Obitorio Occidente: il caso Noa Pothoven

 

Obitorio Occidente: il caso Noa Pothoven

Questa è una nuda cronaca tratta dalla stampa internazionale di un evento terribile che interrogherebbe la nostra coscienza se ancora ne avessimo una: la morte per eutanasia, ovvero per omicidio di Stato, di una bella ragazza olandese di 17 anni, Noa Pothoven, che si considerava troppo depressa per poter vivere. L’evento sarà presto dimenticato. Panta rei, tutto scorre, nell’obitorio Occidente. Gli ingredienti post moderni ci sono tutti: il disagio giovanile, lo stupro in tenera età che ha scatenato il suo male oscuro, la famiglia spappolata, lo Stato- mamma trasformato in assassino a termini di legge, il degrado delle professioni mediche, la disperazione di vite senza significato, la riduzione di noi stessi a bestiame, anzi a cose.

La pena di morte, espunta dai codici penali per la sua disumanità, ritorna con prepotenza in una società non più malata, ma agonizzante.

Vediamo i fatti, a partire dal titolo di un grande organo di stampa internazionale: un’adolescente olandese violentata da un cugino organizza il suo suicidio con la sua famiglia. Occorre sapere che nei Paesi Bassi l’eutanasia è legale da tempo.

Noa Pothoven era una bella adolescente di talento, come dimostra la sua autobiografia, Vincere o imparare, divenuta un libro di successo. E’ vissuta in una società ricca di beni materiali, dove la vita e la morte possono essere banalizzate. E’ forse questa miscela esplosiva di ricchezza, indifferenza a ogni principio e solitudine esistenziale a spiegare la tristissima fine di Noa, suicida a termini di legge nel salotto di casa sua trasformato in studio medico. E’ morta con il consenso dei suoi parenti. Noa era stata vittima di abusi nell’ infanzia da parte di un cugino, il che le aveva causato depressione e anoressia a un punto tale che considerava impossibile la permanenza in vita. Ha detto e scritto sulle reti sociali: “sto ancora respirando, ma non sono viva”.

A sedici anni andò in una clinica specializzata (specializzata in che cosa?) senza dirlo ai genitori per chiedere di togliersi la vita. In un barlume di saggezza gli operatori rifiutarono convinti che la sua maturità non fosse pienamente sviluppata. Noa aveva apparentemente tutto ciò che una ragazza della sua età poteva desiderare. I video in rete mostrano una giovane bionda che parla con disinvoltura, educazione, proprietà di linguaggio. Ma quello che svelano le parole è una profonda sofferenza emotiva, il suo unico desiderio è morire. Le autorità avevano dapprima deciso che Noa smettesse di andare a scuola, quindi hanno accettato la soluzione del suicidio nel salotto di casa.

Raggela un commento di Lisette, la madre di Noa, che lamenta che nei civili, avanzati, progressisti Paesi Bassi, non esista una rete di assistenza pubblica per casi come quelli di sua figlia. Emblematico: ha delegato la vita di sua figlia allo Stato, chissà se ha lottato con tutte le forze di madre per la vita della ragazza.

La morte di Noa è stata praticamente un evento pubblico. Lei stessa aveva narrato su Instagram la sua storia: “Ho pensato a lungo se fosse necessario condividerlo o meno, ma alla fine ho deciso di farlo”, dice il suo ultimo post. “Forse sarà una sorpresa per molti, ma l’ho progettato, ho pensato a questo piano per molto tempo e non ho preso la decisione in modo impulsivo”. Spiega di aver smesso di mangiare e bere e di aver preso la decisione di smettere di vivere con l’assistenza di un’équipe medica. Una squadra di necrofori specializzati che, al termine delle otto ore lavorative, hanno timbrato il cartellino, sono tornati a casa e dormono sonni tranquilli. Con lucidità disarmante ha scritto: “andrò dritta al punto: morirò in un massimo di dieci giorni. Dopo aver combattuto e combattuto, sento di essere esausta per tutto questo.”

Non è mancata la presenza di una specie di Emma Bonino o Monica Cirinnà olandese, la deputata verde Lisa Westerveld, che ha seguito la storia, conosciuto bene la minore ed è andata a salutarla prima del trapasso. “E ‘stato bello rivederla, ma anche un po’ irreale. Noa era incredibilmente forte e molto aperta. Non lo dimenticherò mai. Continuerò la tua lotta”, ha dichiarato. Quale lotta? Quella per far morire altri disgraziati che avrebbero bisogno di una comunità, di un mondo che diffonda principi e valori, non messaggi di disperazione? 

Il presidente di Scienza e Vita, Alberto Gambino, lancia un allarme. “Questa storia di grande tristezza deve essere un monito per il nostro Paese ad evitare di arrivare a punti di non ritorno. In Paesi come l’Olanda il suicidio assistito è legalizzato, ma questo modello porta ad una freddezza nei rapporti, a rompere qualsiasi vincolo di solidarietà. “C’è di più, ed è l’allarme medico: “gli stati depressivi si curano, diversamente pensare che l’esito sia di potere arrivare alla morte artificiale è una grande sconfitta per l’umanità.”

Parole di verità da chi è in prima linea, alle quali va affiancato un dibattito più complessivo. Se la vita non vale niente, neppure quella di una ragazza all’alba dell’esistenza, è perché senza principi superiori alle leggi scritte dagli uomini diventiamo bestiame in balia delle onde, oggetti ammucchiati in un cantone.   

Se la vita non è sacra, non siamo altro che animali sacrificabili. È stato più facile lavarsene le mani e ucciderla, ma ciò di cui quella ragazza aveva bisogno era amore, comprensione. Una comunità civile, dovrebbe poter rispondere con compassione e tenerezza a quegli abissi e non cercare la soluzione più bieca, un colpo alla tempia, come cavalli feriti.

E’ il dramma di aver espulso Dio dalle aule dove si insegna ma non si educa, dalle nostre conversazioni, dalle leggi, dal nostro modo di affrontare la vita. L’uomo senza tensione spirituale è la sconfitta della creatura ribelle. Non possiamo uccidere le ragazze tristi; facilitare loro la morte è una forma di omicidio. La scienza senza Dio è una fossa di cadaveri ordinatamente in fila, ciascuno con un cartellino, un codice e la firma in calce di un burocrate del Nulla.

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