Senz’Arte scompare anche l’Educazione
La terra stride e chiama. Chiama gli intelletti e le mani generose. Ma oltre le incombenti battaglie che solo i vili pensano di scansare, sta il recupero di un maturo idealismo, che raccoglie i frutti del passato guardando al futuro. Tutto quello che è stato, secolo dopo secolo, è solo preparazione in vista della Sintesi finale. Si accalcano allora i discorsi sulla scuola e sull’educazione come voci in una piazza in cui rimane difficile distinguere tutti i timbri e gli accenti. Cose giuste sono già state dette e scritte, ma qui occorre il coraggio del “gran salto”, poiché un’ora si è chiusa, e un mondo, il “vecchio mondo”, è crollato lasciando solo macerie e polveri. Non certo davanti agli occhi, lì ancora vediamo i suoi alti grattacieli svettare orgogliosi, ma chi osserva con gli occhi dell’interiorità, ha potuto sperimentarne l’avvenuta dissoluzione. Un attimo, e il tempo ha aperto il suo scrigno di eternità. Oltre la porta che si è finalmente socchiusa, altri paesaggi, altre luci ci vengono incontro. I vecchi paradigmi svaniscono come la brina all’innalzarsi del sole. Come è vano allora l’affannarsi di quelle anime che vorrebbero attardarsi nei polverosi ragionamenti che non possono reggere l’urto che ci si para dinanzi. Sapere è saper vivere, altrimenti è solo lustro che cerca di silenziare le paure che non si è domato. A cosa possono mille discorsi su come maneggiare una spada se non si possiede il coraggio di sguainarla prima che lo faccia il nemico? Lo studio inguaia l’anima se non diviene cibo e nutrimento per le cellule. Sono le anime di professorini lindi e a modo, di araldi del progressismo più spinto, di devoti senza spirito. Quale spreco di vita!
E allora, una pedagogia che non si desti gioiosa alla luce del “nuovo giorno”, che non si accompagni ad una recuperata antropologia e ad un’arte pienamente redenta è come una fanciulla che vaga insicura e timorosa perché rimasta orfana. Tralasciando qui, per ragioni di spazio, un importante chiarimento di natura antropologica, ci soffermeremo sull’altro misterioso convitato del quale pochissimi hanno la fortuna di parlare: l’Arte. Poiché chi non sa parlar d’arte, non può nemmeno parlare di educazione!
Che dello stato agonizzante dell’arte nessuno o quasi si curi e ancor meno sia capace di tracciarne soluzioni, è un fatto ahimè indiscutibile. Eppure questa malattia sparge i suoi sintomi su molti organi, uno fra tutti è appunto la pedagogia. Da sempre associata all’ordine delle scienze, a noi pare invece che assuma la sua più giusta forma se assimilata all’arte.
L’uomo è sintesi di poliedriche funzioni e capacità. In ogni sua opera che acquista dignità di tal nome, quindi, l’analisi artigiana deve approdare alla sintesi artistica. Nel genuino artista, va da sé, questo si attua nella massima forma. Egli si inserisce nella spinta divina creatrice, in lui l’atto generativo e la visione si legano in una sintetica unione d’amore. Le “sue” intuizioni non sono forse la docile apertura dell’anima alle realtà e forme di mondi superiori? Le conoscenze e le capacità tecniche sono fondamenta solide su cui si innesta il gesto sicuro e rapido, la parola rivelatrice, l’immagine trasfigurata. Unione folgorante di realtà che sfuggono alla piena consapevolezza di lui stesso. Rimane uno iato fra l’artista e la sua intuizione, e questo iato è il mistero. E fra maestro e discepolo non interviene lo stesso mistero? Come l’artista plasma la materia così il maestro ha da plasmare l’anima del discepolo per aiutarlo a rivelare la sua forma originale. Un’anima che si mostra spesso per brevi attimi di sconcertante fulgore. E dietro ogni maestro si deve nascondere un mentore, che intuisce in quei barbagli la traiettoria di un’anima, così come un’artista intuisce la traiettoria di un verso o di un colore sulla tela.
