Salvano Zaki ed augurano eutanasia per gli altri
È paradossale che la politica tutta si sia strappata le vesti per Patrick Zaki, della cui vita e opere sappiamo ben poco. Certo è giusto che sia stato liberato, ma è uno a fronte di tantissimi perseguitati giudiziari, fiscali, amministrativi, bancari. La gente perde tutto ed anche la libertà e la vita, ma le istituzioni hanno le mani legate, e possono intervenire solo in casi limitati ed “autorevoli” come quello di Zachi. Per poca gente la politica tutta si spende, mentre i suicidi di gente più o meno giovane non sembra scuotano granché l’Italia come la Vecchia Europa. La morte dei concittadini meno fortunati assurge ad una sorta di possibilità per altri. Confermando la teoria dell’ex ministro Roberto Cingolani, ex ministro del governo Draghi, che affermava “è un problema di sostenibilità di un ecosistema che è quello del pianeta progettato per tre miliardi di persone”. Siamo troppi, ed allora sull’arca c’è posto per pochi, e Zachi certamente è stato scelto. Per i non prescelti il sistema fa spallucce, e forse con un sorriso ipocrita e calvinista consiglia anche una sana “morte assistita”. Tendenza che vediamo davvero marcata nel Nord Europa, capofila l’Olanda, dove quella minoranza dell’oltranzista partito dell’eutanasia sta spingendo perché la “dolce morte” a spese dello Stato venga estesa a chi non sopporta (o non crede) di poter sortire dalla miseria: può un cittadino chiedere allo Stato d’essere ucciso per povertà o depressione? Durante il Governo Draghi leggevamo dai giornali del gesto di Michele, trentenne veneto disoccupato che si toglieva la vita temendo non sortire più da una forma irreversibile di povertà. Ma la sua ultima lettera ha rappresentato il manifesto d’una generazione che ancora ama la vita, e il suo gesto suicida assurgeva a forte risposta politica all’indifferenza dell’intera classe dirigente italiana ed europea. E due anni fa la classe politica era pressoché la stessa che ha tutta quanta brindato alla libertà per Zachi. Tra loro s’annidano anche quelli che commentarono il suicidio di Michele con parole europee ed istituzionali, ovvero “certi suicidi non avrebbero luogo, se avessimo anche in Italia un corpus giuridico in grado di garantire l’eutanasia in strutture pubbliche per chi non sopporta certe forme di povertà e disoccupazione”. Non si esclude che la classe dirigente possa anche sperare che in tanti si tolgano di mezzo. Le statistiche parlano ormai di 1,5 (anche 2) suicidi al giorno: qualche mese questa scelta la facevano a Genova una signora di 53 anni in difficoltà ed un ragazzo pressato da problemi familiari. Ma la politica va avanti, guarda a Zachi, alla gente positiva e benpensante, e perché non ci sono tempo né risorse per fermare i miserabili che sono sempre di più. E ce lo chiede anche l’Europa che diminuisca la pressione demografica, anche se poi s’aprono a fisarmonica le frontiere per evitare che la politica possa subire una gogna mediatica per mano buonista. Anche in questi tempi di magra e di guerra c’è sempre il solito gruppo (sempre più ristretto) che decide le sorti dei popoli europei: Germania, Belgio, Olanda e monarchie scandinave. Mentre la Francia oggi è in difficoltà, e pensa a salvare i propri investimenti in Africa. Ma l’Europa del gabinetto dei leader “bancariamente autorevoli”, con voce in capitolo in Bce e Fmi, non retrocede di un passo, nella certezza che prima delle prossime europee si dovranno regolare i conti con tutti i cittadini europei. È la politica del “facciamo presto” che punta di mettere in disperazione ancora più gente. Perché le decisioni dell’eurogruppo devono obbligatoriamente passare sulla testa di tutti, scongiurando che qualsivoglia governo democraticamente eletto possa deviare dagli obiettivi imposti dal “gruppo ristretto”. Ecco che Ursula von der Leyen ha personalmente ringraziato l’Italia per aver liberato Patrick Zaki, prossimo eurodeputato di quel Pd prono all’eurogruppo. Quest’ultimo è quel ristretto gruppo che considera sarebbe oltremodo utile sostituire l’europeo disoccupato ed indigente con un extracomunitario addomesticabile e poi con un robot.
