La vicenda di Floyd non ha fatto altro che riaprire vecchie ferite, che non si sono mai rimarginate. La “race riot” che sta accadendo negli Stati Uniti non è tanto diversa da quella accaduta a Detroit. E ci riporta indietro nel tempo, precisamente agli anni 60. Proprio quegli anni sono stati, forse i più decisivi e turbolenti di tutta la storia americana. Perché hanno cambiato per sempre la società e il volto etnico della nazione. Tra le rivendicazioni degli afroamericani contro la segregazione razziale, l’abolizione del immigration act del 1965 per finire con il sessantottismo. Quello che generalmente viene sempre omesso dai media mainstream quando si parla della storia degli afroamericani è il crescente radicalismo politico, unendo alla lotta di classe la lotta di razze. Angela Davis, alieva di Marcuse, aggiunse un terzo elemento al cosidetto “marxismo nero”, oltre la classe e la razza, il sesso. Invocando l’emancipazione sessuale delle donne afroamericane. Tant’è che diventò un importante membro delle femministe e dei vari movimenti di liberazione omosessuale.
Ma il radicalismo è stato anche religioso, da quando Malcolm X, prima del suo viaggio alla Mecca era un importante elemento di spicco della Nation of Islam. Un organizzazione religiosa per afromericani che unisce il fondamentalismo islamico al razzialismo nero, odio-antibianco e anti-semitismo. È interessante notare che quando si parla degli afroamericani si citano quasi sempre solo le frasi pacifiste e non violente di King, ma mai quelle anti-bianche o anti-semite di Malcolm X. Il suddetto radicalismo esplose dopo la morte di questi due leader afroamericani. Il cui risultato furono le Black Panthers. Nate nei quartieri neri di Harlem tra delinquenza giovanile in assetto paramilitare, criminalità e l’idea di distruggere l’America bianca. In questo modo vediamo che le rivendicazioni degli afroamericani passano dal pacifismo di King alla lotta armata delle Black Panthers. Esattamente come era successo in Sudafrica e Rhodesia. È proprio con le Black Panthers che nasce e si sviluppa il concetto di black power.
Oggi, dopo la morte di George Floyd si stanno ripetendo gli stessi fatti del passato. Con un’unica differenza che il black power è ostentato con fierezza non tanto dai neri quanto dai bianchi!. Quest’ultimi usano il pugno nero come immagine di profilo sui social e scrivono #blackpower #blacklivesmatter senza saperne il significato. Lungi dal rappresentare pacifismo, uguaglianza, tolleranza, anti-razzismo come sentiamo dire sui media mainstream e sui social network. Ma tutt’altro, è stato usato dalle Black Panthers, ma anche oggi per identificare il suprematismo dei neri e l’odio razziale nei confronti dei bianchi. Molte Black Panthers erano state in carcere per spaccio, attività criminali o come uno dei suoi più noti rappresentanti Eldridge Cleaver per stupri su donne bianche. Quest’ultimo aspetto per Cleaver è centrale non solo nella sua vita di perenne latitante, ma anche nel suo libro Soul on Ice considerato un classico del black power.
Quindi a tutte quelle teenagers e donne bianche che se lo sono disegnato con il pennarello nero sul volto facendo il gesto del pugno alzato sappiano che uno dei suoi più importanti rappresentanti scriveva questo nel suo libro: “Lo stupro è stato un atto insurrezionale“. In ultima analisi la morte di Floyd oltre portare a galla l’instabilità della società multirazziale e le passate race riot degli afroamericani, che da Nad Turner alle Black Lives Matter non sono mai cessate. È emerso anche un’altro aspetto da non sottovalutare, il white guilt. Ovvero l’atto di totale prostrazione, vergogna, senso di colpa e sottomissione dei bianchi non solo americani ma anche europei! Generazioni di giovani educati ad odiare se stessi, covare sfiducia per il proprio simile e amore sconfinato per il diverso. Considerando la propria cultura e eredità storica come qualcosa di negativo, maschilista, oppressivo, e che “privilegia” solo una etnia a discapito di tutte le altre. Abbracciando l’affermative action, la discriminazione positiva, rinnegando il proprio patrimonio genetico per idenficarsi in un’altra etnia o razza diventando degli ossimori viventi, ovvero bianchi che odiano i bianchi.