La retorica “vittimista” e l’elogio della debolezza nella narrazione femminista

 

La retorica “vittimista” e l’elogio della debolezza nella narrazione femminista

Una delle più grandi contraddizioni che animano il post-femminismo, quella strana creatura geneticamente modificata dalle radiazioni ionizzanti emesse dall’ideologia liberale, è quella che riguarda la base stessa del suo pensiero: la donna moderna è e deve essere forte e emancipata o è una creatura debole, indifesa, prigioniera di un drago a sette teste chiamato etero-patriarcato bianco e in attesa di essere liberata (da chi, non è dato saperlo)?

Se da una parte, infatti, viene continuamente pubblicizzato un modello di donna indipendente e padrona del proprio destino è altrettanto vero che le eroine della medesima propaganda femminista non si peritano di offrire siparietti televisivi decisamente poco edificanti, umiliando quella “supergirl” di cui vorrebbero essere il simbolo.

A questo proposito risulta paradigmatica Asia Argento, la celeberrima ideatrice del movimento #metoo: dopo essere stata accusata di molestie e violenza sessuale da Jimmy Bennet, all’epoca dei fatti minorenne, durante l’intervista rilasciata a Massimo Giletti a “Non è L’Arena”, l’attrice ha sfoderato l’arsenale della perfetta vittima: non sono stata io, è stato lui, mi è saltato addosso, aveva gli ormoni impazziti, ero sotto shock, non ha nemmeno usato il preservativo e, evergreen immancabile, come si fa a violentare un uomo? Ovviamente il tutto accompagnato da occhioni lacrimosi e sguardo incredulo.

Indipendentemente da quella che è la verità, ciò che salta agli occhi è che la cosiddetta femminista, quella dal pugno chiuso e dalla voce stridula, che aspirerebbe a ribaltare “il sistema” (di cui però è solo un ben oliato meccanismo) non vuole o forse non può liberarsi dall’ultima delle sue catene: il vittimismo.

Si badi bene: non necessariamente la debolezza fisica si traduce automaticamente in debolezza morale: nessuna donna, in quanto tale, può e deve definirsi vittima, ieri di un ragazzino di diciassette anni, oggi del manspreading o di chissà quale altra invenzione della retorica femminista.

Le donne hanno contribuito a costruire la civiltà umana e oggi sono dotate dei più grandi strumenti intellettuali e culturali per rifondare, anche in senso femminile, una società più equa e giusta. Questo, però, potrà accadere solo se ogni donna smetterà di pensare al genere femminile come a una minoranza da tutelare per iniziare finalmente a qualificarsi come un membro attivo della comunità, una presa di coscienza che deve necessariamente essere preceduta da un nuovo percorso culturale e politico, alternativo all’ideologia liberale, la radice di ogni male moderno.

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