Rinnovare un feroce, delicato amore per l’uomo e la vita nell’impegno comune
“Soglia” è un concetto limite, marcatore di transizione fra retaggi ombrosi oppure nitidi, folli o stazionari. Allo stesso modo il nuovo anno e, ancor più, l’approssimarsi alla sua realizzazione del primo convegno nazionale di questo Giornale, devono convertire l’osservatore passivo allo sforzo pro-attivo, una tensione realista all’emergenza della sosta necessaria sull’infallibile. Quest’ultimo si presta in forte antagonismo con la fisionomia del precario come simbolo della contraddizione irrisolta fra diritti universali che cullano la pretesa, il diritto alla felicità al quale ciascun individuo deve ambire (o prestarsi) e dall’altro proprio la smania per un culto dell’attimo, di fuggevole benessere ha dato suo fervente contributo a proiezioni esterne di fuochi etici, esistenziali assolutamente interiori.
Inciampa su se stesso e la propria identità originaria, costruita, in divenire il caso di uomini che accettano brandelli di materia al fine di maggiori quantitativi per accumulo immediato, prêt-à-porter, che ben si possano abbinare con “casi”, invece di biografie. Uno sfacelo liquido la cui piattaforma melmosa invade furtivamente la normatività del naturale, oggettivo, culturale, spirituale clamore della permanenza anzitempo redentrice dal consuetudinario ologramma disfattista attinente qualsivoglia stazione d’interesse, tra cui la bioetica personalista stessa, vittima anch’essa di una solitudine strutturata fra le mura di casa. Palazzo innalzato verticalmente che implora una conformazione idonea alla portata superlativa dell’incalzante risposta puntuale e quotidiana verso la quale si adopera il livellamento morale fra domanda e offerta: laborioso contrattacco a pungenti stimolazioni d’avversione decostruttivista, pionieri di libertà autoalimentate, autocreate e sovrane ego-centrate.
Cedendo la diga, affonda la staticità nella circostanza; allo stesso modo buonismo, dolcificata confusione valoriale, viscida irresistibilità alla vulnerabilità tipicamente umana di scendere al compromesso, stanno avallando gestazioni di pericoloso relativismo obiettore a ciò che è il bene vero, integro della persona, protetto, quotidianamente nascente, imperituro nella concezione universale della dignità umana incarnata al solo fatto di essere uomini, pienezza autosufficiente.
Come scardinare il crollo del vizio sceso a patti con la virtù? Occorrono forze intellettualmente oneste, emergenti da competenza e dedizione, che sentano su di sé il peso di una realtà a misura di Superuomo, anziché di creatura. L’impegno servile deve essere garantito, insieme alle realtà che possano operarlo concretamente; l’impegno a curare radici invase nel sottosuolo da distorsioni intellettuali nocive, tali per cui l’uno conta più del tutto e il tutto più dell’uno, inconciliabile sinergia di azioni senz’anima. Non basta che del danno se ne parli accusandolo a posteriori, pervenendo a constatazioni angosciate ma pur sempre troppo leggere per sopperire ai cadaveri sulla strada, irose reazioni bloccate sull’inappropriatezza concettuale o contestuale; occorre voler vedere dapprima delle grida e, per coloro esausti di facoltà visive sospese per cecità convenienti, c’è bisogno di arredare nuovi ambienti di fiducia politica, sociale, scientifica, accademica e lavorativa che abbiano a cuore la speranza di molti nelle sorti dell’umanità fatalmente innestate nella vita, nella famiglia, nel non negoziabile.