Non si sa se sia stata sorteggiata prendendo una pallina dal cesto girevole, come si faceva una volta con le estrazioni del lotto (in tal caso trova conferma la tesi che per fare politica non occorrono grandi numeri, perché la politica é morta), oppure che sia stata scelta al termine di una minuziosa selezione, nel corso della quale il lavoro dei giurati é consistito nel verificare che avesse i requisiti essenziali: donna, possibilmente un pò androgina, gay, addirittura tre passaporti nella borsetta, un passato fatto di belle parole, l’aria di chi é appena arrivata nel nostro Paese da spiagge lontane tostate dal sole, nessuna dimestichezza, neanche a sfiorarla, con la terrigna realtà degli esseri che nascono, soffrono e muoiono da questa parte del mondo (la dimostrazione, in tal caso, di una malattia mortale che sta corrodendo da dentro la politica, come una specie di peronospora, la struttura granitica del progetto che si sfalda in tanti mucchietti di polvere, e i riccioli di vento che li portano via incrementando il deserto). Eccola qui, dunque, habemus papessam, Elly Schlein, anche il nome che non é Rossi, né Bianchi, né Cuzzocrea, si presta, é conforme alle atmosfere esotiche e levigate dei Dem. L’esordio é stato all’altezza dei migliori aforismi di Gervaso e di Flaiano. Anzi, di più. Le avrebbero fatto ciò che normalmente succede, col moto ritmato di una mano, ad un uomo che vince, messo a confronto, ma lei – almeno, che si sappia – non é un uomo. Avendocela con la Meloni (e con chi, se no?) ha detto che un premier donna é del tutto inutile se non intraprende una politica per le donne. Le si potrebbe dare ragione se i premier con gli occhiali che si sono succeduti a palazzo Chigi avessero preso almeno una volta delle iniziative a favore dei miopi e che quelli privi di capelli si fossero mai adoperati per migliorare la vita dei calvi. Ma la politica é una visione, é la passione che si muove nello spazio captato dal grandangolo, é l’atto esauriente con cui si prescinde dal ‘particulare’ per abbracciare una realtà molto più complessa e più vasta. Tutt’altra cosa dal ruspare, simili a dei cani, tra le frattaglie della società perché non si é più in grado o non si vuole più percepirla nella sua interezza e ci si illude che con quest’ operazione – la somma dei resti – si sopravviva alla pesa elettorale, anche quando, a monte, é visibilmente taroccata: che é fattispecie mille volte peggiore di quanto lo sarebbe a valle, come accade di solito nelle repubblichette del Sud America dipinte da Garcia Marquez.
La vittoria della Meloni ha messo a nudo le astuzie dissimulate del sistema, che in teoria dovrebbe far premio sulla separazione dei poteri, di fatto, però, inficiata dalla massiccia penetrazione dei Dem nei territori ‘vergini’ della Magistratura e della Corte Costituzionale: un bastione intorno al quale si é accampata la soldataglia irregolare dei centri sociali e appaiono schierati in solide centurie i frombolieri dei ‘media’, i figuranti dell’ANPI, le truppe cammellate della CGIL, quel mostro adiposo che cade in letargo allorché a Palazzo entrano le coalizioni arcobaleno guidate dai Dem, e si sveglia all’improvviso rombando da ogni singolo buco se il Palazzo viene preso in affitto da qualcun altro.
A due mesi soltanto dalla formazione di questo Governo – un coacervo in cui si mescolano, attratte dalla calamita del potere, tre Destre, una molto diversa dall’altra, avverto già dei mugugni: di chi ha votato contro il PD perché, nel cercare di svellere da sotto terra le radici tenaci del suo regime, assai poco sensibile al verdetto delle elezioni (un’impresa per la quale é comunque necessario scavare per anni), il nuovo capo del Governo cominciasse ad occuparsi delle grandi questioni, come la Scuola lobotomizzata, la Sanità allo sfascio, il volo senza paracadute del ceti medi che, avvicinandosi all’impatto col suolo, l’hanno votata, piuttosto che perdere tempo prezioso con la discesa in slalom tra le accuse di essere ‘vagamente fascista’ o dare – non diversamente dai predecessori – prova di inclemente severità nei confronti delle categorie più esposte agli spifferi dell’economia liberale: tali i pensionati, ai quali verrà tolto ‘qualcosina’ per darla ‘ai nuovi nati’ (mah!), e i giovani disoccupati, quelli veri, che si sono visti espropriare del sussidio dai disoccupati falsi, che erano stati cristianamente adottati dai Cinque Stelle.
