La pena di morte nell’Occidente dei diritti

 

La pena di morte nell’Occidente dei diritti

Vincent Lambert è morto. Nel modo più atroce, per disidratazione imposta dal potere, con i genitori impediti ad assisterlo nell’ora estrema dai gendarmi della République dei diritti dell’uomo.  Un altro indifeso, dopo Alfie e mille altri sconosciuti, ha sperimentato la pena di morte della società aperta, liberale e libertaria. Si tratta, ancora una volta, di un infermo che la medicina aveva salvato senza riuscire a restituirgli salute e autonomia. Quando il conto economico della vita di un malato si fa pesante, la decisione è presa: pena di morte. La decreta non un tribunale penale, ma l’istogramma dei costi che riconosce diritti reali solo a chi è giovane, produttivo, pronto a consumare. Per gli altri, c’è la morte.

Un calcolo “obiettivo” eseguito da un computer è la sentenza capitale postmoderna.  C’è qualcosa di profondamente malato nel senso comune di quest’Occidente terminale. Dopo aver espunto dai codici giuridici la pena capitale, l’abbiamo ripristinata nei fatti attraverso meccanismi di soppressione della vita promossi dagli interessi più tenebrosi, coperti da immense ipocrisie: fine vita, diritto all’autodeterminazione.

 Se non sei sano, levati dai piedi, e, per cortesia, fallo di tua volontà, con le carte in regola, con il testamento biologico, il suicidio assistito, l’eutanasia. Se sei depresso, fai come la ragazza olandese Noa Pothoven, organizza il tuo addio a questo mondo con l’approvazione dello Stato, alla presenza di esperti, in diretta sulle reti sociali.

 Vincent Lambert voleva vivere e glielo ha impedito il destino, con l’aiuto determinante di un potere assassino. Al di là di ogni considerazione etica, non dobbiamo dimenticare che la forza delle élites (parola elegante per definire mascalzoni senza principi) è il biopotere, cioè il diritto di vita e di morte su di noi, proprio su di me e su di te. Appare grottesca la legge scritta; la costituzione italiana garantisce solennemente i “diritti inviolabili dell’uomo “(articolo 2).  Quali saranno, in concreto, queste intangibili prerogative?

 Questo bio-potere guasto si è arrogato il diritto di dare la morte: è malato, è depresso, non è curabile, è vecchio, è un peso, uno scarto, ha perso il diritto di vivere nella società dei diritti, delle emozioni, dei desideri.

 Intanto, tocca ogni giorno a migliaia di grumi di cellule – proprietà indiscutibile del corpo femminile in cui si sono formate, sia pure con l’intervento di un estraneo, l’esemplare maschio della specie umana- attraverso la banalizzazione dell’aborto. La verità è che, abolito Dio, scompare velocemente anche la sua ex creatura, l’uomo.

 La vita umana è sacra, ormai, solo per chi crede in qualche forma di trascendenza. Per tutti gli altri, con sfumature diverse, è solo un accidente nel cammino del mondo, da difendere solo se spinge in alto il diagramma dell’economia.

 Come non si può decidere della propria morte da sani, non si può lasciare che la pena di morte sia stabilita e praticata dal potere, con il supporto degli esperti. Quel tale è un depresso cronico, quella malattia non regredisce, quella madre non saprà provvedere al figlio che ha in grembo: la sentenza di morte non ha bisogno di tribunali. E’ una società assassina a cui dovrebbero ribellarsi innanzitutto i medici.

 Immaginiamo con orrore una distopia burocratica fatta di moduli appositi e personale specializzato: “in ottemperanza al codice mortuario vigente, preso atto del testamento biologico depositato presso l’ufficio competente, visto il nulla osta dell’autorità sanitaria, il diritto alla vita di Rossi Mario, identificato con il codice a barre in calce indicato, è perento. Si procede pertanto all’esecuzione del presente decreto di morte, previo espianto degli organi suscettibili di riciclo o riuso.“  Temiamo che l’accento sardonico sia giustificato e descriva un futuro non lontano. Il diritto alla vita e alla morte è teoricamente soggettivo, ma la proprietà del corpo, nel caso di Vincent Lambert, se l’è attribuita il biopotere sovrano.

 La materia è complessa, scabrosa, non può essere affrontata tagliando tutto con l’accetta. Sensibilità, prudenza, saggezza e soprattutto un amore tenace della creatura umana dovrebbero prevalere sull’utilitarismo dilagante; occorre tuttavia una rivolta ideale, un’obiezione etica alla riduzione a cosa della persona.

 Di qui la necessità di riflettere su ciò che abbiamo smesso di indagare, il senso della vita. La vittoria della pena di morte con i mezzi della seduzione avrà finalmente il suo premio, sotto forma di cartellino del prezzo e data di scadenza. La condizione dell’animale domestico, accettata con sconcertante leggerezza, si porta dietro quella della bestia da macello.

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