corto d’acqua, si vede continuamente costretto a bere la propri orina.
Formare ed informare non sono delle priorità, soprattutto adesso che per distruggere ciò che rimane di una società alla deriva i sabotatori delle élite hanno tutto l’interesse a fomentare i conflitti dove non dovrebbero esserci e a ridurre lo iato tra categorie opposte, ad esempio tra i carnefici e le loro vittime. Chiamano per nome – Erika, Martina – le autrici di delitti infami, il dono della famigliarità e delle confidenza per persone che dovrebbero essere catapultate in plaghe lontane anni-luce dal genere umano. La fine dei condizionamenti morali? Una resa? Ditemi voi cos’è.