Mal d’Africa: Il caso Gheddafi per capire Occidente ed Europa
Da almeno una quindicina d’anni viene raccontata ai beoti occidentalizzati la leggenda dell’instabilità politica e finanziaria in Tunisia, Libia e Nord Africa. Condita dell’ingrediente americano che, grazie alle manovre umanitarie e finanziarie francesi e statunitensi il Nord Africa sarebbe stato salvato dalle influenze russe e cinesi. È ora di raccontarvi come stanno le cose. Perché possiate prestare buon ascolto è meglio che sgombriate la memoria dal ricordo delle “primavere arabe”, soprattutto che dismettiate sia il televisore che di dare retta alla cosiddetta “stampa istituzionale”. L’esempio della Libia è quello più vicino a noi italiani, e forse meglio di altri permette di comprendere come l’Occidente influisca nella vita del Nord Africa.
Corrono i primi anni del terzo millennio. Mu’ammar Gheddafi sa che ben presto dovrà affidare ad un “lodo democratico” (forse elezioni) il cambio di classe dirigente in Libia. Sa che gran parte del popolo vorrebbe succedesse al rais suo figlio Saif. Ma fonti d’intelligence araba suggeriscono a Gheddafi di prevedere il peggio: ovvero un colpo di stato, una rivoluzione, casomai finanziata dagli stessi 007 finanziari che buttarono giù Bettino Craxi nel 1992. Gheddafi riflette e ricorda, gli sembra sia avvenuta appena ieri la riunione del 1967, nel Grand Hotel italiano di Abano Terme: lì dove gli emissari del generale italiano Gianadelio Maletti e quelli del suo omologo francese Alexandre de Marenches davano al giovane ufficiale libico risorse finanziarie ed armi sufficienti a buttare giù il debole re Idris; operazione che Italia e Francia fecero con l’assenso del russo Kosygin e sotto il benevolo silenzio di Henry Kissinger.
Quel giorno Giulio Andreotti confidava ridacchiando al suo fido Evangelisti “finalmente ho una bella moglie americana ed una buona amante araba…”. Il risultato non si faceva attendere, e per circa quarant’anni Italia e Francia giocavano il ruolo dei ladri di Pisa che, litigano di giorno davanti alle guardie per poi di notte rubare pacificamente tutti insieme. Così, per rendere credibile il ruolo, Gheddafi doveva pubblicamente parlare male d’Italia e Francia: ma senza Eni ed Elf Aquitaine non muoveva nemmeno un passo negli insidiosi ma ricchi mercati petroliferi occidentali. Ma dopo il 2000 gli equilibri erano assai diversi, perché tramontati referenti e coperture: basti solo pensare che non c’era più l’Unione Sovietica, Putin era impegnato a risolvere i tanti problemi interni cagionati dalla gestione Eltsin e non poteva ancora esporsi in Nord Africa. Con una Russia forte, l’Occidente non si sarebbe mai azzardato ad aggredire militarmente l’Iraq di Saddam Hussein e nemmeno la Libia di Mu’ammar Gheddafi, e nemmeno ci sarebbero state le “primavere arabe” finanziate da Soros e benedette dal Pentagono dei Clinton. Invece l’Occidente ha approfittato del momento, incendiando il mondo arabo dal Medioriente al Nord Africa.
Siamo nel 2008 e, complice la grande crisi economica, Gheddafi si sincera personalmente che in Francia potrebbe consumare la sua vecchiaia, l’esilio dorato: perché da più di duecento anni la “grande democrazia europea” non nega mai ospitalità a chi per motivi politici abbandona (o fugge) la propria patria. Gheddafi aveva da almeno due decenni dismesso i propri investimenti in Italia, dopo che gli intrighi bancari di Enrico Cuccia lo avevano messo fuori dal pacchetto azionario Fiat. Qualche cosa era rimasta tra Roma e Perugia, ma solo perché un suo figliolo giocava a calcio. Di fatto Gheddafi aveva affidato la gestione dei suoi incalcolabili patrimoni (danaro, oro, pietre preziose, commodity, privative, azioni, obbligazioni…) ai più importanti consulenti finanziari di Francia: banchieri legati a fil doppio con la politica, uomini conosciuti in tutto il pianeta come esponenti delle multinazionali e finanziarie francesi. Il patrimonio di Gheddafi faceva gola a troppi anche in Italia, dove possedeva ancora discrete partecipazioni dal turismo al calcio, dall’industria alle banche. I gruppi che gestivano i patrimoni del rais disponevano di studi legali in grado di far sparire ogni traccia di quei beni, soprattutto in caso d’estinzione di Gheddafi e famiglia. A governare l’Italia c’era Silvio Berlusconi, mentre all’Eliseo “regnava” Nicolas Sarkozy. Sull’onda delle primavere arabe, i gruppi di pressione finanziaria iniziavano a suggerire ai governanti che “i mercati premierebbero un intervento militare umanitario in Libia”. Il presidente italiano e quello francese non sapevano letteralmente che fare. Intanto i gruppi economici che avevano appoggiato l’ascesa di Sarkozy chiedevano guerra alla Libia di Gheddafi. Sarkozy approva l’attacco alla Libia, ben conscio delle trame dei banchieri francesi. Iniziavano i bombardamenti, e Gheddafi aveva capito d’essere stato gabbato. Quindi cercava con i suoi fedelissimi di costruirsi una roccaforte nella Sirte.
Però dal confinante Mali erano entrate in Libia le feroci milizie mercenarie, ben armate e formate da ex militari della Legion Etrangere: contractor specializzati, che le multinazionali (soprattutto francesi, olandesi e belghe) usano per mettere in sicurezza i territori estrattivi del centro Africa. Così Gheddafi veniva velocemente localizzato, neutralizzato e barbaramente ucciso. Nessun esilio dorato e, soprattutto, l’enorme tesoro del rais veniva volatilizzato: solo in Italia le autorità sequestravano (su spinta Onu) un alberghetto, una villetta e qualche inezia di poco conto. Ma i fondi sovrani depositati in Francia sparivano nel nulla, nella totale ovattata omertà delle grandi famiglie della finanza.
Ma c’è uno scomodo testimone che potrebbe parlare, non accettando la sua estromissione dalla politica: Nicolas Sarkozy potrebbe non più gradire ricada solo su di lui la responsabilità della guerra alla Libia, mentre i potenti della finanza si sono spartiti i fondi del rais. Così si scatena l’arma mediatico-giudiziaria su Nicolas Sarkozy: accuse, condanna dell’opinione pubblica, reclusione. Tutto per scongiurare riveli chi sono i banchieri che hanno approfittato delle “primavere arabe”? Sarkozy giura di rialzarsi, e perché in Francia ogni uomo che s’è scottato col potere è una sorta di “Conte di Montecristo”. Ma la “revanche” è figlia d’un tempo romantico della politica, al momento tecnologia e finanza pare abbiano vinto e coperto ogni traccia del misfatto: e per meglio apparire oggi finanziano le Ong, quelle che traggono utile dalle operazioni umanitarie. Poi mettono anche in giro la leggenda che le multinazionali (autrici del neo-colonialismo) avrebbero salvato l’Africa da russi e cinesi, e l’Occidente ci crede pure.
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