O Poesia, o morte! Recuperare la forma per ridare vita al contenuto.

 

O Poesia, o morte! Recuperare la forma per ridare vita al contenuto.

Se l’umanità si lascia marcire nella più gelida gabbia che annienta ogni dignità, se ogni illecito del Potere diviene dono auspicato dalle masse, se ogni sussulto di sanità mentale viene declassato a pericolo per la collettività, è perché siamo sprofondati negli abissi di una subdola “narrazione della realtà”, dove solo una luce diafana rimane a ricordo della superficie; e chi ha in mano le penne di questa narrazione, ha in mano l’uomo. Ciò che da un lato viene raccontato e ciò cha dall’altro viene percepito edifica l’unico modello di realtà condivisibile. Si costruiscono mondi, si modellano pensieri e sentimenti, e tutto questo è alla fine più reale del Reale. Del resto, l’uomo moderno non ha antidoti contro questa narrazione, perché egli stesso si è lasciato precipitare nei gorghi della fascinazione psichica dove ogni spinta evolutiva che condurrebbe ad acque più salubri, è preclusa. E i grandi affabulatori lo sanno molto bene. Così, le loro pozioni di parole, immagini e suoni, incatenano le menti e i cuori di milioni di individui soli e indifesi. La comunicazione è infatti una delle moderne divinità a cui tutti, nessuno escluso, hanno giurato fedeltà e riconoscenza. Le si sono perfino eretti i moderni templi delle università. “Bisogna imparare a comunicare in modo efficace” scandiscono a gran voce i novelli vati; ma inseguendo questa “dolce illusione” due cadaveri sono stati abbandonati lungo la via.

Da una parte il linguaggio si è fatto, per conseguenza, piatto e monosemantico, mescolando gli stilemi giornalistici con l’emotività fulminea degli slogan.  E fra razionalismo e sentimento si è rimasti impigliati nelle secche di una visione della realtà tutta orizzontale che impedisce qualsivoglia crescita interiore nel lettore. Il primo cadavere è dunque la forma.

Dall’altra, la mania per le tecniche ha proiettato lo sguardo dell’uomo solo all’esterno, portando così a compimento l’esilio definitivo dalla sua interiorità. La forma – falsata – ha infettato anche il contenuto. Tutto ha da essere immediato, evidente. Ma l’evidenza è nemica della sapienza, perché non giungendo dalle profondità dove abita la Vita, confina l’uomo in territori a lui “ostili”, gli toglie la libertà. Il secondo cadavere è dunque il messaggio che si deve esprimere: la verità.

Alcuni, in verità, oppongono barricate a questa “dittatura della narrazione” cercando di sanificare le menti con l’immagine pulita e ragionevole della realtà, così come appare ai nostri occhi non deformati dall’ideologia. Ragionevolezza contro narrazione. Questa strada, però, non ha asfalto sufficiente per una lunga corsa; confinati allo stesso monotono paesaggio, intrappolati sullo stesso piano – tutto orizzontale – del nemico che si vorrebbe combattere. Limitarsi ad un’osservazione razionale della realtà significa ancora una volta togliere la libertà all’ascoltatore, libertà di aprirsi ad una visione allargata per riconoscersi infine come un essere in divenire. L’evidenza nuda dei fatti, l’uso della parola come semplice veicolo di informazioni, spogliata del suo potere taumaturgico – la Parola salva! – risultano in ultima istanza sterili, perché non arrivano nemmeno a sfiorare il principio vitale che precede ogni materialità e che guida i pensieri gli atti degli uomini. Ma delle realtà invisibili che comandano a quelle visibili chi se ne cura?

Si contrabbanda allora una facile realtà senz’Anima per la maestosa Realtà che unifica in un sol battito Uomo, Cosmo e Dio. Nessun cambiamento, prima interiore, poi esteriore, sarà possibile perseguendo tali traiettorie, come già si palesa inequivocabilmente. Taluni criticano, si indignano, sbraitano, ma al dunque non agiscono, perché nulla si è trasformato dentro di loro. È doveroso e urgente, al contrario, fare non pochi passi indietro e anche una giravolta, che metta tutto in discussione. Recuperare la forma per ridare vita al contenuto.

