Di bolla in bolla si arriva a tutto, ma si resta sul posto. Ovvero, dedicati a cercare il vero entro la cosmogonia dei saperi cognitivi, delle ideologie, delle morali, se inficiata dall’importanza di se stessi, realizziamo due scopi a noi sconosciuti: allontanarci dal centro, dall’origine, avviandoci così verso l’oscurità, e – ma è incluso nel primo – predisporre tutto per generare conflitti di cui non sentiremo la responsabilità. In breve, inseguire le fandonie del nostro io. Così perseguendo, non avverrà in noi alcuna evoluzione che ci permetta di distinguere lo storico dall’universale. Che significa tendere all’armonia.
C’è un problema. Riguarda l’universo, quello dentro al vaso. Nel senso che vagoliamo in un mondo, escogitiamo congetture, costituiamo valori e morali come se fuori dal vaso l’universo finisse.
La palla di vetro è una barriera logico-razionale dalla fibra invisibile ai sensi, ma evidente al terzo occhio. In cui tutti noi, come pesci rossi, nuotiamo credendo che le consuetudini che abbiamo, l’ordine delle cose che condividiamo, la realtà che vediamo sia la sola, definitiva, oltre la quale non v’è che fantasia, utopia, irrazionalità, niente.
All’interno della bolla, logica e razionalità detengono il massimo valore, indispensabile e necessario per la ricerca della verità, per discriminare tra giusto e sbagliato, bene e male. Dentro la bolla, tutti i pesci rossi ambiscono a nuotare, parlare, pensare, sottostare, servire e ragionare sotto il dominio assolutistico, divinizzato della logica e della razionalità. Nessuno di essi rinuncia a criticare i comportamenti e le affermazioni del prossimo, quando crede non rispettose dei comandamenti logico-razionali. Né a giudicarlo, fustigarlo, punirlo, sopraffarlo senza dubbio alcuno di peccare: “sei uno stupido”; “non vedi che era logico andasse così”; “ma è ovvio”. L’incantesimo che il prossimo veda il mondo dal nostro mirino – difetto congenito della concezione oggettivistica, materialistica, meccanicistica, logico-razionalistica della realtà – agisce su di noi come l’acqua nella bolla sui pesci rossi: oltre a essa non c’è niente!
Nella propria bolla, l’ovvio esiste davvero, è evidente!, così evidente da garantirci il diritto di ragione o quello di sopraffazione, che è soltanto un grado superiore rispetto al primo. Non era questo che includeva il noto brocardo di Carl von Clausewitz: “La guerra è una semplice continuazione della politica con altri mezzi” (1)?
Ogni pesce rosso incapsulato nella propria personalizzata bolla, come una monade, vagola in quella più grande, relazionale. Personalizzata in quanto è, a piacimento, riempita di quello che gli pare, che corrisponde sempre a ciò che gli serve per la sopravvivenza fisiologica, psicologica, morale, ideologica. Un rosario autobiografico di irrinunciabili bisogni profondi e frivoli, per tenere a galla e spingere avanti il proprio io. Ogni colpo di coda del pesce rosso è compiuto sotto l’egida di una inscindibile diade, composta da biografia e contingenza.
Ma del problema della bolla logico-razionale che contiene il sapere e pure l’universo, in modi differenti, alcuni – l’ultimo potrebbe essere stato Truman Burbank (2) – hanno visto e riconosciuto le caratteristiche. Il lavoro e il grido di questi sono sepolti sotto la grande frana del pensiero comune, col tempo diventato unico e fondamentalisticamente scientista. Prima di Truman, c’erano stati infatti Wittgenstein (3), Popper (4), Gödel (5), le implicazioni filosofiche scaturite dalla fisica quantica (6), la Scuola di Palo Alto con Bateson (7) e Watzlawick (8), Maturana (9) e, prima di questi – e altri –, tutte le tradizioni sapienziali d’Oriente e d’Occidente.
Agli occhi della maggioranza, nient’altro che un risibile manipolo di eretici senza valore, un carrozzone di ciarlatani misti a idioti sciamani. Di cosa parlavano nel loro viaggio nella conoscenza? Cosa volevano dire ai pesci rossi? Sostanzialmente una cosa soltanto. Ci hanno fatto presente che ogni affermazione logico-razionale, ovvero quelle che necessitano di un io fisso e stabile col quale siamo identificati e in cui siamo esauriti come entro una bolla, è necessariamente sempre parziale, anche quando vuole, sembra o ha la pretesa di affermare una verità ultima, contingente e storica, quando pronunciandola si ritiene di chiudere il discorso in corso.
Nel buco nero della bolla, molti nuotano, altri cascano, a rotazione tutti facciamo visita. Quantomeno ogni volta che ci identifichiamo con il nostro io, ovvero ogni volta che ci mettiamo a difendere, anche attaccando, qualsiasi nostro, quindi sacro, valore. Un processo di cui non ci avvediamo, come quando da bimbi al cinema non potevamo interrompere la pena che sentivamo, anche se ci dicevano che gli indiani non morivano per davvero, come quando – non c’era verso che non fosse così – bastava una scopa tra le gambe per montare su un cavallo vero. O più avanti, quando ci sentiamo offesi se qualcuno ci dice frocio o soddisfatti se dice figo. Quando ci si rattrista perché la squadra ha perso, o ci si esalta per uno stato canaglia vessato. E poi, non è lo stesso sortilegio che avviene quando ci crediamo moralmente superiori agli altri, quando senza appello li squalifichiamo come immeritevoli di dignità, quando come campioni di codardia troviamo sufficiente attribuire un’etichetta a qualcuno con la quale poi, come se lui fosse effettivamente come stiamo pensando, giudicare negativamente o positivamente qualunque altra sua affermazione? Cos’altro è un’ossessione o una psicopatologia, se non l’identificazione con un’idea? Come quelli del capitano tutte a me, non stanno facendo altro che personalizzare eventi e nel contempo, tra l’altro, sprecare energie accusando qualcuno, senza cogliere l’occasione per scoprire qualcosa di sé che riduca quella sfortuna.
