[RECENSIONI]: “Fascisti” di Armanda Capeder


 

[RECENSIONI]: “Fascisti” di Armanda Capeder

«Il gruppo degli inseguitori, ingrossato da gente urlante “Dalli al fascista!”, lo aveva raggiunto e al massacro di erano aggiunti gli inquilini della casa che lo conoscevano ed erano stati suoi clienti, e i cui figli spesso avevano ricevuto in dono i suoi gelati. Gente infuriata che neppure sapeva chi era il tizio che stavano inseguendo, perché le grida di Mario il gelataio, coperte dalle urla di odio della folla, era ormai impossibile udirle. E quando poi era intervenuta la forza pubblica e il medico legale, l’avevano infilato in una cassa e seppellito senza neppure poter ricomporre il corpo perché i pezzi erano irriconoscibili.»

Termina con l’atroce linciaggio di un povero diavolo colpevole solo di essere stato coerente con sé stesso e le proprie idee il bel libro di Armanda Capeder “Fascisti!”, Enrico Damiani Editore. La conclusione del racconto tuttavia non coincide con la conclusione della storia narrata nell’opera, laddove la vicenda della famiglia Armani s’è già chiusa diverse pagine prima. Il clima corrusco e nibelungico tuttavia resta pur sempre quello, poiché, come fa chiaramente intendere il titolo di copertina, per l’io narrante tutto ha inizio con Vittorio Veneto e la successiva fondazione dei Fasci di Combattimento nell’ormai lontano marzo 1923. Evento che vide tra i primi entusiasti sostenitori Luigi Armani, giovane eroe invalido – e deluso – della Grande Guerra. E tutto ha fine in quel maledetto giorno del 25 aprile 1945 e nei mesi seguenti, allorché Giovanna Armani, la giovane figlia del protagonista, si ritrova suo malgrado ad essere brutalmente strappata al candore di fanciulla per essere catapultata nel mondo degli “adulti”. Un mondo senza più punti di riferimento, dove è costretta a fare i conti con la crudeltà, la vigliaccheria, la pavidità e la cialtronesca arroganza propria di coloro che fino a pochi mesi prima si erano sbracciati a sostenere il vituperato regime sgomitando come forsennati per un posto alle parate.

Giorni terribili quelli dell’aprile 1945. Giorni in cui la follia sembrava essersi impossessata delle menti di tutto un popolo. Non per nulla ci fu chi parlò di pietà che “l’è morta”, se non di una vera e propria “macelleria messicana”. Nel mezzo, vale a dire nel lento scorrere delle 236 pagine del libro, la vita della famiglia Armani di Voghera si dipana per tutto l’arco di quella manciata di decenni caratterizzanti la prima metà del XX secolo. Un periodo storico teatro appunto della cocente delusione del dopoguerra e della mitica riscossa dell’ex italietta Giolittiana. Un Paese-Cenerentola finalmente assurto, grazie al Duce e al Fascismo, al rango di potenza mondiale. Una Nazione per la prima volta orgogliosa di sé stessa e del proprio presente, corteggiata e osannata – e temuta persino! – dai suoi tradizionali nemici. Ed è appunto l’epoca in cui il protagonista, l’ex reduce Luigi Armani, ottenuto finalmente un buon posto di lavoro come scrivano al comune e con un futuro ben garantito, si unisce in matrimonio con Angela. Una ragazza di buona famiglia anch’essa profondamente nauseata dal clima di disfattismo antinazionale cialtrone e prepotente diffuso da socialisti e comunisti nel corso del famoso – o famigerato – “Biennio rosso”.

