Mantenere le posizioni non basta. Posizionarsi fra teoria politica e prassi strategica
“È importante, è essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed un’assoluta intransigenza l’idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell’uomo nuovo, dell’uomo della resistenza, dell’uomo dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di ordine vacillante e illusorio, solo a quest’uomo spetterà il futuro.” (Julius Evola).
Quante volte abbiamo letto queste frasi tratte dal saggio metapolitico Orientamenti di Julius Evola. Negli ultimi anni, anche se in un cammino lastricato di buone intenzioni misto a mendaci posizionamenti, diversi tentativi sono stati effettuati, ahimè tutti falliti per varie motivazioni spesso dovute a fattori esogeni e ad errori attuativi.
La recente pandemia da COVID19 che tante tragedie ha causato, destinate forse a terminare nella loro fase sanitaria, ma che certamente non si esauriranno negli effetti da Dopobomba che stanno venendosi a creare dal punto di vista economico e sociale, ci impone una decisa riflessione sul prossimo futuro. Futuro che non potrà vedere quei manipoli di uomini liberi – che ancora solcano il suolo patrio – rimanere inermi (e inerti).
Ma cosa significa allora “posizionarsi”?
Posizionarsi in questo momento di indubbia confusione nella comunità nazionale, significa molto, e significa non poter sbagliare il posizionamento; scelta che avrà i suoi riflessi anche nel medio lungo periodo.
Da una parte è evidente la necessità di “posizionare” una precisa Teoria Politica. Ci sono dei punti fermi che non possono essere demandati o concessi al nemico che si vuole combattere. Sono stati coniugati ripetutamente e compiutamente in tutti in quei progetti falliti di cui facevamo accenno prima. Non c’è molto da aggiungere se non elencare, in qualsiasi manifesto politico venga elaborato, quei capisaldi che devono contraddistinguere un reale progetto sovranista; e per reale non intendo certo far riferimento a quei mezzi-feti di populismi italioti che solcano l’arco partitocratico odierno.
Ben più difficile è il posizionamento della prassi strategica. Qualsiasi azione politica o metapolitica venga intrapresa, non può fare a meno di dotarsi di due strumenti fondamentali: un nuovo linguaggio e una organizzata strategia.
L’utilizzo di un nuovo linguaggio è fondamentale. Non si può continuare nel pernicioso utilizzo degli “ismi novecenteschi”. Si rischia, oltre allo stallo in inutili dibattiti e alla esclusione ad libitum di qualsiasi persona o gruppo fattivamente utile al progetto. Ma si tratta di entrare a pieno nel XXI secolo, laddove l’utilizzo di linguaggi appropriati, tecnici, comunicativi, postmoderni. E questo senza che nessuno debba rinunciare ai propri punti di riferimento ideologici o tradizionali. Si tratta di utilizzare linguaggi che non viaggino sulla stessa lunghezza d’onda del mainstream e dei social, ma di creare linguaggi alternativi, comprensibili e non artefatti. E la situazione pandemica odierna può aiutare questo percorso.
L’altro strumento menzionato è ancora più importante: accostare l’aggettivo organizzata al termine strategia può sembrare ridondante ma non lo è. La mancanza di organizzazione, di ordine e di disciplina, all’interno di una strategia anche ben ideata, ne può vanificare tutti gli sforzi. Per chiarire questo punto possiamo usare una metafora militare: non si può inviare al fronte truppe motorizzate se prima non se ne è organizzata la filiera per il rifornimento dei carburanti. L’Élite a cui faceva menzione Evola, deve essere disciplinata in tutti i suoi ambiti, per prevenirne sia il Kaos, sia la mancanza di competenza tecnica.
Posizionarsi adesso in un contesto politico nazionale ed internazionale fluido come non mai, può aprire molte strade. Ma ciò deve essere fatto con ordine e con determinazione. E con una buona dose di coraggio.