L’Uomo è creato a immagine di Dio e deve lavorare per riacquistarne la somiglianza perduta. Un lavoro che la moderna concezione educativa ha colpevolmente seppellito, un lavoro che si costruisce solo crisi dopo crisi, ferita dopo ferita, fino, si spera, alla ricomposizione finale: le nozze interiori, dove la matura personalità si esplica nel passaggio dall’Io al Noi, essendo lo sviluppo della personalità simultaneamente sviluppo dell’universalità dell’essere umano. Solo una personalità formata è capace di relazione intima e sincera con gli altri. Solo la consapevolezza di sé come Persona agisce per collaborare ad una società veramente ordinata e libera, architettura sapiente di tutte le specifiche e differenti individualità.
La massa è invece divenuta il destinatario e l’appellativo di ogni forma “progredita” di attività umana: cultura di massa, arte di massa, educazione di massa e così via. Volontà di presunta giustizia e libertà che celava però il suo tragico inganno. L’arte è per sua intrinseca natura aristocratica, perché ha lo scopo di elevare e armonizzare la persona, affratellandola con le energie sottili che salgono e scendono lungo la scala che unisce cielo e terra. E quanto è difficile salire sui gradini di quella scala, quanta resistenza e a quale lotta ci chiamano. Aristocrazia è affrancamento dai falsi valori mercantili, dove tutto è soppesato in funzione di facili e visibili risultati, materiali, intellettuali e persino spirituali! È ripristino del principio di Qualità che dimora in altre lande, assai distanti rispetto al regno della Quantità sotto il quale viviamo soggiogati: nel regno della massa, appunto, dove si perde la propria individualità e personalità profonda. Per una rinnovata aristocrazia interiore, non diversamente dall’arte, ha da operare l’educazione.
Ma or che appena si è schiuso il tempo della fine, ove ogni vecchia legge e paradigma si consumano all’istante, dobbiamo per prima cosa riconoscere il puzzo di morte che ci soffocava, e invocare il ritorno alla Vita. Nulla infatti concedeva le condizioni per una reale esperienza interiore, le basi per un percorso di armoniosa crescita. Solo un enorme vuoto. L’ombra dell’arte sembrava vagare lontano dagli occhi dei più, indisturbata e sola. E così la vera educazione. Chi non se n’è avveduto, e ancor persiste, si mette inconsapevolmente dalla parte dell’Avversario. Le crociate dei moralisti non sono tanto diverse da quelle dei cantori del progresso.
L’arte può ridare fiato ai polmoni stanchi e riempire di vivacità lo sguardo. Purché essa riscopra il suo nobile fine, e la sua funzione eminentemente escatologica: prefigurare la visione di unità che riporta l’uomo ad abbracciare il cosmo e Dio. L’arte è fuoco che dai ceppi piantati nell’umida terra sale alle volte del cielo. Non è accomodante, non chiede il permesso davanti alle nostre “belle” sicurezze. Domanda solo un’anima umile e pronta ad essere fecondata. Occorre essere puri di cuore, per attingere alla Bellezza e vederne i tesori nascosti. Così deve risorgere l’educazione, dalle sabbie di morte in cui da lunghi decenni – o forse secoli – era sprofondata. Non un rifugio per sciatti funzionari capaci solo di formare altri funzionari, per addestrare giovani al rispettoso ossequio verso una società in putrefazione. Ma un’arena di uomini disposti ad ogni sacrificio per formare altri al “mestiere di uomo”. Chi non è stato bruciato dal sacro fuoco dell’arte che incide la carne e i visceri, non ha titolo per educare e nemmeno per parlar di educazione. Ora servono soltanto uomini, degli ominicchi non sappiamo più che farcene.