Due i cortei che hanno sfilato per le vie del porto di Tolone dopo l’attracco della nave corsara ‘Ocean Viking’ alla banchina internazionale, che é quasi Francia: la Francia tutta di un colpo sarebbe stato un lusso eccessivo. Quei cortei, allora. Uno, della ‘gauche’ arcobaleno che dava il benvenuto ai clandestini, accusando ovviamente il nuovo Governo italiano di averli respinti e quindi di aver dato prova della sua innata malvagità. L’altro, della Destra nazionalista, che rimproverava Macron per aver portato avanti una politica troppo remissiva nei confronti dell”invasione’, e quindi di aver ceduto alla richiesta da parte dell’Italia di farsi carico almeno di quella nave, delle tante che partecipano al D.Day, in programma quasi ogni giorno, da vecchia data, sulle coste della Sicilia.
In buona sostanza, quando si tratta di lucrare a danno del nostro Paese, le distinzioni tra Destra e Sinistra in Francia scompaiono come per incanto: ciò che avviene regolarmente anche in relazione ad altre questioni, quali la continuità della dominazione coloniale in Africa, che ha luogo sulla base di ricette risalenti all’800, l’invio di truppe per sostenere i Governi-fantoccio minacciati dalla fronda interna o per abbatterli quando osano alzare la testa; la predazione e lo sfruttamento sistematico, anche con l’impiego di manodopera minorile, delle risorse esistenti nei Paesi a sud del Sahara la cui indipendenza é solo un pezzo di carta, che dipende da altri pezzi di carta, ben più importanti, come il CFA stampato dalla Banque de France, qualcosa, insomma, di molto meno soave della signorina che porta il cagnolino al guinzaglio, nei disegni di Peynet.
Il fatto che una parte cospicua del fenomeno migratorio tragga origine dal Sahel, cioè da una zona soggetta all’influenza francese, dovrebbe persuadere i nostri infidi vicini di casa ad esercitare verso i migranti, per lo più francofoni, la stessa ospitalità incondizionata che essi vorrebbero imporre all’Italia, nonostante il nostro Paese sia completamente estraneo, diversamente da Parigi, alla creazione dei motivi per i quali si é scatenata la diaspora verso il Mediterraneo.
Tutto ciò accade facendo surrettiziamente appello a leggi e a regolamenti che non hanno alcun senso – ove fossero scritti in maniera impeccabile e non apparissero ‘superati’ alla luce dei nuovi eventi – che quello di mutuare da Metternich l’insulto rivolto, nel 1847, all’Italia nel definirla ‘una semplice espressione geografica’, perché é evidente come la sua centralità in un bacino su cui si affacciano molti Paesi e molte realtà, assai diverse l’una dall’altra, venga avvertita, non solo dai Francesi, come una naturale predisposizione all’accoglienza indiscriminata, e non, al contrario, come un incentivo a cercare coi partner europei e con gli inquilini arabi dell’altra sponda, un buon vaccino contro i rischi dell’invasione, tanto più – aggiungo – che i confini italiani, costituiti per quasi quattro quinti dal bagnasciuga, sono, per la proprietà transitiva, anche quelli meridionali dell’Unione.
La verità é che, nell’ equiparare il mal comune al mezzo gaudio (una pratica che spesso ci salva da una sicura perdizione) i Tedeschi che parlano bene di Erdogan perché non vogliono alienarsi l’elettorato islamico, e i Francesi che non entrano, in divisa, nelle borgate di Nizza e di Marsiglia abitate dai neri, fanno sotto traccia il tifo perché quel maghrebino che un giorno di tanti anni fa – pessimo presagio – vidi pisciare, girato di spalle, sulla statua di Garibaldi, diventi una moltitudine grigia, in preda ad incontenibili urgenze, e che essa si sfoghi dentro il pantheon dei nostri padri della Patria.
L’invidia, checché ne dicano i troppi soloni acquartierati sul web e sulla carta stampata, é uno dei fattori che contendono all’odio – questo nobile sentimento purtroppo ingiustamente diffamato – la speciale prerogativa di fare la Storia, ma c’é qualcos’altro che sfugge o che rimane impegolato nell’ovatta delle locuzioni diplomatiche e nel placido minuetto del ‘politicamente corretto’, ed é l’anamnesi dei rapporti tra Italiani e Francesi, a cominciare dal 1768, anno in cui i transalpini s’impossessarono della Corsica con la scusa che i Genovesi, che li stipendiavano per reprimere l’indipendentismo degli isolani (cosa che non fecero rimanendo del tutto inattivi nelle piazzeforti prese in affitto), avevano finito i soldi, per continuare col trattato di Campoformio del 1797 che abrogò la serenissima Repubblica di Venezia – i carriaggi pieni di opere d’arte rubate – facendo piangere il Foscolo.