POTERE DI VITA E DI MORTE
Il sistema neo-feudale è stato pianificato almeno due decenni fa dai potenti del sistema finanziario, per condizionare a proprio piacimento l’andamento economico e storia. A confermarcelo tre anni fa è stato Guido Rossi (economista, giurista e già vertice Consob) con un suo scritto apparso sul ‘Il Sole 24 Ore’: “Quella attuale è la nuova forma di feudalesimo, che sottrae la sovranità agli Stati e alle sue istituzioni: si potrà forse dire non schiave, ma ridotte spesso, con ingiustificata presunzione, a semplici esecutori di politiche economiche, monetarie e sociali, imposte non certo democraticamente dal di fuori. Il trasferimento della sovranità dello Stato democratico al Leviatano tecnocratico della troika (composta dalla Bce, l’Fmi e le istituzioni europee dominate dall’ideologia cultural-politica tedesca, che impone punizioni e austerità agli Stati peccatori), passaggio invero che sembra obbligato per arrivare all’unica possibile soluzione di un’Europa politicamente unita e democratica, comporta quindi una revisione totale dei diritti dei cittadini e delle istituzioni democratiche…”.
Ecco che la guerra degli Usa alla Russia serve anche per far perdurare la crisi, consumando le scorte della gente normale, e per favorire quei gruppi ristretti che stanno acquistando i patrimoni dei privati nella zona povera dell’Ue. Per favorire questo fenomeno di spoliazione, evidentemente speculativo, i loro referenti a Bruxelles azionano la leva dei debiti pubblici, del PNRR, della moneta elettronica, delle tantissime certificazioni per ottenere uno straccio d’impiego o la possibilità di lavorare in proprio. Per garantire l’estinzione dei socialmente esclusi, in Italia e come in Europa gli stati nemmeno più fingono di non sentire il grido di disperazione dei disoccupati. Anzi s’interrogano, su come irrorare l’eutanasia per motivi economici: del resto l’Olanda viene vista anche dalla politica italiana come un paese progredito. In Olanda da almeno cinque anni l’eutanasia viene propagandata come opportunità per poveri, detenuti, infortunati, handicappati, depressi e demotivati. Per evitare querele omettiamo i nomi di coloro che hanno plaudito alla liberazione di Zachi ed auspicato la detenzione per Julian Assange: del resto sia l’Italia che l’Europa sono opportuniste, e non certo garantiste. E ricordiamo bene quanti progressisti auspicavano la reintroduzione della pena capitale all’indomani degli attentati islamici in Francia: del resto l’ultimo ghigliottinato risale a metà anni ’80. Anzi, si può facilmente asserire che il partito della signora dalle dita secche che brandisce una falce ha sempre più simpatizzanti: non dimentichiamo coloro che sotto pandemia avevano ravvisato nel Covid uno strumento per diminuire le uscite in pensioni dell’Inps. In questo clima ben si comprende come sia poco opportuno parlare di diritti dei carcerati, e di quanto i tribunali stiano aggravando i problemi dei detenuti (a cui certi benpensanti augurano la morte). Fino a tre anni fa i detenuti condannati all’ergastolo in Italia erano 1500: un regime carcerario che non prevede né permessi né sconti di pena, “fine pena mai”. Ma il loro numero aumenta ogni anno. La tendenza dei giudici è comminare comunque il carcere per tutti, ed a vita per i crimini più efferati: quando la scelta è tra i 30 anni di carcere e l’ergastolo, oggi le corti propendono per la seconda soluzione. Qualche Solone in toga dice pure che “chi ha scontato trent’anni difficilmente si potrebbe reinserire nell’attuale tessuto sociale, finendo ai margini o tra le maglie di un sempre più aggressivo sistema criminale”. Così l’Unione europea chiede un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri ma, purtroppo, anche l’incremento delle pene