È comprensibile. La cultura meccanicista e positivista senza sforzo ci ha abituati. Ogni sua espressione ne è pregna. Progresso materiale come il solo esistente, competizione in tutti suoi gradi – perché solo vincere ha e dà senso alla vita – sono la sostanza e ghiotto cibo dei pesci rossi.
La diffusione di qualsivoglia affermazione o narrazione è virulentemente proporzionale all’accredito dato alla fonte, all’emittente. Più alto è l’accredito, più radicale sarà il cortocircuito dell’autonomia di pensiero del pesce. E, contemporaneamente, aumenterà il gradiente di dipendenza da qualcosa o qualcuno. Cultura o giornalacci, cosiddetta scienza o pensiero unico, esperti o mezzi-busti, Washington o Bruxelles, presunta democrazia o presunta meritocrazia, razionalismo o scientismo. Un dramma comune, in questa epoca ricca di dettagli e povera di olismo, in cui il titolo di specialista risulta tra i più ambiti. Sono coloro che ne sanno di più. Ciò che dicono, telegiornale o meno, è verità. Chi non ha titolo non ha neppure diritto di parola. E chi ce l’ha ma non si schiera con la maggioranza ha però quello di essere iscritto a liste di proscrizione, come il grande Corriere della Sera ci ha insegnato (10). Per conferme, chiedere a Mentana e alla risma dei suoi colleghi passacarte, che propagano la comunicazione scelta da altri.
Perché Mentana e il Corriere, due tra mille, fanno parte del discorso? Per la risposta, tornare al carrozzone senza passare dal via. Se i suoi passeggeri ci dicevano che ogni affermazione logico-razionale è anche necessariamente parziale, le verità in esse contenute sono realmente tali a una sola condizione. Ovvero, solo e soltanto entro il campo emozionale, spesso a noi stessi invisibile, che le ha generate. Infatti, se creo un regolamento logico-razionale, viene da sé anche la bolla, il campo di gioco al quale esso è funzionale? Di sicuro! E siamo al punto, ovvero all’autoreferenzialità di tutti i campi o bolle, quindi di tutte le verità. Il cui argomento ultimo corrisponde al fatto che fuori dal nostro universo personale non c’è che il nulla.
Alle verità, infatti, si aderisce solo entrando nella medesima bolla o emozione che le ha decretate. È lì che il superficiale dialogo trova spazio, a causa dell’autostima vissuta da tutti i giocatori. Sembra interessante e bello, ma c’è la sorpresa.
Vedere e toccare il cielo di cartongesso, che impacchetta ogni nostra cosmogonia, ogni affermazione logico-razionale e anche quelle irrazionali logicamente maneggiate, è un’esperienza – come tutte – non trasmissibile.
Infatti, fare logico-razionalmente presente la loro ineludibile parzialità, caducità, vanesia, storicità è pressoché opera, più che titanica, stupida. Ognuno tocca il cartongesso solo e soltanto quando il suo bompresso lo buca, mai prima.
Nessuna di quelle affermazioni erudite o di strada fanno la differenza o sono utili, se ci interessa evolvere verso una condizione di armonia. L’evoluzione personale non corre su ponti intellettuali. Lo studio dei saperi cognitivi non porta che a conoscenza tecnica, inutile e dannosa alla conoscenza di sé. Navigare nella pozza logico-razionale, pensando di solcare il solo oceano del cosmo, non permette di emanciparsi dall’incantesimo imposto dalla cultura scientista e positivista.
Perché allora tutto questo discorso, che è un’affermazione equiparabile a qualunque altra? Non tutto è perduto. Sotto la frana vi sono sottili vie libere che, di consapevolezza in consapevolezza, possono condurre chiunque a toccare il cielo di cartongesso di Truman. Allora diviene estremamente facile scendere nel sottoscala della nostra biografia e trovare quando, come e dove ci siamo identificati in una o più di quelle parzialità, difendendole come se ne andasse del nostro onore, orgoglio e vita. Diviene possibile ricapitolare l’ordine del mondo che ci pareva il solo, e ricomporlo con un paradigma in grado di discernere tra quanto è autoreferenziale e quanto non lo è.
Note
Carl von Clausewitz, Della guerra, Torino, Einaudi, 2000, p. 38.
Protagonista del film The Truman Show del 1998, diretto da Peter Weir.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951), filosofo e logico austriaco.
Karl Raimund Popper (1902-1994), filosofo ed epistemologo austriaco, naturalizzato britannico.
Kurt Friedrich Gödel (1906-1978), matematico, logico e filosofo austriaco, naturalizzato statunitense.
Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1963 e David Bohm, Universo, mente, materia, Como, red!, 1996.
Gregory Bateson (1904-1980), antropologo, sociologo e psicologo britannico.
Paul Watzlawick (1921-2007), psicologo e filosofo austriaco, naturalizzato statunitense.
Humberto Romesín Maturana (1928-2021), biologo, sociologo, filosofo e psicologo cileno.
https://www.corriere.it/politica/22_giugno_05/rete-putin-italia-chi-sono-influencer-opinionisti-che-fanno-propaganda-mosca-fce2f91c-e437-11ec-8fa9-ec9f23b310cf.shtml.