La necessaria evoluzione del nazionalismo
Da un po’ di tempo ormai, pare essere tornato di moda nell’agone politico un sentimento nazionalista, oggi declinato come “sovranismo” per le logiche del “politicamente corretto”. Sono molti infatti i movimenti e i partiti che si definiscono sovranisti, i quali a loro dire perseguono gli interessi nazionali e lottano per la riconquista della sovranità nazionale, in contrapposizione alla evidente privazione di tale caratteristica fondamentale dello Stato, da parte dei gruppi economico/finanziari sovranazionali.
Bene, ma non benissimo. Dei problemi relativi al tanto chiacchierato “sovranismo” abbiamo spesso discusso sul nostro settimanale e nelle nostre conferenze, quello che ci interessa oggi è analizzare le possibilità del rinnovato sentimento nazionalista; come si pone infatti, di fronte al mondo sempre più globalizzato il sentimento nazionale? Come può diventare opportunità politica in un tempo in cui le macro-entità politiche ed economiche sono preponderanti? Quale ruolo insomma, il nazionalismo può avere in questo mondo post-moderno?
Iniziamo col dire che le dottrine politiche tutte, sono espressione del tempo che esse vanno a razionalizzare, questo comporta una logica e naturale evoluzione delle stesse, che seppur avendo avuto origine passata, mutano e cambiano nella forma e a volte nei contenuti, per poter capire ed essere contestuali all’oggi. Così è stato per il marxismo, così è tutt’ora per il liberalismo. In questo senso, il sentimento nazionalista vive di una contraddizione in termini, esso infatti non è una compiuta dottrina politica, ma un sentimento appunto, una necessità di appartenenza, un sentire intimo che muove i pensieri e le azioni dell’uomo verso la propria Patria. Da questo si deduce che, o il nazionalismo diviene parte di una dottrina politica compiuta e organica, o altrimenti rimane un sentimento alla mercé di qualsiasi sofista odierno.
Parlando infatti dei famosi “sovranisti”, essi sono nazionalisti di comodo, vantano un sentimento nazionale soltanto per opportunità elettoralistica poiché hanno bisogno di una legittimazione emotiva più che politica, che si contrapponga alle follie mondialiste e alle pretese della “cosa di Bruxelles” che schiaccia e spreme i cittadini italiani come limoni. Stessa cosa vale per i partiti sovranisti tedeschi, francesi, spagnoli e via dicendo, tutti sono in realtà l’altra faccia della medaglia, l’altra declinazione dello stesso male, il liberismo. Tutti i sovranisti utilizzano il nazionalismo come legante, poiché contrapposto all’europeismo, ma non lo inseriscono in una dottrina politica diversa da quella liberale, quindi lo annullano, lo silenziano, lo tirano fuori dal cassetto prima delle elezioni, salvo poi riporlo per i successivi ludi cartacei.
Un altro problema non da poco, riguarda l’attuale congiuntura internazionale e conseguentemente le possibilità che il nazionalismo può avere all’atto pratico. Viviamo in un mondo sempre più interconnesso da un punto di vista geopolitico, nel quale il valore dei singoli stati nazionali, eccetto per alcuni i quali vantano una grande estensione e un’ampia disponibilità di risorse e popolazione, e conseguentemente un peso politico notevole, va sempre di più scomparendo. Il mondo post-moderno è il mondo delle macro-entità politiche, economiche e geopolitiche. Le contrapposizioni tra le diverse nazioni sono in realtà le contrapposizioni tra i diversi gruppi di potere privati che in quelle nazioni dirigono e gestiscono questo o quel comparto produttivo, tutto si gioca sui macro-sistemi e sulle macro-entità, allora risulta indubbiamente difficile immaginare un nazionalismo compiuto in stile ottocentesco, poiché in sintesi questo è quello che esce fuori dalla prassi politica dei cosiddetti sovranismi.
Ma il nazionalismo borghese dell’800 non è cosa che ci riguarda e non deve in alcun modo riguardare le nostre battaglie. Come già detto, il nazionalismo che noi concepiamo è parte di un organismo ideologico più ampio e, nello scenario globale attuale, esso deve necessariamente evolversi per poter essere realmente un’alternativa politica al liberismo imperante. Il nuovo orizzonte al quale dobbiamo credere e sperare è il nazionalismo europeo, un sentimento di appartenenza ad una civiltà plurimillenaria, ad una storia di sangue, di suolo, di gloria e potenza. L’Europa, e non il surrogato tecnocratico chiamato Unione Europea, deve essere il nostro destino. Non è più tempo per i risorgimentalismi, che certo rimangono importanti nell’ottica di scollegare l’Italia dalle catene della BCE, ma da un punto di vista metapolitico è assolutamente necessario puntare ad altro. Un tema per alcuni forse non facile, che sarà analizzando nei prossimi articoli.