Un lasso di tempo in cui la canea urlante dei sovversivi incolpava i reduci di guerra di tutti i mali possibili, oltraggiandoli e scatenando la piazza con azioni cruente, scioperi a catena, saccheggi indiscriminati e quotidiani scontri con le forze dell’ordine. Il menage dei neo-coniugi inizia quindi sotto i migliori auspici, con la coppia che assiste con stupore e meraviglia alla Marcia su Roma, alla presa del potere da parte del regime mussoliniano, ai primi successi del Duce, alla pace sociale ristabilita salvo la parentesi del delitto Matteotti. Un episodio che invece d’indebolire il regime contribuisce al suo consolidamento. La guerra d’Etiopia si conclude anch’essa con un clamoroso e rapidissimo successo, tanto che il Fascismo riscuote ormai il gradimento unanime di tutto il popolo italiano, malgrado l’embargo decretato contro il Bel Paese dalla Società delle Nazioni e il consequenziale instaurarsi del sobrio regime autarchico. Senonché…. Senonché, come sappiamo fin troppo bene, si arriva alla dichiarazione di guerra contro Francia e Inghilterra del 10 giugno 1940. Sbollito l’iniziale entusiasmo, presto tocca fare i conti con la dura realtà: razionamenti, tessere annonarie, coprifuoco. Poi a cascata i primi rovesci bellici, il carovita, la scomparsa dei prodotti di largo consumo, la borsa nera.

Quindi, in un crescendo da incubo, i primi bombardamenti, le corse a perdifiato nei rifugi, gli sfollati, il freddo, la fame. Sono lontani ormai i tempi in cui il regime riscuoteva successi e mieteva consensi e i giorni più neri per la nostra patria e per i coniugi Armani arrivano col maledetto luglio 1943. Un mese che vede susseguirsi lo sbarco alleato in Sicilia, il primo grande bombardamento sulla capitale e il fatidico 25 luglio, col famigerato colpo di stato, l’arresto di Mussolini e il tradimento dell’8 settembre. Per Luigi Armani e la sua famigliola è il crollo di un mondo. Il mondo nel quale avevano strenuamente vissuto e fortemente creduto. Adesso tutti festeggiano la caduta del tiranno e la fine della guerra, ma loro sanno bene che le cose non stanno così, e, pur cercando di mantenersi umani, si preparano al peggio. Un peggio che deve ancora venire e che puntualmente arriva dopo altri due anni di disagi e sofferenze di ogni genere. Una catastrofe annunciata dagli sguardi ostili e rancorosi di persone che fino al giorno prima si pensavano amiche. Gente carica di odio e di risentimento contro chiunque abbia ricoperto ruoli di rilievo durante il Ventennio.

Gli Armani sono tra costoro. E ai “vincitori” delle radiose giornate dell’aprile ’45, ai partigiani della Val Staffora e ai loro sanguinari accoliti, non importa nulla di niente e di nessuno. In primo luogo non importa se questa famiglia, rimasta fascista malgrado tutto, lungi dall’avere goduto di privilegi, abbia anch’essa pagato duramente in termini di privazioni e sofferenze. Si, perché gli Armani, in questi lunghi anni di penuria, di favori ne hanno fatti tanti, pure troppi, eppure non si sono per nulla arricchiti. Anzi. Dio sa quante volte il povero Luigi ha dovuto sopportare con la pazienza di Giobbe gli aspri rimproveri della moglie. Una donna invecchiata prima del tempo per la fatica e gli stenti, piena di rabbia nel constatare il rapido arricchimento di gente che, grazie alla borsa nera, pur nella miseria generale sembrava cavarsela alla grande. E, per colmo della beffa, ora proprio coloro che avevano fatto fortuna speculando sul dolore della collettività, sembravano essere i più astiosi nei loro confronti, accusandoli di ogni nefandezza. In pochi giorni Giovanna capisce che la sua vita è completamente cambiata. Da quel momento nulla sarà più come prima. E lei sceglie. Ora ha chiaro quale sarà il suo compito d’ora in poi: lei sarà la testimone della verità. Quella verità che lei ha indelebilmente impressa nel suo passato di bambina. Una bambina cresciuta da due genitori come tanti. Genitori fascisti.   

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