Poi arrivò don Mazzi

 

Poi arrivò don Mazzi

Ho avuto occasione di leggere in questi giorni, dopo l’esplosione di fatti incresciosi e vergognosi avvenuti in sedi scolastiche di diverse regioni, senza alcuna distinzione geografica, articoli, interventi e rivisitazioni storiche tutt’altro che convincenti, tutt’altro che equilibrati e soprattutto miseri nel loro livello di obiettività sull’argomento scottante e degradante.

Si è cominciato con una nota dedicata al rilancio dell’educazione civica nella scuola, culminata ed “illuminata” dalla proposta del giudice emerito Sabino Cassese, di rendere appunto gli insegnanti della materia “la chiave per aiutare i ragazzi a combattere la diffusione dell’ignoranza e l’orgoglio dell’ignoranza.” Senza curarsi di sottolineare la necessità della preventiva conoscenza delle norme fondamentali di educazione generale, Cassese escogita linee terapeutiche demagogiche e strumentali. Assegna infatti agli insegnanti il compito di selezionare le notizie quotidiane, di “far capire il senso delle cose” e di estrarre “la testa dei ragazzi da quell’alveare fatto di migliaia di informazioni ogni giorno”.

Un contributo senza esagerazione raggelante è recato da “don” Antonio Mazzi. Arriva a considerare la scuola “l’unica istituzione che raccoglie tutti i nostri figli negli anni fondamentali della loro vita” e “l’unico baluardo cui aggrapparsi per costruire percorsi mete, speranze, senza le quali le nostre città si ridurrebbero a convivenze disordinate, a grattacieli verdi ma senz’anima, a case orfane di famiglie, a quartieri anonimi per un verso, negativamente etichettati per un altro”.

Ma le parrocchie e gli oratori che fine hanno fatto? Perché e dove hanno abdicato al loro ruolo secolare?

E’ pur vero che non da oggi ma almeno dal 1968, per fissare una data, dagli ambienti ecclesiastici sono state scritte pagine devastanti dagli effetti autolesionistici incalcolabili. Secondo le rivendicazioni di un convegno, tenuto presso l’Università Cattolica di Milano, “l’ateneo di largo Gemelli fu l’epicentro di una rivolta che non rimase a lungo solo giovanile e solo studentesca”.

Due erano le mete della “guerra” “alla società del benessere dei ragazzi dell’Occidente”. La prima era “la lotta contro le dittature in Sudamerica e dei gruppi sotterranei che si battevano contro l’oscurantismo antireligioso [rigorosamente solo quello] dei regimi dell’Est europeo”. La seconda era contro l’impostazione medioevalista, “di opposizione totale al modernismo e al comunismo”.

Una storica, partecipante all’assise nostalgica ed inconcludente, ha individuato – ci basti – la protesta come la risposta a una “domanda incessante di autenticità”.

Torna in alto