Ludofollia

 

Ludofollia

Théodore Géricault (Rouen, 1791-Parigi,1824) tra il 1822 ed il ’23 dipinse dieci ritratti di alienati forse ospiti del manicomio parigino di Salpêtrière, su commissione, pare, del medico Etienne-Jean Georget; ne restano soltanto cinque tra i quali Alienata con la monomania del gioco.

La psichiatria muoveva i primi passi alla ricerca d’una diagnosi di scienza sui disturbi del comportamento partendo dallo studio fisiognomico dei soggetti per carpire indizi sulle malattie mentali e classificarle. Cesare Lombroso, con la teoria dell’antropologia criminale, era lontano per metodo di studi, presunta scientificità delle ipotesi, approccio diagnostico, anzi fu radiato dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia, il suo lavoro cestinato perché privo di fondamenti, però anche lui aveva puntato la sua lente sull’epifania più evidente dell’uomo, la fisionomia.

Quando al mattino vado in tabaccheria vi incontro sempre una signora anziana, d’una magrezza un po’ stizzita, ha l’occhio prigioniero dello schermo dove compaiono i numeri del 10 e lotto, senza contare poi i grattini che spoglia in fretta nella febbre alta d’una rincorsa svolta e mi ricorda tanto quel ritratto del giovane maestro della Zattera della Medusa.

Fiammella ti amo recita un graffito spray sul muro della tabaccheria di Mariella Rota, contrasta con l’umile serranda abbassata, le volanti della Squadra Mobile in sosta a via Melacrino, i capannelli di amici, curiosi, residenti.

Casa e bottega a due passi, vicini al salotto buono di Reggio Calabria, lì Mariella disegnava ogni giorno un trattino della sua vita, felice di lavorare raccogliendo, dal ’97, l’attività di famiglia, celibe, un fratello morto da due anni, sessantasei anni, gentile, riservata, benvoluta da tutti.

Dietro l’angolo di martedì 30 luglio, verso le 13.00, Mariella ha incontrato inaspettata la morte, quella armata di falce o peggio d’una mannaia ghigliottina, presunta arma d’un ludopatico omicida, dice la cronaca tal Billi Jay Sicat, filippino quarantatreenne da cinque anni in Italia.

Di lui sappiamo poco o niente, uno dei tanti clienti che affollano le tabaccherie per la malaria del gioco che in apparenza non uccide come il tabacco ma rosicchia le già magre pensioni, i salari di fame, pescando sul vizio antico di puntare quel poco nell’illusione allucinante d’un colpaccio cambia vita, quella metamorfosi sognata di trasformarsi da umili ranocchi in anfitrioni godendosi una vita da cicale schiacciando le formiche.

Il presunto killer deve aver partorito, nella propria pazzia, che la colpa della sua iella al gioco avesse le sembianze di Mariella, chissà gli portava sfortuna o peggio mulinava nel cervello impossibili imbrogli, fatto sta che s’è infilato nel negozio all’ora di chiusura consumando un regolamento di conti, una sorta di rito vudù ancestrale per liberarsi del fantasma della iattura. 

Caso risolto in poche ore, le telecamere di sorveglianza hanno spiato l’accaduto, le indagini hanno virato dalla rapina alla possibile follia d’una vendetta da parte di un uomo malato precipitato nell’abisso del gioco, nella spirale elicoidale della diabolica vocina: riprova, riprova ancora, ancora senza soluzione di continuità. Quella, per intenderci, istigatrice ma coperta dall’ipocrita avvertimento: attenzione il gioco può creare dipendenza, così l’etica è salva, io t’ho avvertito, sprofondare all’inferno è affar tuo, un modo di lavarsi la coscienza, esattamente come quel il fumo uccide, smetti subito, però fabbrico sigarette, le smercio e te le vendo con immagini scioccanti da cinema splatter.

Un Paese a crescita pressoché 0 scialacqua il proprio denaro scommettendo sulla dea bendata, la prenestina Fortuna primigenia, non sul lavoro, l’impresa. Quasi 102 miliardi di € bruciati nel solo 2017 con una crescita progressiva esponenziale, è il dramma del mal vivere cui resta solo il gancio casuale della buona sorte, ci si aggrappa in massa visto che i santini non fanno più miracoli.  

Ma l’Eldorado immaginario ha un padre lenone, lo Stato, il gioco è assai lucroso per il Fisco, per le sue grinfie usuraie, ci si fa un capitolo del DEF, pensate siamo in vetta all’UE per incassi dal gioco d’azzardo (dati 2018); pubblico, privati e mafie, accomunati dallo stesso obiettivo, far festa incassando zecchini d’oro dalla credulità umana. C’è chi obietterà: ma qualcuno vince, certo magari 20 € dopo averne spesi chissà quanti, viene da quell’anoressico successo il calcetto verso l’abisso dove il croupier continua a sussurrarti: Mesdames et messieurs faites nos jeux.

Diceva Ennio Flaiano: l’Italia è il Paese del Totocalcio. Già com’è lontana quella fragile, romantica schedina piegata, 1 X 2, speranzella della formica custodita dentro il portafogli per mordere il destino strappandogli le ali.

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