L’oro di Bankitalia

 

L’oro di Bankitalia

C’è una grande bugia sullo stato economico-finanziario dell’Italia. E la bugia riguarda l’ultimo grande baluardo di resistenza di uno stato dal punto di vista economico: le sue riserve auree.

Se si ascoltano i dirigenti di Bankitalia, il nostro paese possiede 2451,8 tonnellate d’oro. Una cifra colossale per un paese come il nostro. Per capirci, solo USA, Germania e FMI sulla carta hanno più oro di Bankitalia. Ma la realtà è ben diversa da questa. Innanzitutto con l’insensata decisione negli anni 90 di voler privatizzare Bankitalia reagalandola a banche private italiane che con il tempo sono state progressivamente infiltrate da istituti finanziari stranieri (esempio Intesa Sanpaolo che detiene il 30% di Bankitalia e che vede il 5% delle sue azioni in mano alla BlackRock) il controllo non è più esclusivamente in mani italiane.

Vulnus ancora più terribile è però il fatto che neanche la metà delle 2451,8 t d’oro nazionali si trovino nei sotterranei di Palazzo Koch. Per la precisione solo il 44,86% (pari a 1100 t) del totale si trova su suolo italiano. Il resto si trova per il 5,76% (141,2 t) in UK, per il 6,09% (149,3 t) in Svizzera, e per ben il 43,29% (1061,5 t) negli USA. Una cosa da pazzi. Per usare le parole di Bankitalia: “La scelta di dislocare all’estero poco più della metà del metallo, presso diverse Banche Centrali, deriva, oltre che da ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l’oro fu acquistato, anche da una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi.” Quindi per ridurre i rischi lasciamo in mani non nostre il più grande baluardo di sovranità fiscale e monetaria che una nazione possa avere? Tutto chiaro. Qualcuno potrebbe obbiettare che anche contando solo su quel 44,86% siamo comunque l’ottavo stato per riserva aurea sopra paesi come Spagna, Arabia Saudita, India o Giappone. Ma non è questo il punto. La realtà è che i governi italiani del passato non sono nemmeno riusciti a garantire la presenza su suolo italiano di tutte le riserve auree degli italiani.

Vi è poi un vuoto giuridico enorme sulla proprietà e l’utilizzabilità di quell’oro. Bankitalia liquida tutto con una frase: “La proprietà delle riserve auree ufficiali è assegnata per legge alla Banca d’Italia“. Al contrario di quanto riportato negli statuti delle altre banche centrali europee, le quali detengono e gestiscono le riserve auree per conto dei loro governi. Chi può disporre quindi di questo oro? Non si sa. Esso è intoccabile ed inutilizzabile e pertanto le ipotesi di vendita o di utilizzo a garanzia di prestiti pubblici non è fattibile. Se ne possa disporre il Governatore di sua iniziativa è solo una congettura, in quanto questo potere non è specificato ma solo lasciato sottintendere. Se ne possa disporre lo Stato è un’altra congettura: quando Tremonti nel 2009 propose di tassare una tantum le grandi plusvalenze che la Bankitalia aveva realizzato sulle riserve auree (una implicita ammissione della compravendita di cui sono oggetto i lingotti) gli venne detto di ripensarci perché l’oro appartiene agli italiani e quindi lo Stato non può tassare sé stesso.

Per farla breve dire che l’oro di Palazzo Koch è del popolo italiano è un eufemismo. Quelle 2.451,8 tonnellate, o quanto in realtà esse siano, non sono di proprietà dello Stato (e di riflesso, di noi cittadini) né degli azionisti privati della Banca d’Italia che sulle riserve non possono, fortunatamente, vantare alcun diritto.

Un grande atto di sovranità di un governo di qualsiasi colore esso sia sarebbe, oltre alla ovvia nazionalizzazione di Bankitalia, chiarire una volta per tutte il quadro normativo dell’oro italiano e richiedere indietro quelle centinaia di tonnell’ate d’oro e quindi costringere all’imbarazzo di mettere per iscritto una risposta negativa quegli stati così che finalmente il popolo italiano li possa correttamente chiamare ladri.

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