Riflessioni su “La Quarta Teoria Politica”
La Quarta Teoria Politica, tradotta e stampata anche in Italia grazie alla casa editrice NovaEuropa, è da considerare l’opera principale del filosofo e sociologo russo Aleksandr Dugin. Un lavoro che rischia di apparire confuso, se non si considera che esso è il risultato del complesso apparato filosofico e sociologico nel quale Dugin sviluppa il suo pensiero, che si muove tra Evola e Guénon, tra perennialismo e tradizionalismo, tra spiritualismo ed eurasiatismo.
Un fattore di rischio per la necessaria comprensione dell’opera filosofica di Dugin, è considerare questo testo come un qualcosa di definitivo, un manuale di istruzioni immobile, non dinamico, come scrive lo stesso autore nell’introduzione: << Questo libro è dedicato proprio a questa questione: un principio di elaborazione di una Quarta Teoria Politica […]. Non è un dogma, né un sistema completo, né un progetto terminato, È un invito alla creatività in politica, l’affermazione di intuizioni e congetture, un’analisi di condizioni nuove, e un tentativo di riflettere sul passato. >> Capire Dugin è qualcosa di assolutamente imprescindibile per approcciarsi in maniera corretta all’analisi della sua opera, che nasce in un contesto sociale, storico e culturale piuttosto diverso rispetto a quello europeo strettamente inteso.
Ne La Quarta Teoria Politica l’autore analizza e decreta la caduta delle tre teorie politiche del secolo scorso; il liberalismo, il comunismo, il fascismo, egli sostiene quindi la necessità di superare le tre ideologie ormai sconfitte dalla storia e dagli eventi, e di creare una nuova teoria politica che dia le armi necessarie al mondo per combattere i veleni del neo-liberalismo, imperante nella post-modernità.
Ogni ideologia esiste poiché esprime le necessità di un determinato soggetto storico, egli dunque si propone per identificare il soggetto storico della nuova teoria, il paradigma fondamentale che permetta lo sviluppo logico della Quarta Teoria Politica, nel far questo egli identifica il “Dasein” heideggeriano, concetto filosofico mal traducibile, ma che può essere inteso come “esserci”.
Dugin in questo senso ha offerto e sta offrendo tutt’ora un contributo importante alla nebulosa intellettuale comunitarista, poiché per realizzare l’edificio futuro della Quarta Teoria, è necessario secondo l’autore riscoprire quei valori sociali, umani, spirituali, il cui campo di esistenza è imprescindibilmente la comunità, e che si pongono ontologicamente in contrapposizione con i principi del neo-liberalismo egemone e onnivoro, che tutto inghiotte, ingloba e distrugge.
Inoltre l’unica prospettiva geopolitica possibile secondo Dugin, è quella del multipolarismo, figlio di una reazione naturale e necessaria all’unipolarismo occidentale di matrice liberista. Questo è un altro aspetto fondamentale per capire come il comunitarismo sia, non solo possibile, ma assolutamente necessario per la sopravvivenza dei popoli e delle loro identità, e soprattutto che questo è possibile solo al di fuori delle catene neo-liberali post-moderne.
Nonostante l’opera di Dugin sia da identificare come un testo fondamentale per capire e ragionare sul nostro tempo, e come contributo importante alla giovane “area” comunitarista, personalmente rimango perplesso da varie questioni, che lancio sul piatto della discussione, come spunti di riflessioni sulle quali dibattere in futuro.
È veramente necessaria una nuova teoria politica? Le strutture che erano in essere nel tempo in cui furono teorizzate le precedenti ideologie sono cadute? Il comunitarismo non è un adattamento naturale alla post-modernità, di un qualcosa che già esisteva?