A determinare l’esigenza di fare tutto o quasi tutto da soli non sarà tanto un impeto d’orgoglio nazionale quanto la stretta impellenza dei fatti; se ci proporremo di risollevarci, dall’asfissiante grande carenza di sviluppo e di speranza che ci affligge ormai da molti anni, inutile illuderci, non potremo che fare da soli.
Non sarà facile. Quanto poco possiamo contare sull’UE è sotto gli occhi di tutti. Quali siano gli ostacoli che contrastano la maggiore determinazione degli italiani a contare sulle proprie forze è utile considerarlo insieme; perché non sono tanto i fatti finanziari ed economici (come il Piano di Salvezza Nazionale puntualmente documenta, come Giulio Tremonti autorevolmente sostiene); e non è nemmeno il tradizionale atteggiamento tremebondo della nostra classe politica l’ostacolo principale; c’è qualcosa di più politico e di più profondo che emerge con forza nell’establishment global progressista al semplice balenare di un’Italia più indipendente ed autonoma , qualcosa che viene diffuso nei grandi giornali, nei talkshow , nei social ed è chiaramente la paura ossessiva che prenda corpo tra gli italiani una nuova consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie possibilità.
Fare da soli viene presentato come sinonimo di irrealismo, velleitarismo, premessa per il baratro finanziario ed economico dell’Italia.
Intendiamoci, se l’Italia deve avere coscienza dei propri mezzi ciò non significa che non debba altresì avere coscienza dei propri limiti. Una posizione irrealistica sarebbe pericolosa in una fase complessa e fortemente critica per la nazione italiana come questa, dove a parte lo tsunami della pandemia restano incombenti e assillanti problemi giganteschi, dal mancato sviluppo economico degli ultimi vent’anni all’involuzione demografica, al crescente divario Nord-Sud e cento altri; una maggiore consapevolezza dei propri mezzi, unitamente a maggiore disponibilità all’impegno personale costituisce elemento determinante per affrontare con qualche speranza di successo i problemi che attendono gli italiani.
Gli ostacoli che si frappongono al nostro sviluppo sono in verità molteplici ma conviene focalizzarsi al momento su quello che da anni espone l’Italia a condizionamenti pesantissimi per le sue politiche economiche e sociali; parliamo con ogni evidenza del nostro grande debito pubblico.
Il nostro debito pubblico ammontava a fine anno 2019 a circa 2400 miliardi di euro, pari a circa 135% del nostro prodotto interno annuo, il PIL, che a sua volta si aggirava intorno ai 1800 miliardi. Il forte debito determinava interessi passivi dell’ordine 70-80 miliardi annui, effetto a loro volta non solo dell’alto valore assoluto del debito ma anche dell’alto livello dei tassi d’interesse: il grave appesantimento del bilancio per effetto degli interessi passivi è dunque la prima conseguenza dell’alto debito. Un’altra sono le diatribe e le limitazioni, lunghe e penose che ad ogni DEF, ad ogni piano di bilancio, l’Italia deve affrontare in sede UE a causa del suo debito. Ma l’aspetto più pericoloso del nostro alto debito è la costante minaccia a cui espone la nazione per sempre possibili attacchi speculativi.
Consideriamo ora che su di una situazione già fortemente critica è calato il ciclone del coronavirus che ha portato alla paralisi economica e lavorativa della nazione, con milioni di nuovi disoccupati e la presumibile caduta del PIL tra il 6 ed 12 %, e molti nuovi miliardi di deficit di bilancio e di debito pubblico aggiuntivo. Pensare di fronteggiare tale contando sull’Europa di Bruxelles sarebbe semplicemente poco serio.
Cosa potrà fare l’Italia per rimanere viva e competitiva in tali frangenti?
Va ricordato che a fronte di un grande debito pubblico l’Italia ha un grande risparmio privato.
La ricchezza delle famiglie italiane era valutabile prima dell’inizio della crisi sui 11.000 miliardi di euro di cui circa 4500 miliardi relativi ad attività finanziarie come depositi, titoli, assicurazioni. Considerando tale consistente disponibilità, Giulio Tremonti ed il Prestito Nazionale propongono un prestito di 300 miliardi, a lunghissima scadenza (50 anni), a basso tasso d’interesse, riservato ai residenti.
C’è un’ulteriore misura veramente forte e coraggiosa che l’Italia potrebbe assumere per riequilibrare di colpo la sua posizione finanziaria e ridivenire soggetto attendibile di iniziativa politica ed economica. Un genere di provvedimento di norma fortemente avversato dai liberisti: parliamo del ricorso ad un contributo “una tantum” da parte di ogni singolo cittadino sulla base del suo patrimonio personale. Un’imposta del sei o sette per cento sulla sola ricchezza finanziaria.
Si può anche gridare allo scandalo per pensare ad un’altra tassa sui già tanto tartassati cittadini italiani ma purtroppo non ci sono altre strade realistiche e credibili per tentare di imprimere una vera svolta alle prospettive della nazione.