Qualsiasi cosa

 

Qualsiasi cosa

Con le mani alla gola perchè l’aria che entra é poca ed é satura di veleni, ci si sporge dalla finestra o ci si affaccia dal balcone, ma il destino, inesorabile, é quello di morire asfissiati, perché fuori é esattamente come dentro. La politica estera erogata da questo Governo di bari e di traditori é la conferma del complotto ordito dall’Europa della Merkel e dagli sciamani del mondialismo per cancellare l’Italia dall’elenco dei Paesi che sono autorizzati a recitare un ruolo sullo scacchiere internazionale.

L’emblema é quel vecchietto di Mattarella che prende per mano il suo omologo sloveno, Pahor – due improbabili fidanzatini – davanti alla foiba di Basovizza. L’estetica pura del gesto quale contrappeso di una firma, quella apposta dall’inquilino del Quirinale sul documento che consegna il Narodni Dom, il palazzo del popolo, alla comunità slava stanziata in territorio italiano, mentre dall’altra parte del confine tra i due mondi, gli italiani che sono scampati alle atrocità dei titini – delle piccole isole di cemento battute da venti maligni – fanno fatica a capire perché mai il mutevole gioco delle parentesi graffe, quadre e tonde che caratterizza l’algebra della storia deponga sempre a loro sfavore: ieri col silenzio artificiale che cancellava le foibe, e oggi con un’enorme stella rossa eretta sul grattacielo di Fiume da chi dice di celebrare l’amicizia tra i popoli e rischia, invece – non si saprebbe dire se apposta – di   rinfocolare antichi rancori, nemmeno troppo antichi. Di riaprire i conti.

Chiacchiere contro fatti, carezze contro schiaffi: non c’é proprio partita.

L’equipaggio di due pescherecci italiani viene catturato dai predoni al soldo del generale Haftar in acque internazionali per essere adoperati come merce di scambio con i contrabbandieri di esseri umani di nazionalità libica reclusi nelle nostre galere. Un insopportabile ricatto, aggravato dall’averci messo dentro anche dei pacchi pieni di droga: l’ombra dondolante del cappio, un espediente per tirare su col prezzo qualora Roma voglia mercanteggiare. E’ da più di un mese che le madri e le mogli degli ostaggi implorano il Governo perchè faccia qualcosa. Niente. Gli incursori del Comsubin aspettano una chiamata. Sono come le lenzuola ricamate che costituivano, una volta, la dote delle giovani spose. Come il servizio di cristallo schierato, a due a due, col resto di quattro, sull’ultimo piano della credenza. Stanno lì, nella loro sontuosa inutilità. Non diversamente da un certo Conte che fa il verso a Vanna Marchi, e da un certo Giggino Di Maio che da’ di gomito a Pompeo, lui, un ex venditore di gassose e di mostaccioli: trascorsi diversi giorni da quell’incontro, si sta ancora chiedendo per quali misteriosi itinerari la discendenza del grande uomo politico romano abbia potuto perpetuarsi in America, interpellerà Toninelli. 

Mentre i pescatori tunisini buttano le loro reti nelle acque di Lampedusa costringendo gli isolani a dare continuamente forfait e migliaia di altri tunisini violano regolarmente i nostri confini marittimi travestiti da profughi, l’ineffabile Giggino vola a Tunisi e paga quel Governo – milioni di euro – perché attenui la portata dell’invasione.

Chiacchiere contro fatti, carezze contro schiaffi: in un altro contesto, che non sia quello delle relazioni internazionali, dove non esistono vere regole, ma le regole vengono di volta in volta modificate sulla scorta degli atti compiuti dai competitori più forti, la manifesta inferiorità sarebbe un buon motivo per interdire il confronto. Ma non qui, non adesso, poi si vedrà. 

Dovunque il guardo io giro’, questo labirinto di specchi restituisce il riflesso di una catastrofe. L’Italia non c’é più. C’é scritto, nella microchip che é stata inserita sotto pelle in questo Paese mentre dormiva, il testo completo dell’enciclica ‘Fratelli tutti’ che attribuiscono erroneamente a Francesco, mentre il papa regnante si é solo limitato a fare il copia ed incolla con l’opera omnia dalla Boldrini: qualche passaggio qua e là, anche degli interventi di un tale Librandi, che é venuto fuori dal nulla, nessuno sa chi sia, ma sostiene, bucando ripetutamente il piccolo schermo, che l’Africa é il futuro, e lo fa con l’espressione trionfante di un Newton che, osservando l’albero e la mela, si sia accorto dei gravi.

Uno degli ultimi scampoli di politica estera é stato forse quello associato al nome della Mogherini (sento distintamente l’ululato: ah la Mogherini: se l’erano dimenticata…) la quale si esprime mirabilmente nell’esperanto dei mondialisti – l’Inglese – e sa come mettersi in testa lo scialle quando ci si presenta al cospetto degli ayatollah, ma sa anche rimanere in silenzio: che era la competenza che le serviva per rimanere in linea con l’Unione, quella in cui, senza mai dichiararlo, tutti vanno per conto proprio, tutti, tranne Cenerentola, l’Italia, sottomessa all’Europa tedesca, che hanno lasciato da sola in cucina a lavare i piatti. La favola s’interrompe qui, ma io ricordavo – forse sbaglio – un finale diverso.

Moavero (sento un altro ululato….ah, Moavero: se l’erano dimenticato…), un vero signore, mai una parola di troppo, la versione postmoderna del linguaggio diplomatico che, per evitare dei malintesi o degli errori, si chiude in se stesso, un mezzo e mezzo tra la coazione ricevuta da piccoli a non fidarsi degli sconosciuti che ti offrono caramelle e la superba indifferenza del pappagallo di Portobello che non diceva né ‘a’ né ‘o’ neppure se l’ammazzavano.

Poi é arrivato Di Maio, che può fare tranquillamente il ministro degli Esteri perché non c’é più una politica estera: é uno zoo con gli animali di cartapesta, una bambola di gomma, il karaoke dell’Aida cantata da un cane col mal di gola, una desolante messinscena.

Chi mi conosce appena un pò sa che faccio dell’ironia quando sono messo alle strette, quando, per la rabbia, potrei uscirmene con delle espressioni da sentina, disunirmi nell’invettiva, finire, come in questo caso, con delle ricette politicamente scorrette, come quella che se il gioco é impostato per farti perdere e non puoi alzarti dal tavolo, é giusto che tu metta mano alla pistola. Insomma che tu faccia qualcosa. Qualsiasi cosa.

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