da scontare in detenzione: ergo, l’Ue vede di buon occhio che aumentino i ristretti, soprattutto nei Paesi della fascia mediterranea, considerati nel Nord Europa a forte rischio criminale. Per i detenuti europei ci sono varie tipologie d’istituto di pena (adulti e minorenni in custodia preventiva), ma anche persone rinchiuse per motivi amministrativi, come quelle in attesa di riconoscimento dello status migratorio. Nel 2015 i detenuti nell’Ue-28 (esclusa la Scozia) erano circa 643mila, e tra il 2007 e il 2015 il loro numero nell’Ue-28 (esclusa sempre la Scozia) è aumentato del 10 per cento, oggi si supera il 15% rispetto al 2010. Negli ultimi quindici anni la popolazione carceraria di Malta è aumentata di poco più della metà (53 per cento) e quella dell’Italia e della Slovacchia di poco più di un terzo (rispettivamente 35 e 34 per cento). Tra i Paesi non membri dell’Ue si osservano forti aumenti (in termini relativi) per il Liechtenstein (97%), il Montenegro (51%) e la Turchia (41 per cento).
FINE PENA MAI
La tendenza conferma la scelta detentiva, anche per reati lievi che un tempo prevedevano un percorso di reinserimento, o che il condannato continuasse il proprio lavoro col vincolo di pernottamento nel penitenziario. La tendenza alla reclusione piace all’Ue, che considera il carcere utile a contenere lo strabordante numero di disoccupati che si danno al crimine. Ma non è un mistero che l’Unione europea sia orientata verso il riempire le carceri e, almeno sulla carta, per la reintroduzione della pena di morte. La “pena di morte” è stata introdotta nel Trattato di Lisbona del 2010 a seguito di uno studio della Commissione europea sull’incremento dei crimini e su eventuali deterrenti. Il problema di una sua reintroduzione era già stato sollevato per la prima volta da un giurista tedesco, Karl Albrecht Schachtschneider, durante una sua lezione sulla “Carta di Nizza” del 2007.
Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il primo dicembre del 2009, ratificato da tutti gli Stati membri dell’Ue: modifica ed integra due precedenti trattati (il Trattato sull’Unione europea, o Tue, ed il Trattato che istituisce la Comunità Europea), apportando sostanziali modifiche all’ordinamento. Ma, fortunati noi, la pena di morte è rimasta monca, e nessuno ha ancora sollecitato l’applicazione della reintroduzione da parte dei Paesi membri. Perché potesse tornare la ghigliottina, è stato modificato l’articolo 6 del Tue, e nella parte che prevede la “salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”. Esaminiamo l’articolato in questione, che recita all’articolo 1: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nei casi in cui il delitto sia punito dalla legge con tale pena”. Quindi all’articolo 2: “La morte non è considerata inflitta in violazione di questo articolo quando derivasse da un ricorso alla forza reso assolutamente necessario: – seguono i commi a. per assicurare la difesa di qualsiasi persona dalla violenza illegale; b. per effettuare un regolare arresto o per impedire l’evasione di una persona legalmente detenuta; c. per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o una insurrezione”. Di fatto l’Unione europea sta orientandosi verso scelte liberticide, e non si comprende come queste possano conciliarsi con la storia europea degli ultimi sessant’anni. Certo, chi migra da Paesi del Terzo e Quarto Mondo, o fugge da guerre e dittature, considera questi come aspetti marginali. Per tutti noi il passo indietro è evidente. Il rischio è finire tra le maglie pressappochiste della giustizia, avvolti d’indifferenza verso il suicidio e di desiderio di morte. Ma la gente è come soporizzata, anche tanto indifferente e speranzosa di salvarsi.
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