L’Unione Europea espropria i Kulaki

 

L’Unione Europea espropria i Kulaki

Non sono affatto favole gli espropri in favore delle multinazionali che stanno comminando ai contadini leccesi per Tap (oleodotto, e da circa dieci anni) e per adempiere al “Piano Porsche-Volkswagen”. La Regione Puglia, retta da un ex magistrato oggi del PD, ha spinto e benedetto la ratifica dell’intesa d’esproprio nei Comuni di Nardò e Porto Cesareo. Così la Regione Puglia ha deciso d’espropriare per “pubblico interesse” 351 ettari di pregiato oliveto, ritenendo irrilevanti le proteste di proprietari ed abitanti del comprensorio salentino. Lo stesso ente locale ha ammesso che non c’è stato alcun accordo bonario con gli espropriati, e che saranno penalizzate sia le aziende zootecniche che i tradizionali olivicoltori. Un saccheggio del territorio che prevede anche una iniqua compensazione pecuniaria dei proprietari, in forza della “pubblica utilità” dell’opera, nonostante il piano riguardi la multinazionale privata Porsche-Volkswagen.

Il caso pugliese non è isolato. Gli attuali espropri poggiano su precisi impegni, che la politica ha preso in Europa e con le multinazionali all’insaputa dei cittadini.

Tra il 1992 ed il 2001 sono stati firmati assegni in bianco a favore dei poteri finanziari che hanno in pugno la Commissione europea. Il valore di questi impegni è faustiano, e a Bruxelles pretendono che gli impegni vengano rispettati. Chi ha compromesso l’Italia lo ha fatto con un misto di superficialità e cattiva fede. Ora le scadenze vengono al pettine, e non si tratta più solo di contribuire a salvare le banche tedesche, oggi in forza delle reiterate cessioni di sovranità sarebbe il caso di chiedersi chi possa essere il vero titolare del suolo italiano. Qualcuno a questa domanda già risponde con la battutacchia “chiedetelo alla Commissione europea”. E qualche altro aggiunge “se così fosse tutto ciò che insiste, si tratti di palazzi o capannoni, laboratori ed aziende, è di fatto solo concesso”. Una realtà che è ben chiara a tedeschi ed olandesi, che sanno benissimo come le loro case ed aziende agricole insistano su terreni dati in concessione, e lo Stato (nel caso dell’Olanda la Corona) potrebbe benissimo non rinnovare la concessione. Di fatto è un ritorno cibernetico al feudalesimo (la buonanima di Le Goff lo aveva preconizzato), così mentre un tempo il sovrano doveva perdere tempo in cerimonie e gotica scrittura di pergamene per disarcionare da un terreno aldermanni, valvassori e valvassini, oggi è bastevole al potere aprire il computer e disporre dei codici per cambiare catastalmente la proprietà di terreni, case ed aziende. Ti vendono la proprietà a tua insaputa, e ne hanno facoltà.

E lo sanno bene gli agricoltori olandesi in protesta contro il piano del governo, che chiede alle aziende un taglio del 70% degli allevamenti di bestiame: anticipando che chi non dovesse piegarsi vedrà espropriarsi per via elettronica la fattoria. Il piano del governo dei Paesi Bassi viene ammantato di falso ambientalismo dall’Ue, che giustifica l’esproprio perché ridurrebbe le emissioni di azoto e ammoniaca secondo l’obiettivo Onu 2030, quindi per combattere il presunto cambiamento climatico. L’Olanda conta 53mila aziende agricole, è il secondo produttore mondiale di latte e derivati dell’allevamento bovino. Poi ci sono le serre intensive sia florovivaistiche che ortofrutticole: più del 10% dell’economia nazionale. Le manifestazioni contro il piano del governo sono tutte sfociate in scontri con la polizia: ma l’esecutivo Mark Rutte tira dritto, forte della facoltà d’espropriare promossa dalla Commissione Ue. LTO, principale sindacato degli agricoltori, ha contestato il piano del governo, ma ammettendo che Rutte ha dalla sua l’Unione europea che vorrebbe utilizzarlo come grande esempio di quell’esproprio europeo che dovrebbe attuarsi anche in Italia. Ma gli stravolgimenti e i guai si sa che vengono tutti insieme. Così mentre la guerra tra Usa e Russia presenta un conto salatissimo all’Europa, in Germania viene avviata la crisi dell’edilizia residenziale, che con molta probabilità servirà all’Ue per obbligare gli stati membri a modificare le leggi sulla proprietà immobiliare. Così di punto in bianco, dalla mattina alla sera la metà delle aziende tedesche (il 50% delle imprese) ha denunciato che non ci sono più lavori. Secondo l’IFO (istituto tedesco di ricerca economica) la Bundesbank avrebbe già da mesi certificato una crescita a zero entro settembre.

