La postmodernità e la fine dell’amore
L’uomo postmoderno è l’uomo senza legami, il consumatore, l’individuo assoluto e atomizzato, caratterizzato dallo stato mutevole e assolutamente instabile di ogni sua forma organizzativa; la famiglia è instabile, allargata, moderna, il lavoro non c’è e quando c’è è precario, lo Stato è debole, assente e sottoposto ad un attacco costante, il genere è ormai fluido e ognuno può scegliere cosa essere. In questo orizzonte di estrema e fittizia libertà, le relazioni umane, forse l’ultima colonna portante dell’essere, la quale ci permette ancora di definirci tali, sono ormai snaturate, strette tra le aspirazioni personali, e le sollecitazioni di un mondo che ci vuole slegati e quindi, sempre più soli.
L’infezione consumistica ha ampiamente contagiato anche la dimensione delle relazioni sentimentali, le quali, eredi di una solidità antica e di aspirazioni eterne, vengono interpretate ed espresse anch’esse secondo le logiche capitalistiche. Per cui sempre più frequentemente ci troviamo a disagio, e maturiamo una distruttiva “paura”, ansia di perdere qualcosa, in particolare quella libertà estrema alla quale siamo stati addestrati sin da piccoli. Libertà da e libertà di, libertà dall’impegno duraturo e costruttivo, libertà da legami e stabilità, libertà di poter continuare a scegliere (come al supermercato), libertà di continuare ad esprimere un malsano desiderio che muta in voglia di immediato godimento. Le relazioni abbisognano di costruzione, elaborazione sentimentale e complicità, tutti aspetti che crescono dentro di noi con il tempo, il tempo passato insieme, o passato a pensare alla persona a noi cara, ma in una società che vive nell’immanenza non sembra esserci più spazio per il tempo, e quindi per i sentimenti.
Oggi le attenzioni dell’uomo consumatore si concentrano sulle soddisfazioni che una relazione potrebbe portare e non sul significato escatologico della relazione in sé, ma anche quando esse sono soddisfacenti in senso assoluto, allontanano le persone da quel mondo di libera scelta e libera azione per il quale e nel quale sopravviviamo, per cui esse sono deboli e generano frustrazione continua. Se le attenzioni consumistiche immanenti snaturano la costruzione sentimentale, allora non c’è più spazio per i sentimenti stessi, poiché essi sono per natura procrastinati, e quindi non c’è più spazio per la relazione stabile e duratura.
Ma che cos’è l’amore allora? Domanda chiave che automaticamente viene fuori dall’analisi finora condotta, e soprattutto a quali dinamiche risponde oggi la necessità di amare? L’amore è costruzione, esperienza edificante di apprendimento e di crescita, lenta e duratura, essa muta e cambia forma, si inserisce tra gli spazi emotivi di due persone e le avvicina, le salda in una commistione di coraggio, fede, speranza, umiltà. Legato a doppio filo con la continuità, di sé stessi, della propria famiglia e della propria stirpe. Allora, letto in questo senso l’amore che fonda una unione relazionale, è soprattutto desiderio, di prendersi cura e di preservare l’oggetto della propria cura, quindi espansione e dono totale di sé.
Dal momento in cui oggi perfino le leggi morali sono state distorte dal consumismo, il desiderio d’amare non corrisponde più alla lettura di cui sopra, ma è impulso bestiale di possesso, consumo, utilizzo e bieco godimento di un qualcosa che è fuori di noi, e che si esaurisce nell’immediatezza della realizzazione ti tale desiderio, che a questo punto diventa voglia. Voglia di godere di un bene, godimento circoscritto al brevissimo tempo, come si gode dell’acquisto di un paio di scarpe nuove, o di un buon drink. Ma la voglia è diversa dal desiderio, poiché togliersi una voglia è un atto estemporaneo, immediato, che si esaurisce nell’immanenza del momento. Realizzare un desiderio invece necessita distanza temporale e impegno umano e intellettuale.
Voglia morbosa quindi, di ottenere tutto e subito, resa ancor più bestiale dalla sessualizzazione pressoché totale da cui è avvolta la società. In questo senso, il sesso perde valore, e non viene più inteso come mezzo ma come fine, non più un compimento fisico di un’unione intima e sentimentale, ma una voglia puerile e materiale appunto, di possesso e godimento, rapido e senza conseguenze durevoli.
In questa dimensione di eterna incertezza allora, si moltiplicano le solitudini, le ansie e le paure, e la natura stessa dell’uomo, di animale sociale appunto, viene meno. Il paradosso più grande di questa epoca è lo sdoganamento totale dell’amore libero e libertario, laddove invece l’amore vero, edificante, turbolento ma risoluto, solido ed eterno svanisce. Del resto, se tutto è amore niente lo è.