Ovunque il guardo io giro

 

Ovunque il guardo io giro

‘Ovunque il guardo io giro’ non vedo che attraverso lo spessore distorsivo dell’acqua sporca di Faenza e di Lugo, l’addome gonfio di un animale morto che galleggia come un insolito salvagente, e il liquido nero buttato nella fontana di Trevi da un commando di idioti, ai quali si é poi unito un altro terrapiattista, di quelli che per prevenire gli effetti del cambiamento climatico sarebbero anche disposti a chiudere in una stia per polli – gli abitanti di una grande città, come Roma, rinnovando i fasti nefasti dei tempi del Covid: l’ho sentito – lui che ha trascorso quasi tutta la sua vita politica nei cubicoli di Bruxelles dissertando di Economia, nonostante si sia laureato in Storia, e dandosi arie di esperto in ambientalismo (materia facile per quanti vogliono immettersi sulla scia di Cagliostro) – mentre, davanti alle telecamere, sullo sfondo del monumento sfregiato, invitava i ‘ragazzi’ a fare i bravi, il replay dei comunisti d’antan che davano alle prime brigate rosse l’etichetta edulcorata dei ‘compagni che sbagliano’, il tono dell’insegnante pippa che non potendo addomesticare la classe in tumulto le si rivolge con dei compassionevoli ‘E allora?’, ‘ma insomma!’, il sistema migliore per farla lievitare ancora di più. O, forse, l’effetto di un’intima consonanza tra fratelli e cugini di primo grado di un genere, ‘zecca’, che imperversa un po’ dappertutto nonostante il responso irrefutabile dell’urna, o magari proprio per questo.

Ci sono nella decisione presa dal sindaco di Roma, di srotolare il filo spinato intorno alle periferie – che é stata successivamente  mitigata e messa in stand by da un piccolo assaggio di insurrezione popolare – e nell’iniziativa dell’ultima generazione’ – un manipolo di imbecilli, incapaci pure di darsi un nome calzante – tutti gli ingredienti di uno squadrismo spietato, che non ha nulla a che vedere con quello imputato alle camicie nere nella fase prodromica del Ventennio, perché lì colpiva gli avversari nel quadro di una dialettica che implicava necessariamente l’eccesso, mentre qui, nell’episodio della fontana di Trevi e in quello della quarantena studiata per preservare  l’ambiente dalla rovina, tra i quali il sindaco di Roma si colloca, immenso e superbo, come il ponte di Verrazzano sullo stretto di Narrows, l’antinomia (non ancora un conflitto, per la postura supina e rinunciataria delle parte soccombente) si sviluppa tra  un’opinione pubblica resa inerme dalla propaganda massiva mandata in onda dagli agenti del mainstream e una pletora di invasati, stanchi delle fatiche della politica (che é principalmente costruzione e progetto),  per i quali il futuro deve nascere dalla cancellazione del passato e dalle rinunce del presente, il ritorno in auge dei ‘piagnoni’    del ‘400, il senso di colpa collettivo che intride tutto e tutti, trasformandosi nel quarto elemento – dopo la terra, l’aria e l’acqua – quale il fango che ha sommerso giorni fa l’Emilia Romagna.

Anche qui il cambiamento climatico, evocato dai fattucchieri, finisce per fornire un alibi ai politici che non fanno nulla, perché, come Bonaccini e la Schlein, non sono stati capaci di utilizzare i fondi che gli erano stati attribuiti per sanare, almeno in minima  parte, il dissesto idrogeologico della regione, o perché l’insolvenza, che genera disastri a gogò é scritta nel destino delle democrazie liberali, per la loro ignobile tendenza a realizzarsi nello sminuzzamento del potere che, oltre a ridurre drasticamente l’efficacia dell’azione amministrativa, ne mimetizza i responsabili: che ci sia dietro un altro potere, molto meno esplicito e molto più sostanziale, questo, poi, é un altro discorso.       

Ovunque il guardo io giro (le parole sono del Metastasio), mi si presenta un panorama costellato di equivoci: anche dove gli echi intermittenti del concerto di Bruce Springsteen incontrano nel buio della notte il lento sciabordio del fango che ingoia mezza Romagna. In questo sdoppiamento, di un grande artista che si sente obbligato a rispettare il calendario dei propri impegni e del proprio mondo, fatto di contratti milionari e di  liriche vibrazioni, ma che non spende dal palco neppure una parola per dire che  gli dispiace, c’é forse la chiave per scoprire che il termine ‘transumanesimo’ non racchiude solo la dimensione dell”oltre’, che per certi versi gli conferisce  dei tratti di nobiltà, ma, all’atto, quella prevalente di un ripiegamento precipite su se stessi – quasi lo scatto di una tagliola –  di un’involuzione mortale.

Se ciò non fosse, non si spiegherebbe come abbia fatto Gualtieri a concepire la carcerazione di Roma, e sarebbe impossibile trovare un nesso tra  gli attentati alla fontana di Trevi e l’annuncio degli attentatori di doverli compiere per richiamare l’attenzione del grosso pubblico sulla pericolosità del cambiamento climatico, ma sarebbe difficile – navigando in un contesto enormemente più vasto – venire a capo delle ragioni per cui la riunione del G7 si é tenuta ad Hiroshima, esattamente lì dove, nell’agosto del ’45, poco più in là dell’altroieri, i predecessori dell’attuale leadership mondiale a trazione anglo-americana per far terminare la guerra abbrustolirono con un solo sfregamento del loro stoppino atomico centinaia di migliaia di persone innocenti, la più grande strage di civili che sia mai stata perpetrata dalla comparsa sulla Terra del genere umano. 

Non mi consta che abbiano fatto a gara coi mass media su chi trovasse,  per tutte le domande che si addensano su questa scelta, una giustificazione plausibile, all’infuori di quella, piuttosto pedestre, che sarebbe stata fatta per ricordare (posto che  i boia  tendono a rimuovere ogni tipo di rapporto con le proprie vittime, e che le vittime di solito fanno la stessa cosa coi loro boia) o di quell’altra, un po’ più audace ma più sensata, secondo cui essa conterrebbe una velata minaccia nei confronti di tutti coloro che mettono in discussione l’egemonia degli USA, specialmente nel quadrante strategico  dell’IndoPacifico.

Ci si potrebbe aspettare che prossimamente su questi schermi una delle tante confraternite internazionali che cominciano con la lettera ‘G’ e che finiscono con un numero (7, 20, eccetera) decida di radunarsi ad Aleppo, o a Tripoli, o a Belgrado, o a Bagdad, o – perché no? – a Dresda, la Firenze del nord, che nell’aprile del ’45, venne rasa al suolo dalle bombe incendiarie sganciate dagli aerei dell’USAF, civili morti carbonizzati, tra 16 e 25 mila, che volete che sia.

Ricapitolando, ovunque il guardo io giro, vedo solo tante incongruenze e grandi casini: succede – credo – quando la Storia finisce in una strozzatura. Noi siamo lì.

 

 

Immagine: https://metronews.it/

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