E poi, poi, l’oscena postura del cravattaro dietro i compensi territoriali (Nizza e la Savoia) reclamati per la partecipazione alla guerra contro gli Austriaci; il mattatoio di Aigues Mortes; la puzza di formaggio e di sangue dei goumiers che violentavano i bambini disperdendosi nella Ciociaria al comando del generale Juin; l’assassinio di Enrico Mattei con quasi tutti gli indizi che viaggiano a ritroso verso lo SDECE. E poi, poi, l’attacco a Gheddafi per toglierci di mezzo dalla concorrenza sul petrolio libico con l’avallo di due presidenti italiani, uno del Consiglio e l’altro della Repubblica, riguardo ai quali si é incerti se si attagli di più la fattispecie della colpa, dovuta alle conseguenze della vecchiaia, o quella del dolo, ovvero del tradimento.
Sull’agenda, divisa in due sezioni, rispettivamente per l”avere’ e per il ‘dare’, che riporta gli sviluppi salienti di questo burrascoso rapporto coi Francesi, compare la ‘pugnalata alle spalle’ infertagli dal ‘Duce’ nel giugno del 1940, che si risolse, ad essere obiettivi, nel dispiegamento, a mo’ di parata, di trentatré divisioni oltre frontiera, solo al fine di precostituirsi il diritto a discutere di pace quando – sembrava questione di giorni – la guerra fosse terminata, coi Tedeschi che erano ormai giunti alle porte di Parigi e con tante allegre donnine che si apprestavano a ricevere Heinrich e Franz nel fumo torbido dei bistrot: fu come accoltellare un cadavere, un atto inelegante se si bada allo stile (mai saputo, infatti, di qualcuno che sia morto due volte) ma non c’é assolutamente paragone con una congerie di fatti che vedono da sempre i Francesi, di qualunque colore politico, impegnati, con tutte le loro forze, nel renderci agra la vita. Anche adesso con questa storia dei migranti, che non sono dei migranti, e col dogma dell’accoglienza che vale solo per gli Italiani perché, spalancando le frontiere a chiunque voglia ignorarle, e per ciascuno che mette, inaspettato ed indesiderato, il proprio piede sul suolo italico, si riduce proporzionatamente la distanza che ci divide dai teorici del meticciato universale e della liquidazione dell’Occidente, come Papa Francesco e Kalergy, mentre, nel Paese- il nostro- individuato non si sa esattamente da chi, come banco di prova del Nuovo Ordine Mondiale, aumenta l’insicurezza collettiva (nelle stazioni delle grandi città, assediate da centinaia di sbandati, scende ogni notte la notte di Halloween, spesso anche di giorno), l’economia risente degli esborsi messi in atto per ‘mantenere’ i clandestini, si allentano i vincoli identitari che fanno la differenza tra una moltitudine e una Nazione.
Ora che questo Macron (al quale la ‘i’ dopo l’iniziale sarebbe parsa più confacente) chiami a raccolta, soffiando nelle trombe di Gerico, tutti i popoli dell’Unione perché sanzionino pesantemente la ribellione dell’Italia, non é per me una sorpresa, tenuto conto non solo dei trascorsi storici che si perdono negli abissi del tempo, ma anche di alcune immagini ai quali, a parer mio, é stata prestata di recente scarsa attenzione: quella, nello specifico, del presidente francese, novello Carlo VIII, che piomba, dispensando enormi sorrisi e pacche sulle spalle, in Italia dopo l’assunzione della carica di ‘premier’ da parte della Meloni, quasi a voler comunicare ai vertici dell’Unione che ci avrebbe pensato lui, che era tutto sotto controllo, la pantomima tipica dei mafiosi e dei bari.
Qualcuno, colpito da tanta indecenza, come il generale Li Gobbi, ha restituito la ‘Legion d’Onore’, niente più di una patacca, ma dotata di un misterioso potere di fascinazione e di corruzione, che, però, si deprezza perché ce ne sono troppe in giro, specialmente nei paraggi del PD, il valore del Papiermark nel ’23.
Qualcun altro, manco a dirlo, se la tiene stretta, i vari Franceschini, i vari Letta, la signora Bonino, la signora Pinotti, ex ministro della Difesa, ma non ci ho neppure scommesso: al botteghino mi avrebbero sbattuto lo sportello in faccia.