Scuola: con Bussetti l’ennesima occasione sprecata.
L’idea che un governo ha della sua missione e della sua sostanza ideale lo si evince dal posizionamento disposto a cedere, nella scala delle priorità, all’educazione. Senza l’illusione di eguagliare la temerarietà platonica e di fondare il senso stesso di giustizia nel principio educativo, da un governo sorto come populista e anticasta, alfiere di un cambiamento radicale nella mentalità operativa prima che nella forma sostanziale dello Stato, mi sarei aspettata maggiore audacia.
Audacia e convinzione, perché se è vero che per rivoluzionare il sistema Statale è necessario il coraggio è altrettanto vero che in aiuto deve arrivare la convinta volontà di volerlo e poterlo fare. Il contratto di Governo aveva deposto la scuola al 22esimo posto delle priorità, l’Università giaceva all’ultimo, tuttavia per quanto allarmante il dato poteva passare inosservato a memoria delle declamazioni in favore della “riforma totale della buona scuola renziana”. Non si può invece rimanere altrettanto in silenzio dopo il video shock del Ministro Marco Bussetti sull’esame di Stato.
Va bene abrogare la “scuola lavoro”, così meno diplomati del liceo classico andranno a vendere panini allo stadio Olimpico, oppure meno frequentatori del linguistico copieranno da google traduttore per i Musei la presentazione delle opere d’arte in tante diverse lingue, per prepararsi ad un lavoro che mai svolgeranno nella vita, ma iniettare un anestetico non vuol dire aver già operato e non vuol dire trovarsi di fronte ad un corpo nuovamente sano. La logica sessantottina del sei, della mediocrità, della semplificazione a garanzia dell’uguaglianza conserva inalterato il suo spazio preminente. Stare dalla parte dei giovani caro Ministro Bussetti non significa aiutarli a superare gli ostacoli abbassandone le necessarie altezze.
La media è una barbarie che punisce il merito, che vanifica l’impegno, che umilia quei pochi infelici e infecondi giovani ancora disposti a buttare il loro tempo chinati su un libro, per tentare di trarne qualcosa di buono. Stare dalla parte dei giovani non significa autonomia scolastica e tantomeno “programmazione didattica”, percorsi extracurriculari, offerta formativa e diaboliche invenzioni simili, di cui ci hanno gloriato gli anni settanta. Stare dalla parte dei giovani vuol dire intervenire immediatamente sui programmi, sugli indirizzi e sulla preparazione tecnica e professionale, inserendo specializzazioni rimaste fuori dal circuito formativo. La scuola non può continuare ad essere la “portavoce di nozioni” deve educare l’individuo o come avrebbe corretto Aristotele, il cittadino; la scuola deve radicare valori.
Perché questo sia nuovamente possibile occorre innanzitutto intervenire sulla preparazione del corpo docente, smettendola con il far accumulare punti sulla base di corsi di formazione inesistenti e senza la minima utilità, si deve passare a rimodulare tutti i programmi didattici così che respirino aria fresca, ma che diano nello stesso tempo le basi solide su cui fondare una prospera cultura. Materie come la musica, l’arte le lingue classiche devono ritrovare e conquistare il dovuto primato, perché abituano alla bellezza, all’analisi critica, al bel dire e al pensare, tutto ciò che oggi il giovane ha difficoltà a concepire. I Presidi non devono essere manager, perché la scuola non è un’azienda, quindi snellire la burocrazia aiuterebbe senz’altro. Gli istituti scolastici devono essere ordinati, robusti, apprezzabili alla vista non tuguri malandati e privi di luce.
Il merito non lo fa la media lo fa la serietà di un percorso difficoltoso e selezionante al punto da individuare le potenzialità, ma anche le incapacità, che non sono demeriti, sono “natura” che ci ha reso meravigliosamente diversi. I nostri giovani hanno un futuro a patto che lo individuino e la scuola deve servire anche a questo, nessun altro contatto stretto può esistere tra scuola e lavoro senza tale passaggio obbligato.
La rivoluzione della scuola egregio Ministro la potrà fare solo una visione politica pronta ad ispirare un’alternativa strutturale dello Stato, fino a quando si penserà solo ad assecondare i tempi e le richieste di burocrati il più delle volte incapaci, si finirà con il danneggiare generazioni, che hanno l’unico torto di essere nate in un sistema incapace di ascoltare il loro tragico grido di rabbia.