Non chiedete a Thelma e a Louise

 

Non chiedete a Thelma e a Louise

La fine della Storia fu preconizzata dal politologo americano Francis Fukuyama col libro ‘The End of History and the Last Man’, del 1992 (annus horribilis, da enucleare dal calendario, anche a costo di riformarlo ) allorché, nel meditare sulle macerie che erano rimaste a ricordo del muro di Berlino, contrasse l’illusione che col trionfo della democrazia liberale e col riscatto dei diritti civili dalla cattività patita sotto i regimi totalitari, potevamo radunare i bagagli e scendere tutti dal treno. Ultima stazione. Pare che stabilire se fosse quella della località scelta per le vacanze, o quella di una nuova Auschwitz, non avesse, sulle prime, molta importanza.

A tutti i ragionamenti fatti da Fukuyama mancava, per soprammercato, il più pedestre degli assunti: quello secondo il quale anche per Alessandro Magno, accampato sulla riva destra dell’Indo – la vampa di un focherello che gli proiettava dei guizzi rossi e arancione sul viso – la Storia finiva lì, e quello, inoltre, che il liberismo, eccitato dal collasso dell’Unione Sovietica, non solo avrebbe tentato, in tutti i modi, di espandersi (senza l’esclusione pregiudiziale della forza), con la pretesa di costituire, tra tutti i sistemi possibili, la migliore delle risposte ai bisogni del genere umano, ma avrebbe, paradossalmente, accentuato le potenzialità negative del proprio temperamento facendo tralignare le ragioni dell’individuo nell’apoteosi del solipsismo (a detrimento dell’autorità dello Stato) e legittimando la libera iniziativa fino al punto da conferirle il tratto deteriore di una campagna di sterminio nei confronti di tutti coloro che si sarebbero attardati, a cominciare pleonasticamente dagli ultimi: il libretto della ‘decrescita felice’, scritto per il lugubre cinguettio di una minorata con le treccine, e il prosciugamento della ricchezza, stimata su base planetaria, che si è come rattrappita in un fazzoletto d’acqua circondato da una distesa di sale.

La Storia, dunque,  non si è adempiuta con la vittoria del liberismo, ma ha chiuso i battenti sul ciclo della competizione bipolare tra  USA -URSS, risalente alla conferenza di Yalta, e ne ha aperto un altro in cui il pignoramento all’uomo, inteso come cittadino e come lavoratore, della sua dignità, da parte degli ‘illuminati’, è una pratica che ha ormai  gli anni contati perché ha lambito il limite oltre il quale essa produrrà un disastroso effetto-boomerang anche sui soggetti che oggi se ne avvantaggiano: l’inevitabile implosione di un mondo nel quale ci saranno troppo  pochi padroni per troppi schiavi.

Il sospetto (inopinatamente tardivo), da parte di Fukuyama, di aver preso una cantonata facendo coincidere, ebbro di entusiasmo, i titoli di coda della Storia con la vittoria, per abbandono, del Mercato sul collettivismo sovietico, fu all’origine, nel 1999, e poi, nel 2002, di due pubblicazioni, ‘The Great Disruption’ e  ‘Our Posthuman Future’ , nei quali redige, con la precisione dell’analista che scansiona le urine, l’elenco completo degli inconvenienti legati all’alleanza strategica tra tecnocrati ed Alta Banca, che era  già

stata stipulata all’indomani dell’89, senza che lui se ne fosse accorto, e che si potevano sintetizzare nell’aumento della criminalità e della disoccupazione, nella segregazione

degli anziani, nell’arretramento dello Stato dai territori, quali l’Economia e il Diritto, da cui poteva prevenire e calmierare gli eccessi delle parti nella società civile.

Era sfuggita in un primo momento a Fukuyama che gli equilibri scaturiscono dall’antagonismo delle forze e che in assenza di contrappesi la vocazione al ‘fai-da-tè’ delle democrazie liberali avrebbe degenerato nella beatificazione del profitto; che  l’applicazione di tecnologie sempre più sofisticate al mondo della produzione e ai più semplici adempimenti dell’esistenza quotidiana avrebbe, da un lato, sottratto ai giovani la possibilità di trovare facilmente un posto di lavoro, condannandoli a pascolare, ammassati gli uni agli altri, sul prato di una speranza disperata, mentre, dall’altro, avrebbe  chiuso gli uomini più attempati in una specie di sommergibile, di bozzolo, su cui si sarebbe spenta l’eco di un linguaggio, fatto di fonemi, di persone e di cose, che essi non capivano più.