I testi antichi – dai poemi omerici ai libri sacri, per intenderci – condividono una polisemia, oggi del tutto incompresa, grazie all’utilizzo di un linguaggio misterico, o per meglio dire di un meta-linguaggio jeratico, con cui sono stati redatti. Proprio questa speciale caratteristica, li rende “eternamente vivi” e capaci di donare vita a chi li sa “leggere”. Sciogliendo la sintesi letteraria composta dalle parole, in singoli fonemi o gruppi di fonemi, si arriva a ricompitare il testo per approdare ad una nuova sintesi – alla maniera del solve et coagula degli alchimisti. E così avanti, di sintesi in sintesi, quei testi non finiscono di dispensare tesori, celati al lettore non iniziato: narrare voleva dire educare. Qui si dà concretezza all’arte del leggere che è per l’appunto quella di legare insieme le lettere per comporre le parole. Atto sacro: la religione è infatti un re-ligare. Ciascun brano deve essere allora inteso come un vero e proprio quadro, una visione, che ha anche una vita autonoma, ma che, allo stesso tempo, quando accostato agli altri che lo precedono e seguono, aiuta a scendere più in profondità nei misteri trattati. È Poesia, e la più alta possibile, per la quale cadono anche tutte le consuetudini cronologiche. Il tempo cronologico è infatti nemico della Poesia!

E la Poesia chiede esperienza a chi le si accosta, non può essere data in pasto a chi non ha i denti adatti per “triturarla” a dovere. Nasce dal profondo e vuole arrivare al profondo. Apre le porte dell’indicibile, lì dove il viaggio ha il suo cominciamento; si tratta, quasi, di un’esperienza contemplativa. Non è priva di ragionevolezza e non tralascia le emozioni, ma anzi queste arrivano più alla radice, toccano l’anima, la Vita. Il poeta è dunque assimilabile al profeta, a qualcuno che, “ispirato dall’alto” dischiude forme e mondi che travalicano l’esistenzialità.

Penitenti, con le ginocchia piegate, dobbiamo riconoscere di aver perduto non solo quest’Arte, ma finanche la nostalgia di essa. Ma dalle pietre del sincero pentimento sappiamo che possono zampillare nuove fonti di acqua pura. Perciò, ad una “falsa narrazione” che ingabbia anziché liberare l’uomo, bisogna contrappore una “narrazione poetica”, che, sola, è capace di sintetizzare la complessità del reale, oltre la ragione ma non avversa ad essa. Un esprimere che supera le forme di questo mondo per accostarsi alla pienezza sopraformale. Dobbiamo tornare ad essere capaci di raccontare e cantare la Realtà, ma con gli occhi di chi sa far convivere lo stupore con l’angoscia dell’esistere, la luce con l’ombra. Dobbiamo rinunciare all’evidenza di chi crede di poter spiegare e comprendere ogni cosa, di chi pensa di poter sistematizzare ed esplicitare tutto, finanche lo spirito. Dobbiamo frenare l’impulso di “colonizzare” il lettore e l’ascoltatore, infliggendogli verità chiuse in se stesse che inibiscono la sua libertà di crescita. Al contrario è necessario recuperare il coraggio di solcare mari sconosciuti, e abbandonare le aride sponde dove tutto appare chiaro e illusoriamente luminoso. Affrontare le tempeste che le grandi Verità portano con sé, e addentrarci nuovamente nella meditazione dei Misteri che si lasciano malvolentieri circoscrivere dalle nostre menti aduse ad un razionalismo non confessato. Accettare l’indefinito che non è vaghezza o relativismo, ma chiara comprensione che noi, e il cosmo tutto, siamo vivi perché in divenire e che il traguardo è oltre lo sgomento iniziale. La comodità, volto suadente della contemporaneità, è prima di ogni cosa comodità del pensare, ignavia dell’intelletto.

Non ci si faccia però illusioni di restaurare con poche mosse la Sapienza perduta nei secoli trascorsi; la statura di quegli uomini è, per il momento, a noi preclusa. Fidando però nella Provvidenza, basterebbe almeno recuperare il linguaggio alla sua originaria forma evocativa, al suo connotato mitico capace di spezzare anche le consuetudini narrative del tempo cronologico. Soltanto questo sforzo produrrà cambiamenti profondi in questa umanità, oramai rigida e senza vita. Se solo si comprendesse che anche tutta l’arte moderna soffre, costretta nelle stesse catene! Soltanto da un moto subitaneo dell’anima, risvegliata da un parlare poetico, scaturirà una rinnovata Giustizia operante. Ma l’impegno ha da essere comune, mettendo da parte la vanità dell’ego, restio ad abbandonare le certezze culturali conquistate, tanto in chi parla che in chi ascolta. Il primo, allora, velando le parole che svelino al secondo la Realtà profonda preclusa ai sensi esteriori. Le nostre palpebre ancor socchiuse non sembrano scorgere i tempi specialissimi che si vanno preparando: dai giacigli di pietra molte anime dovranno destarsi; sorgano, dunque, Poeti arditi, che insufflino parole ai Naviganti dalle umili orecchie per guidarli sui marosi, verso nuove e rigogliose sponde.

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