La colpa non risiede nell’aumento dei tassi o dei costi di costruzione, ma nelle istituzioni (e negli uomini) che hanno pianificato scientemente l’aumento dei tassi perché il riverbero si trasformasse in lievitazione dei costi. Una vera e propria morsa che, secondo qualche beninformato, potrebbe spingere Germania e frugali (Olanda e dintorni) ad accelerare sul conferimento all’Unione europea della proprietà pubblica (come il nostro demanio) e dei beni espropriati ad aziende agricole e industriali. Del resto in Germania la proprietà dei terreni è dello stato, e gli immobili sono dati in concessione ai cittadini: di fatto le case sono private, ma insistono sul terreno che è pubblico. Il problema è tutto qui: l’Unione europea vorrebbe uniformate i diritti di proprietà italiani a quelli dell’Europea del Nord, trasformando il diritto di proprietà in concessione. Del resto l’Unione europea sta usando come cavallo di Troia il problema delle concessioni balneari italiane, proprio per poi scardinare tutta una serie di diritti su suoli ed immobili. La non certezza sulla proprietà è alla base della crisi immobiliare che sta investendo Germania e Nord Europa e, molto probabilmente, condurrà anche ad una depressione del mercato immobiliare italiano: perché nessuno investe più con l’incertezza sul futuro di una proprietà, soprattutto l’italiano teme questi stravolgimenti del mercato immobiliare al pari del cancro. L’uomo di strada si domanda “perché investire in case e terreni se poi te li levano? E una volta che investi ti possono anche sanzionare perché il tuo immobile non è totalmente a norma Ue ed in classe energetica”. 

Per capire come il male venga da lontano, s’invitano i lettori a leggere la bella intervista realizzata per Avvenire (edizione di domenica 3 Aprile 2016) da Eugenio Fatigante al professor Giuseppe Di Taranto (docente di Storia dell’economia alla Luiss e autore del saggio “L’Europa tradita”). Eugenio Fatigante domandava “Perché questa Europa non va?” e  Di Taranto  rispondeva “Perché le premesse dell’Unione monetaria si sono rivelate false promesse. L’Unione nacque su due testi – il ‘rapporto Delors’ e il documento ‘One market, one money’ – in cui si prevedeva più occupazione e un aumento del Pil del 4-5% nel medio periodo. Non abbiamo ottenuto nulla di ciò. E anche le basi erano false: la finanza creativa è nata coi parametri del Trattato di Maastricht, nel febbraio del 1992. Pochi sanno, a esempio, che l’Austria – per rispettare il 3% di deficit – si inventò una società autostradale a cui cedette letteralmente il 3,2% del proprio ‘rosso’. Una cosa simile la fece la Svezia”. 

“Questo riguarda il passato, però”, ribatteva Fatigante. “Sì, ma è allora che si sono poste le radici dei problemi attuali – incalzava Di Taranto -. Nel ’98, quando nacque la Bce, un gruppo di Nobel, fra cui Solow e Modigliani, pubblicò un ‘Manifesto contro la disoccupazione’. Dicevano che lo Statuto Bce era sbagliato: prevedeva come scopo solo la lotta all’inflazione, non crescita e occupazione. Nessuno li ascoltò. Pure Milton Friedman, un monetarista, scrisse: ‘L’Unione politica può preparare la strada alla monetaria. Ma questa, imposta a condizioni sfavorevoli, si rivelerebbe un ostacolo al raggiungimento dell’unità politica’”.  

Ora è chiaro cari lettori come questa Unione Europea non rappresenti affatto una soluzione ai problemi sociali ed economici di noi cittadini europei. Gli atti della Commissione di Bruxelles avvalorano come Onu ed Ue lavorino ad abolire la proprietà privata, anche attraverso metodiche d’esproprio che potrebbero partire dalla conversione in “concessione europea” dei beni registrati. Un testo del regolamento europeo che va in questa direzione è già stato pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale Europea n 2554”, è relativo alla “resilienza operativa digitale nel settore finanziario” (Digital operational resilience act, nota con l’acronimo “Dora”). Dora entro il 2025 avrà accesso a tutti i beni soggetti a registrazione nei paesi dell’Ue. Poi le Agenzie del territorio ed i Pubblici registri dei veicoli permetterebbero l’assegnazione d’un valore base a case, auto, moto, barche… Ad ogni bene dei privati europei verrebbe dato un valore in base a caratteristiche e conformità, in modo che il sistema europeo possa programmare la scadenza del patrimonio registrato, fino ad ammortizzarlo a valore zero per certificarne l’invendibilità e nemmeno la cessione ad eventuali eredi. Dora va di pari passo col “portafoglio digitale europeo”. Questa terribile storia è per certi versi similare alla persecuzione dei kulaki nell’Unione Sovietica degli anni ’30. I Kulaki erano piccoli contadini che durante la Russia imperiale s’erano dimostrati capaci d’acquistare un fazzoletto di terra. Con la collettivizzazione divennero per legge i nemici dello stato, e perché non volevano rinunciare a coltivare ed allevare sulla terra che avevano acquistato o ereditato. I kulaki inaugurarono i gulag di Stalin. Vennero additati come contadini nemici dei bolscevichi, egoisti che avevano acquistato terra e strumenti di produzione, quindi gente che lavorava contro l’Unione sovietica.

 

Immagine: https://www.istockphoto.com/

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