L’anno nuovo è il tempo delle buone intenzioni. Un conoscente ha affidato all’etere un pensiero: che gli uomini riscoprano la coscienza!
Il richiamo alla coscienza ha sempre un forte impatto e induce a qualche riflessione. A dire il vero, abbiamo ascoltato un messaggio commerciale che invitava, per le feste, a consumare e regalare “con coscienza”. Un negozio di moda maschile propone di donare “moda e coscienza”, operazione obiettivamente difficile.
Probabilmente, la confusione nasce dall’ambiguità del termine coscienza. Non soltanto è difficile darne una definizione accettabile, ma i suoi significati sono molteplici: si può intendere come consapevolezza, rendersi conto, ma anche capacità di discernere il bene e il male, giudizio del valore morale del proprio operato, sensibilità etica.
Esiste una dimensione comunitaria della coscienza, orientata a guidarci verso condotte buone perché socialmente approvate, e un elemento personale, la voce del foro interiore teso a allineare i nostri comportamenti alle convinzioni che affermiamo. Un crescente manicheismo nella vita sociale e politica esibisce la bontà propria attraverso intenzioni suppostamente virtuose lanciando ombre di sospetto sull’avversario, trattato non come qualcuno che la pensa diversamente, ma da nemico malvagio sprovvisto di coscienza. Un esempio di queste ore è l’incredibile comportamento dei sindaci di sinistra decisi a violare la legge sull’accoglienza agli stranieri. Dietro il paravento della bontà, si lancia il devastante messaggio che la legge, quando non ci piace poiché contraria alle opinioni, agli interessi e ai sentimenti personali mascherati da imperativi di coscienza, può essere violata, con buona pace della cultura della legalità.
Disturba, in un tempo programmaticamente amorale e spesso apertamente immorale, il continuo sermone moraleggiante a cui veniamo sottoposti in nome di una definizione astratta di coscienza. La coscienza non può essere confusa con le nostre opinioni o con le inclinazioni soggettive. Tanto meno può esistere una coscienza a corrente alternata, per la quale ciò che è giusto oggi può essere revocato in dubbio o rovesciato domani. Relativismo e coscienza sono opposti. Noi continuiamo a pensare che esista una legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e la coscienza civile consista nell’aiutare ciascuno a scoprire, ascoltare, praticare le condotte da essa prescritte. Coscienza è libera adesione alla verità della legge naturale.
Un esempio letterario illustra bene la difficile definizione della coscienza. Nel romanzo di Mark Twain, Huckleberry Finn, il protagonista, Huck, affronta, con i deboli mezzi culturali che possiede, il dilemma morale relativo alla consegna del suo amico Jim, il negro schiavo fuggitivo. Da ragazzo cresciuto nel Missouri prima della guerra civile, Huck sa che non deve aiutare a fuggire uno schiavo: così dice una parte della sua coscienza.
E’ la legalità violata; Huck si sente cattivo poiché ha rubato un negro a una povera vecchia che non gli aveva fatto niente di male. Quando decide di consegnarlo sente la confortante emozione di riavere una coscienza pulita. Alla fine gli risulta impossibile tradire il suo compagno d’avventura e agisce contro la sua coscienza, rassegnato a essere un malvagio privo di redenzione per disconformità alle regole introiettate.
L’ironia e la profondità dell’episodio sta nel fatto che Huck si comporta correttamente quando agisce contro ciò che ritiene moralmente giusto, senza fare caso alla sua coscienza. Senza coglierne il significato profondo, con l’anima sceglie l’amicizia e la dignità della persona umana.
Certo, in tempi di soggettivismo estremo, è comodo ritenere che le nostre idee siano l’unica guida possibile. Senza di esse, mancheremmo di bussola morale. Non seguendo la sua coscienza, forse Huck ha agito bene unicamente per buona sorte, o per caso. E’ disposto a rischiare una sorte simile a quella di Jim e a sacrificare la tranquillità della sua coscienza. Si comporta in modo giusto per ragioni moralmente superiori, nonostante la sua coscienza civica di ragazzo del Sud di metà Ottocento gli dica altre cose.
La lezione di Huckleberry Finn è un trattato involontario di agire morale. Ciò che davvero conta, per lui e per noi, non sono le convinzioni, né le apparenze di rispettabilità farisea, ma saper rispondere in termini morali concreti, ovvero autenticamente umani, al momento delle scelte.
E’ assolutamente grottesco, eticamente e culturalmente devastante che in America e altrove si chieda a gran voce il ritiro del grande romanzo di Mark Twain da biblioteche e programmi di studio in nome della correttezza politica e della lotta contro il razzismo. E’ proprio vero: Deus quos perdere vult, dementat prius. Dio, a quelli che vuole rovinare toglie prima la ragione.