Pietre rovesciate, ferite, spuntoni di ferro umiliati e curvati come fuscelli e poi cumuli grigi e immensi di cemento e lamiere. La terra trema e, prepotente, attira a sé ogni cosa. Presagi e segni, oh! se solo fossimo ancora capaci di intenderli. Invece, davanti allo spazio devastato, a questa voragine di morte che chiude l’orizzonte dei nostri pensieri, il Tempo si innalza, trionfale e meschino; il tempo di quello che fu e che ora giace inerte al suolo, e il tempo che fugge in avanti, di ciò che tornerà ad essere, o di ciò che, ancora sconosciuto, sarà. Memorie e speranze si uniscono in un unico lamento. Ma non sono le pietre abbattute a parlare, a suggerire questa vittoria del tempo; sono voci che si espandono nella mente, giochi ingannevoli vestiti di forza e ragionevolezza. Ricostruire non può essere solo un atto che chiama l’energica volontà, ricostruire invoca la capacità di sguardo, obbliga l’immaginario a farsi presente, e lascia così spazio al rinnovare, segno che rimanda a forme dell’intelletto, a piani di ordine superiore. L’Interno precede l’Esterno: a questo spazio intimo si rivolgono le nostre parole, sollecito ad un agire più profondo ed “ultimo”.
Per quanto misteriosi e tremendi, fenomeni come i terremoti non sono tuttavia imprevedibili e hanno una spiegazione “occulta”. Certo i valenti scienziati – e non solo loro, ahimè – riderebbero di tali affermazioni, ma qui la “scienza profana” non c’entra, e ad essa non pensiamo di sostituirci; c’entrano invece il considerare e sperimentare il Cosmo come un unicum, e tenere a fuoco le leggi dello spirito che nessuna idolatria umana può pensare di scansare in maniera indolore.
Quando le forze di attrazione dei pianeti nei confronti della Terra si sommano, la nostra sfera si deforma e sussulta: ciò che si trova in alto chiama ciò che sta in basso. Ma vi è ancora dell’altro. «Le potenze dei cieli sarebbero state sconvolte», sta scritto – e sta puntualmente avvenendo – ma anche qui sul nostro globo e nelle sue profondità l’ordine della materia è stato alterato dall’opera nefasta dell’uomo – il banale ecologismo sfiora appena la superficie e perciò non coglie il bersaglio. Uno squilibrio chiama e rafforza l’altro squilibrio, così in questo rapporto fra Cielo e Terra divenuto malato si generano i turbamenti tellurici e anche le eruzioni di vulcani. Il fuoco “superiore”, celeste, risveglia il fuoco “interno” della terra. Tutto preparato al millimetro dall’astuto Avversario. Linguaggio muto ma eloquente per chi sa intendere i simboli.
Qui si manifesta per l’appunto, la profondità di vedute, l’estensione del respiro dell’uomo. Cosa immaginano i nostri occhi, davanti alla devastazione? Fin dove ci lasciamo condurre? Ci facciamo anche noi trascinare dalla gravità e cadere come pietre malconce e disordinate? Le macerie di cemento rappresentano in fondo le macerie del pensiero, di una civiltà ideale che è crollata dentro le nostre menti prima ancora che davanti ai nostri volti. Non resta altro che polvere e vento, ormai, e le seducenti parole della modernità a riempire quel vuoto.
Un atto di coraggio è il solo possibile, ma non vi può essere coraggio senza vera umiltà. L’uomo, purtroppo, si dimostra conservativo, persino quando è progressista: in fondo non fa che conservare la sua errata convinzione di fronte alle leggi di realtà che, seppur segretamente, la negano. Ma qui non si tratta di “giusta” conservazione; bisogna incarnare, semmai, una «conservazione rivoluzionaria». L’uomo proteso verso la Verità è un uomo che si converte ogni giorno, per restare fedelmente se stesso. Paradossi che solo chi esperimenta le realtà sottili può comprendere.
Davanti alle macerie, teniamo gli occhi bassi e dolenti, mentre dovremmo sollevare lo sguardo al cielo. L’astro che fa sorgere i nostri giorni, le illumina tanto da renderle quasi splendenti. Le macerie simboliche sono l’ultima opportunità per ripensare la vita e la società, l’uomo e il cosmo sin dalle fondamenta, perché ogni cosa prima si rinnovi dentro di noi, in attesa che venga rinnovata anche dall’alto, fuori di noi. Non possiamo accontentarci di riportare tutto a come fu un tempo, semplicemente cancellando le ferite. La disarmonia eretta dalle colpe dell’umanità, si ricompone solamente con il sacrificio – prima di ogni altra cosa – intellettuale. Dobbiamo fare macerie delle nostre più stringenti convinzioni, delle nostre superbe certezze, delle nostre fraterne consuetudini. È proprio in queste torri eburnee che si annida il germe velenoso della modernità. Comprendere che tutto oggi è falso e deforme, che tutto è fuori norma, è il primo passo, e sappiamo bene che è il più duro! Il tempo davanti a noi non sarà molto, ma chi misura la vita secondo il metro dell’eternità sa che ogni momento è propizio. Il Cielo sta chiamando, ora è l’anima (la terra) che deve sussultare.