Le idee hanno conseguenze


 

Le idee hanno conseguenze

Se ascoltiamo i discorsi della gente, notiamo un elemento che accomuna quasi tutti: l’insoddisfazione, una sensazione di soffocamento.

Ci pensavamo percorrendo un modesto quartiere periferico, Borgoratti, le strade della nostra infanzia. Molti anziani solitari alla ricerca di un negozio aperto, è difficile anche trovare il pane e una farmacia, benedetti siano in questi giorni i tristi, anonimi supermercati con l’aria condizionata e l’orario lungo. Per la via, girano quasi solo stranieri, specie mamme con i bambini, gli unici, con i vecchi, a non potersi permettere le vacanze. E’ la terra desolata, in cui temperatura, luce e umidità sembrano decomporre tutto. Un mondo lentamente marcito, opposto a quello dei vacanzieri, il mare, il treno stracolmo di gente verso la spiaggia. Irritati anch’essi, sono in troppi. Tra poco, piantato l’ombrellone in un metro quadrato di spazio libero espugnato, saranno in coda per conquistare il gelato. 

Se approfondiamo i dialoghi, tuttavia, ci rendiamo conto che all’insoddisfazione, al disagio diffuso non corrisponde alcuna ribellione. Regna un certo fatalismo, sembra che al presente stato di cose non vi sia alternativa, che sia sempre stato così. Non è vero, le idee hanno conseguenze. Per chi ha una certa età, è facile ricordare una diversità talmente enorme da lasciare senza fiato. In un paese di campagna caro alla nostra adolescenza, negozi, trattorie e attività economiche sono pressoché scomparse. Fino agli anni 80 del secolo XX, Montoggio, era un’apprezzata meta di villeggiatura familiare dei genovesi, con alberghi decorosi e tante famiglie riunite oltre le generazioni. Finite le famiglie, non poteva durare.

Le idee, dicevamo, hanno conseguenze. Ciò che vediamo sotto il sole d’agosto, folle sciamannate sommariamente vestite in coda verso ferie, le città abbandonate di cui si impadroniscono gli anziani, gli immigrati poveri e i tanti emarginati, è la conseguenza delle idee che hanno vinto. Il popolo non c’è più, resta una massa informe di individui in corsa, attorniata da chi non può partecipare alla gara, per età, reddito, salute.     

Passati finalmente i secoli bui, abbiamo deciso che siamo al mondo per “consumare”, un verbo terribile che evoca l’uso e lo spreco di tutto, a cominciare da noi stessi. Viviamo così poco sereni da rendere necessario un altro consumo di massa, quello degli psicofarmaci, affiancato dalla dipendenza da alcool e droghe. Le idee che ci dominano nascono da solenni enunciazioni come la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, in cui si afferma il diritto alla felicità. Pochi anni dopo, sarebbero stati i rivoluzionari francesi a proclamare il primato universale dei “diritti”. Oggi qualsiasi desiderio è un “diritto”. Vuoi un figlio? Ne hai diritto, la natura non c’entra, scienza e tecnica, se hai denaro, ti aiuteranno, Non ne vuoi, ma vuoi goderti un’intensa vita sessuale? La legge ha proclamato diritto l’aborto.

Non si fanno figli per egoismo ma anche per l’assenza di una cultura comunitaria favorevole alla vita e perché la cultura individualista, quella dei diritti, del consumo e del principio di piacere, vanno in direzione opposta. La denatalità è in parte esito del consumismo. Sì, le idee a cui abbiamo consacrato le nostre vite hanno conseguenze.

Di diritto in diritto, la megamacchina che ci dirige ha trasformato le possibilità in obblighi, quasi in doveri sociali. Dovere il week end con annesse code, stanchezza, dovere il consumo fatto compulsione.  

Quanto è comodo il centro commerciale con parcheggio, lì si trova tutto, specialmente l’inutile, un bel calduccio l’inverno, fresco d’estate. Si può pagare con la carta di credito (cioè di debito). Quanto è comoda, che importa se qualcuno ha in mano il tuo denaro “vero”. Che strano, però, chiudono i negozi di quartiere, la mamma e la nonna non trovano più pane e latte, si aggirano solitarie nell’agosto desolato senza punti di riferimento.

Anche il mercato dello spirito sconta le conseguenze delle idee. La Chiesa cattolica ha sostituito l’uomo a Dio (la chiamano scelta antropologica). Risultato: chiese vuote, sbadigli durante le messe, in cui i sempre più rari presenti guardano l’orologio, vocazioni ai minimi storici. Ogni civiltà ha cercato in ogni tempo di offrire stabilità, orientare. Le cose permanenti davano sicurezza e direzione. Noi, in omaggio alla libertà, ai diritti, all’emancipazione, siamo divenuti precari della vita.  Anche essere senza principi stabili, è un diritto. La conseguenza è lo smarrimento dell’identità. Il disagio che viviamo a milioni, ma che non ci convince a diventare oppositori attivi del tempo presente è conseguenza delle idee che abbiamo posto a fondamento delle nostre vite.

In questo periodo dell’anno, l’agosto, tocchiamo con mano quanto avanzato sia il processo di decomposizione sociale. Se ne avvertono i miasmi. Poi arriveranno i temporali, si tornerà a casa e tutto sembrerà continuare come prima.

 

 

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