Orsù


 

Orsù

Non nascondo che mi sarebbe tanto piaciuto trovarmi al posto di Roy Batty, mentre, zuppo di pioggia e sul punto di morire, recitava il proprio epitaffio esclamando con tono, al tempo stesso cristallino e rotondo, “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione.”. Si dà il caso, però, che io abiti a Centocelle e che gli unici falò ai quali mi capita di assistere sono quelli accesi dai nomadi, convertitisi al sedentarismo assistito, per illuminare le loro notti piene di copertoni e di sorci. Purtuttavia, ne ho viste di cose, più o meno quante ne vedono tutti, con una piccola differenza, che sono bravo nell’unire i puntini e arrivare alle conclusioni assai più rapidamente di quasi tutti gli altri, che ci arrivano quando non ci sono più né la giuria né il traguardo. Di tale attitudine é tributario, ormai da diverso tempo, il convincimento che la peggiore tragedia di questo Paese sta nel melodramma che ne prende regolarmente il posto, il trivio, da ‘Ambra Jovinelli’, che prospera sulle spoglie dell’Opera, e non è, dunque accidentale la contestualità di certe istantanee, ancorché siano estrapolate da film apparentemente molto diversi l’uno dall’altro. Come l’attoruncolo che sfila nudo per le vie del centro di Napoli – il patetico dondolio di un minuscolo batacchio di pelle – per festeggiare lo scudetto senza che ci sia una guardia a fermarlo. Come l’imbecille, fissata con l’ambientalismo, che é invitata a tutte le trasmissioni per farsi beffe – lei col suo diploma da ballerina nana – del parere degli scienziati. Come tutta quella gente che rimane per ore incollata davanti al piccolo schermo nell’attesa del momento in cui la sor camilla e il sor carlo, paralizzati dall’emozione, si faranno mettere in testa dall’arcivescovo di Canterbury un orinale tempestato di gemme. Come il presidente del Consiglio che si fa immortalare nell’atto di entrare scampanellando nella sala delle riunioni il Primo Maggio, quasi per pareggiare, con questa vezzosa trovata pubblicitaria, lo spot messo in onda dal cacasenno Landini – l’espressione che fa ridere anche quando fa finta di incazzarsi – per denunciare la prepotenza subita dal nuovo Governo nel fargli ombra proprio in occasione del giorno riservato alla festa dei lavoratori (categoria della quale, peraltro, ha perso la memoria, lui e gli altri due rappresentanti del sindacato confederale, da almeno un ventennio). Come belzebù Larussa, che ha fatto venire Gianni Morandi a palazzo Madama, per il settantacinquesimo anniversario del Senato repubblicano, perché sollazzasse i parlamentari con l’ennesima storpiatura dell’inno di Mameli, e col suo repertorio, che smuove l’acqua cheta della nostalgia nei giovani di una volta e nei venditori ambulanti invitati alla sagra della salsiccia, ma che in una ‘location’ così densa di storia suscita solo ribrezzo.

Questo é un Paese dove una parte della popolazione – con tutta probabilità, quella che ha tentato la sorte nell’urna votando la Meloni – é stanca di constatare come alla gravità dei problemi che affliggono la comunità nazionale faccia da pendant l’atteggiamento dilatorio ed elusivo di quanti, prima di vincere le elezioni -. per il generoso contributo di chi ancora segue pedissequamente i rituali di una falsa democrazia – si erano fatti avanti col dichiarato proposito di risolverli. Vedo, fra l’altro, con preoccupazione, che mentre la politica si riduce, come nelle arti marziali giapponesi, alla simulazione del colpo, che non fa male, tale tendenza é prevalente negli ambienti della Destra, compresa quella ‘sociale’, che, trattenuta dal timore di apparire ‘fascista’, si chiude in clinch, come i pugili suonati, aspettando all’angolo di essere salvata dal gong: tutto questo, mentre la Murgia, che se ne sta andando, raccoglie tutte le sue forze residue per lanciare anatemi verso i ‘fascisti’ al Governo, e la trimurti formata da Toscano, Saviano e Vauro straparla inondando di vomito verde i salottini buoni della TV.

Sono incline a supporre che più di mezzo secolo di tambureggiante propaganda, volta a far credere che la ‘violenza’ sia una caratteristica della Destra e che diventi, per logica conseguenza, salubre manifestazione di forza solo quando sia profusa dai Dem, abbia in notevole misura contribuito a bloccare la reazione delle masse in presenza degli abusi spaventosi commessi nei confronti delle persone dai Governi a trazione dem con la scusa di dover contenere la diffusione del Covid, e che tale inconveniente si riproponga ora a Roma, dove un sindaco, che ha trascorso quasi tutta la sua carriera, sotto traccia, nelle conventicole di Bruxelles e che puzza di U.E. a chilometri di distanza, ha deciso di allestire per i propri concittadini una città prigione, una specie di tenebroso falansterio dove si entra e si esce solo a determinate condizioni, un duplice attentato: alla proprietà privata, che viene ipotecata dall’obbligo di disfarsi di una macchina vecchia per prenderne una nuova (se non si é a corto di soldi), e alla libertà di circolazione, che costituisce, peraltro, uno dei cardini di ogni sistema politico di stampo liberale, ergo anche del nostro.

Il tallone di Achille di tutti i regimi dittatoriali é stato invariabilmente individuato nella rigidità dei loro statuti ideologici, per effetto della quale viene vanificata ogni possibilità di imbastire un contradditorio, e si adottano soluzioni sbagliate perché dipendono dall’adesione fideistica ad un principio considerato irrinunciabile e sacrosanto: lo é nondimeno anche il partito dei piccoli agitprop, manovrati da astuti burattinai, che si mettono di traverso sulle strade più trafficate (senza mai ricevere dei calci nelle gengive o delle manganellate sui denti, come vorrebbero gli sceneggiatori delle storie vere), per richiamare l’attenzione degli automobilisti inferociti sui disastri provocati dal cambiamento climatico, che stando a Zichichi a d altri luminari, non esiste se non in proporzioni estremamente ridotte e al netto dell’azione dell’uomo.

Ora, il fatto che nei simposi tra esaltati, Gualtieri abbia spesso proclamato la propria volontà di sconfiggere con delle misure draconiane il cambiamento climatico (l’equivalente dei mulini a vento per il Don Chisciotte), legittima anche il sospetto che le parrocchiette di Bruxelles, presso le quali egli ha messo su per un’infinità di tempo casa e bottega, lo abbiano incoraggiato ad utilizzare la Città Eterna (con tutti i suoi abitanti, ma con un’evidente preferenza per quelli delle periferie) come banco di prova di un progetto, che costerà lacrime e sangue, ma che non sortirà altro risultato se non quello -rafforzato dall’inerzia delle Opposizioni e dalla sibillina assenza del nuovo Governo, nato già vecchio – di compiacere l’ego smisurato dei nazisti dell’evo moderno che vanno alla ricerca di un altro Graal.

I romani debbono perciò decidere: se convalidare con un’ovina rassegnazione i provvedimenti insensati presi da un’istituzione ‘democratica’, oppure domandarsi, altrettanto democraticamente, se raccogliere firme e fare appelli serva ancora a qualcosa. Orsù, romani, un piccolo sforzo.

 

Immagine: https://www.ilsussidiario.net/

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