Ciascuno di noi custodisce, nei recessi impenetrabili della propria anima, una feconda doppiezza. Il bolscevismo dei primordi riuscì con enorme fatica a districarsi dall’equivoco in cui l’avevano cacciato il plumbeo cinismo del compagno Stalin, interessato solo a liberarsi dei concorrenti, e il sogno della rivoluzione planetaria vagheggiata da Trotsky. Sullo sfondo della bandiera cubana che sventolava, beffarda, davanti alle coste degli USA, si stagliavano i profili di Fidel Castro, l’ordinaria amministrazione vissuta col freddo entusiasmo dei gesuiti, e l’ardente scapigliatura del ‘Che’ Guevara.
Qui e adesso, alla Meloni, che comunque non ha i requisiti per inaugurare un’epopea, é fatto obbligo – arrivata davanti al portale magico – di compiere una scelta: tra la ragazza della Garbatella che difendeva, insieme a pochi altri, il fortino del MSI assediato dai ‘rossi’ e la signora troppo perbene che, dopo aver imparato a parlare Inglese meglio della signora Camilla, ha finito per farsi accettare dall’Aspen Institute, dove si incontrano le persone, quattro gatti, che hanno la pretesa di scrivere ricette per tutti i mali del mondo. La Meloni, insomma, deve decidere cos’é e chi é: se fare come Giggino Di Maio, che é passato come un Cola Di Rienzo in ventiquattresimo dall’altra parte, per poi esserne sloggiato, per sua fortuna senza che nessuno sguainasse il pugnale, a causa della propria patetica inconcludenza (ma questo non sembra il caso, attagliandosi molto di più all’attuale presidente del Consiglio l’ipotesi del tradimento), oppure, appunto, se impegnarsi nel tentativo di dissipare un sospetto che si sta rafforzando da un bel pò di tempo: quello che l’ordinamento democratico, così gettonato in tutto l’Occidente che guarda all’America, funzioni come un aeroplano, nel senso che necessita di due ali per volare, la Destra e la Sinistra, e che l’alternanza – la quale ha luogo anche quando non va quasi nessuno a votare – é in realtà uno dei risultati possibili di una guerra per bande che si sviluppa intensamente dietro le quinte, il palcoscenico occupato da uno sciame di comprimari, e il popolo, intruppato in platea, che crede di partecipare solo perché ‘ha pagato il biglietto’, quella scheda con dei geroglifici su cui ha tracciato una croce, più in alto una volta, più in basso un’altra, senza che sia cambiato nulla.
E’ d’altronde fuori discussione che il trasferimento dai banchi dell’Opposizione, dove regolarmente si fa della facile utopia, a quelli del Governo, su cui incombe, appeso ad un filo, il macigno della realtà, comporti una significativa variazione della postura e dell’uniforme, dai jeans a cacarella e con gli strappi al ginocchio di quando si diceva sempre ‘no’ al tailleur elegante (trattandosi di una donna) di quando le responsabilità assunte di fronte ad un’intera nazione – uscita pressoché distrutta da dieci anni di dittatura Dem – comporta il dispiegamento sul campo di una mentalità assertiva, sì, si fa così, e basta: specie adesso che la monumentale stupidità dei competitori sconfitti traligna nell’odio, il condimento di tutte le manifestazioni in cui effigiano i membri del Governo a testa in giù, e di tutte le macumbe officiate da certa stampa contro il fascismo che non c’é per distrarre l’opinione pubblica dal concorso degli apparati (Bankitalia, compresa) nel porre, col beneplacito del PD, il nostro Paese a rimorchio dell’Alta Banca e dei potentati internazionali trapiantati in Europa.
All’atto, se si fa eccezione per il silenzio eccessivamente riguardoso con cui l’attuale compagine governativa ha accolto il responso della Consulta (composta da dieci Dem su quindici) sulla legittimità delle misure punitive precedentemente adottate verso i renitenti al vaccino- in pratica, una mezza riabilitazione del dottor Mengele – e se si tiene conto della resistenza che il Deep State, quello annidato nei ministeri e nelle amministrazioni decentrate, come i Comuni e le Regioni, oppongono a questo Esecutivo, considerato ‘fascista’, la pagella non é malvagia, ma il passaggio attraverso il portale magico é ancora in corso ed é difficile capire chi si presenterà all’uscita. Quando scoppiò la guerra per le Falkland i generali Inglesi si chiesero se prevalesse negli Argentini, pronti al combattimento, l’indole pacioccona degli Italiani o la caparbia degli Spagnoli. L’interrogativo su quale delle due Meloni, la ragazzaccia sfrontata della Garbatella o la ‘parvenue’ dell’Aspen, prevarrà sull’altra, non é dunque per niente peregrino, tanto più che questa é forse l’ultima occasione per realizzare, al di là di ogni dubbio, se la democrazia formale sia in Italia e, più in generale, a queste latitudini, la maschera del tiranno. Nell’incertezza, se avete dentro casa la rete del letto che emette un fastidioso cigolio o un mobile Louis Quatorze devastato dai tarli, il mio consiglio é quello di non disfarvene telefonando al robivecchi: potrebbero tornare utili fuori.
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