Che, insomma, la Storia dovesse finire con la proliferazione, sotto forma di metastasi, del credo liberista, è una credenza che assomiglia molto a quella dei terrapiattisti, ai quali non viene mai da domandarsi cosa ci aspetti non appena si è arrivati sul bordo esterno del disco, e se non si corra seriamente il rischio di cadere di sotto.

Certamente, quella di Fukuyama era stata un’accattivante licenza poetica, o forse no, l’atto di fede di uno che amava ballare da solo sulla sua mattonella, il punto di vista (ciascuno di noi ne ha uno, che non può essere condiviso con nessun altro) dell’americano che scommetteva sui poteri taumaturgici dell’America.

La verità è che la Storia non finisce mai, come i rotoloni Regina, come lo spazio tra due punti di un segmento che si comporta da retta, come la parte decimale di una divisione inesatta. Ma può peggiorare se si preferisce concepirla alla stregua di una spirale che ruota incessantemente su sé stessa ad imitazione del DNA, così che il presente, nel tornare dalle parti del passato, ne è contagiato. Metti la pandemia: a filo con le tenebrose mischie del Durer. Metti la guerra in Ucraina: le motivazioni dell’Ottocento, la politica di potenza, il rapporto difficile tra etnie vicine, solo la stirpe dei Principi e dei Bresci, mannaggia, sembra essersi estinta. 

Qui – caro amico – tutto peggiora, stando almeno agli standards di qualche tempo fa. Le società che funzionano sono quelle col baricentro basso perché godono di una maggiore stabilità. Adesso, col vertice che si è allontanato dalla base, così tanto che l’uno e l’altra si sono persi di vista (non si vota in questo Paese da più di dieci anni   e alle urne, nelle consultazioni che contano di meno, ci vanno appena due persone su dieci), si avverte – io lo sento – una specie di stordimento, non saprei dirti se più simile a quello di uno che sta lì per cadere o a quello di uno che è già caduto.

Non ti dico della comunicazione, per la quale occorre che ci sia uno che parla e uno che ascolta, uno che trasmette mentre l’altro riceve. Qui, caro mio, non c’è più niente di tutto questo. È di moda, volenti o nolenti, parlarsi addosso. Un giorno tu andavi allo sportello dell’ente che aveva emesso la bolletta sbagliata e avevi davanti a te un essere umano, proprio un essere umano (se fossimo stati dei cani, per la felicità procurataci da quest’evento, avremmo scodinzolato): ora chiami al telefono un robot che ti dice premi uno se piripì piripé, premi due se piripi’ piripò, e se sbagli, per punizione, ricominci daccapo, ci passi tutta la vita.

Quella che chiamavamo comunità, quali che ne fossero le dimensioni, la natura e gli scopi, era formata da una moltitudine di individui caratterizzata dalla comune accettazione di uno statuto, di una regola. Qui – stiamo in Italia, ventunesimo secolo inoltrato – e gli individui, troppo compresi della ‘ratio’ di questo nome, agiscono scompostamente, ciascuno per proprio conto, come le bollicine d’aria nell’acqua durante l’ebollizione. L’io ipertrofico, esonerato da qualsiasi obbligo (una variante dell’anarchia, con un occhio equilatero che però controlla la situazione dal buco della serratura), può dare libero sfogo alla sua straripante vacuità, contribuendo all’erezione della Babele: non so di quanti piani, so solo che la torre si è notevolmente rastremata, siamo quasi alla fine.

Figurati, caro amico, che la Scuola, dalla quale hanno espunto la Storia e la Geografia  per privare i cittadini, sin da piccoli, di qualsiasi punto di riferimento nel tempo e per impedirgli di acquisire una corretta cognizione di dove stanno (con annessa incapacità  di fare degli utili paragoni tra ciò che è meglio o è peggio), che la Scuola – dicevo – nel  precipitare lungo l’asse inclinato sulla quale l’hanno adagiata i Padroni per poter disporre di una massa decerebrata e ignorante di semplici sottoposti, fa oggi concorrenza alla suburra televisiva: presidi in balia del sanguinoso protagonismo degli alunni, professori massacrati perché si sono permessi di criticarne la sfrontatezza. Era già tutto scritto: che avrebbero tentato in tutti i modi di distruggere l’ultimo ascensore sociale in circolazione, dopo il ‘gratta e vinci’ dal tabaccaio. Ormai manca poco.

A stringere, la Storia si muove, facendo solitamente dei passi avanti, soprattutto quando ci si mette di mezzo la tecnologia (che, per inciso, è nata per essere dominata, non certo per dominarci), sebbene in certi casi sarebbe preferibile farle fare di corsa dei passi indietro: nel dubbio – che io non ho – astenersi dal chiedere consiglio a Thelma e a Louise. Bye.

 

Immagine:www.geopolitica.ru

 

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