Che l’anarchia concepita in provetta costituisca l’antefatto delle soluzioni autoritarie é cosa vecchia. Da Machiavelli a Kissinger non c’é stato mai nessuno che abbia dissentito. La stupidità come viatico della trasformazione in senso oligarchico della società organizzata é materia sulla quale, invece, sono in corso approfondimenti e si prospettano delle dispute.
Intanto, per cominciare, va detto che le Azzolina, i Toninelli, i Bonafede e i Di Maio non sono figli del caso, ma discendono da un progetto il cui obiettivo finale é, a loro insaputa, l’assunzione di tutti i poteri possibili da parte di una sorta di club, completamente pressurizzato, del quale dovrebbero far parte i maggiorenti dell’Alta Banca e i consiglieri d’amministrazione del NWO.
Le stazioni intermedie di questo percorso, che non é cominciato da ieri e neppure da ieri l’altro, coincidono con la soppressione di tutti i valori identitari, e con la riduzione della politica a semplice orpello, a superfatazione di processi decisionali che avvengono in stanze molto lontane da quelle accatastate presso il Palazzo.
Perché la politica – come esercizio del potere in funzione degli interessi collettivi e come ricerca costante di equilibrio tra quelli ‘particulari’ di ogni agglomerato sociale – ceda il posto all’antipolitica professata da un piccolo manipolo di tecnocrati infeudati all’Alta Banca, è necessario che essa faccia a meno della partecipe adesione dei cittadini, che diventi ai loro occhi cosa ridicola, territorio riservato agli imbecilli e ai cialtroni.
Quando si potranno diradare i fumi della cronaca e si avrà, quindi, modo, di collocare i fatti di questi giorni e di questi mesi nella prospettiva storica, ci si accorgera’ di quanta strada a zig zag é stata fatta, partendo dal 1992 – hannus orribilis da evidenziare col lapis nero, come il 1917 o come il 1943 – per arrivare al punto in cui siamo – ad uno stadio molto avanzato – nella rimozione della nostra segnaletica identitaria e si vedrà come, a dispetto delle apparenze, tale operazione sia avvenuta illo tempore, anche per iniziativa della Lega di Bossi e Miglio che invocava la secessione del Nord o di una Gelmini – la monachina di Arcore – che eliminava la Storia antica e la Geografia dai programmi scolastici per togliere ogni punto di riferimento nello spazio e nel tempo ai più giovani: una specie di vallo, di fossato, che li avrebbe separati dal mondo dei vecchi e li avrebbe lasciati lì, da soli, con un vasetto di nutella in mano, e tutt’intorno una distesa di terra secca incorniciata dall’orizzonte piatto.
E’ di quello strano sciamano chiamato Beppe Grillo la petulante richiesta di una riforma che escluda dal voto gli anziani e li sostituisca con dei mocciosi. L’ennesima dimostrazione di quali e di quante siano le vie che portano alla distruzione della politica e alla fine dei giochi, dietro l’eccitante paravento della democrazia diretta pubblicizzata dalla piattaforma Rousseau – il banchetto con le tre carte (carta vince, carta perde) che si vedeva tanti anni fa dalle parti di Porta Portese a Roma – per non parlare dell’ultimo referendum, quello per il quale i suoi scherani, mansueti e ottusi come dei robocop, si sono battuti per sfoltire la pletora dei parlamentari: in realtà, per allentare il rapporto tra eletti ed elettori e spostarlo, facendogli saltare parecchi step, nella direzione dell’arroccamento oligarchico.
La consultazione popolare, nascondeva purtroppo tra le proprie pieghe un angoscioso dilemma: se, cioé, nel prendere atto dell’eventuale vittoria dello sciamano e, quindi, di quella illusoria degli italioti, sarebbe stato meglio chiedere asilo politico al Governo delle Far Oer o piegare tutti insieme – gli italiani – verso soluzioni più maschie, della serie che quando ‘ce vo’, ce vo”, che é tutto l’opposto di un’altra serie, assai più fortunata, che fa ‘vedremo domani, oggi piove’.
Prezzolini, il più grande dei nostri liberi pensatori, si accanì contro il suffragio universale, ritenendo, a ragione, che un sistema – per l’appunto, quello democratico – che assegnasse al voto dall’imbecille lo steso valore di quello espreso dal dotto, avesse un insanabile difetto di fabbrica. La ‘Critica della Ragion Pura’ di Kant, nel proporre l’apologo della colomba, frenata nel volo dal’attrito con l’aria, ma impossibilitata a prescinderne, spiega mirabilmente come sia del tutto campata in aria, in certi casi, la pretesa di sfuggire alle tenaglie del paradosso. Ma qui, il termine ‘paradosso’ é usato come un pericoloso eufemismo, perché l”UNO VALE UNO’, che é il grido di battaglia delle orde grilline, può solo valere come motto di una società iperuranica – che ancora non c’é – o come grimaldello per penetrare di soppiatto in quella attuale allo scopo di devastarla: più che altro, una presa per il culo.
Insomma, non ci sono arcani o emigmi complicati da risolvere. Basta essersi addestrati da piccoli nell’unire i puntini rispettando la sequenza numerica. Un partito che nasce dal matrimonio tra la Casalleggio Associati, una piccola società esperta in magheggi informatici, ed Enrico Sassoon, l’ultimo rampolllo di un’antica dinastia di finanzieri che dava e dà del tu ai ‘grandi’ del pianeta, e che é ospite fisso del Bilderberg, non può essere lo stesso partito che ha fatto trovare dentro l’uovo di Pasqua il titolo di ‘onorevole’ a gente come Taverna, come Antoninelli, come Bonafede, come Di Maio, robetta, tranne – lo ripeto – che per realizzare un obiettivo molto più ambizioso della cancellazione della democrazia – quella della politica, praticata da migliaia di anni – i suoi ideatori non abbiano pensato che tale gente sarebbe stata assolutamente necessaria, già soltanto per provocare allergie, per legittimare, pfui, puah, l’onomatopea del disgusto.
Non é detto, comunque, che ciò significhi resa e rassegnazione.
Pure Sassoon – immagino – avrà sentito parlare di eterogenesi dei fini, ‘di conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali’. E’ un classico del cinema e del teatro. Anche che la rassegnazione traligni tutto d’un tratto in rabbia.