Lenin, Sun Yat Sen e Viktor Orban
Il ciclo nazionalista borghese europeo, apertosi convenzionalmente con la crisi del 2008 ed acuitosi con l’ascesa di Donald Trump alla presidenza statunitense volge adesso in uno stato di stagnazione dovuto a molteplici sviluppi. La rincorsa alle elezioni europee del 2019, l’attesa per gli sviluppi delle partite commerciali Usa-UE Usa-Cina e lo stallo tra Regno Unito ed Unione Europea hanno messo in sospensione il processo di strutturazione dell’Europa burocratica contro gli Stati Uniti.
In questo contesto abbondano le sortite nel campo avversario, tese soprattutto alla effettiva valutazione della reattività altrui. In tal senso i desiderata di Steve Bannon ed i progetti di Viktor Orban si raccolgono attorno ad un progetto ormai palese di decostruzione delle burocrazie europee da parte di alcuni attori ad una volta populisti, antieuropei e liberisti. La proposta di Orban è meritevole d’esser vista da vicino, non tanto per la sua coerenza, che è pari a zero essendo il paese due volte strozzato da EU e NATO, ma per rimarcare come l’opposizione al progetto paneuropeo si nutra di un anticapitalismo di destra che non ha alcun ruolo effettivo nella realtà.
Orban propone un nuovo patto tanto all’interno quanto all’esterno del paese. All’interno egli chiede che la sua politica liberista ed antipopolare, espressamente rivolta ad attirare capitale nel paese ed a premiare la grande borghesia ungherese, non si saldi con i ceti cosmopoliti di cui la maggior parte dei rentier che da certe politiche traggono giovamento fanno parte. In particolare Orban chiede quindi che il liberismo economico conduca alla rinascita di una borghesia nazionale patriottica. In politica estera Orban chiede il degradamento biologico della UE ad una confederazione di interessi deboli, e vuole raggiungere questo obbiettivo riunendo le piccole borghesie nazionali contro i centri franco-tedeschi. Questa agenda estera è facilmente spendibile fuori dall’Ungheria, dato che è la base (equivoca, secondo chi scrive) di tutti i nazionalismi borghesi europei.
Questa operazione ha un saldo appiglio in un grande inganno che è l’anticapitalismo “di destra” in contesti democratici. Il mercanteggiamento proposto da Orban è due volte ipocrita: prima di tutto perché ignora le condizioni oggettive in cui il liberismo europeo si è costruito (le necessità franco-tedesche), ed in secondo luogo perché consapevolmente scambia l’Europa con alcune posizioni che la stessa burocrazia europea può decidere di cambiare. L’anticapitalismo di destra di Orban finisce quindi per essere un fermaporte in grado di tenere insieme la baracca europea nei fatti ed eclissarla a parole.
Storicamente questo sdoppiamento operativo si verifica in contesti in cui l’attivismo politico pare essere particolarmente efficace. Lenin, in un testo del 1912, accusava Sun Yat Sen, presidente democratico cinese, di vivere uno sdoppiamento assoluto. Sun Yat Sen, argomentava Lenin, soggettivamente credeva di introdurre il socialismo in Cina mediante la riforma agraria che liberava le terre dai limiti feudali ed uniformando tassazione e status delle proprietà: oggettivamente, tuttavia, egli introduceva le riforme necessarie al capitalismo, cioè alla libera compravendita di terra ed al libero movimento di merci e capitali, senza i quali alcun capitalismo sorge. In altri termini, il contenuto sociale delle riforme di Sun Yat Sen era l’esatto opposto di quanto, in assoluta buonafede, Sun Yat Sen riteneva di fare.
Riprendendo in mano la chiave inglese teorica di Lenin ed applicandola ad Orban, egli soggettivamente crede di contrastare il liberismo europeo e la presa dei capitali esteri mentre, oggettivamente, crea le condizioni di passaggio (o ritorno) in Ungheria di una condizione di debolezza e di alta pressione dei capitali internazionali. Questa discrasia è, forse, voluta, ma inevitabilmente costituisce un vulnus teorico (e pratico) serio in un momento tanto delicato per i popoli europei.