Sesso ed ideologia: un’istantanea del mondo futuro totalmente priva di sex appeal

 

Sesso ed ideologia: un’istantanea del mondo futuro totalmente priva di sex appeal

Fra i miei appunti tratti dal Diario di viaggio nel postmoderno di un Soggetto Radicale, mi viene da riflettere sulla serietà e delicatezza del tema del sesso e delle ideologie che ad esso vanno a ricollegarsi.

Donna Haraway sarebbe una “filosofa” e docente statunitense, capo-scuola della teoria cyborg, una branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere. Le sue opere sono entusiasticamente pubblicate anche in lingua italiana. Emblematica una sua citazione: “Preferisco essere cyborg che dea”. La Haraway sancisce nettamente il superamento del femminismo della differenza, umanista ed essenzialista, e apre le porte ad una nuova prospettiva tecno-materialista e abolizionista del genere: non è solo che “dio” è morto, è morta anche la “dea”, o meglio, vengono entrambi rivitalizzati nei mondi pervasi dalla politica microelettronica e biotecnologica.

Aleksandre Dugin nella sua guideline 118 scrive: «Donna Haraway sostiene che finché non saremo in grado di superare il genere, le donne continueranno a subire abusi e sfruttamento. Quindi, perché le donne siano libere non basta concedere loro diritti uguali a quelli concessi agli uomini. Secondo Haraway il sesso è esso stesso una forma di disuguaglianza: tale problema sarebbe risolta se il sesso fosse abolito, insieme all’umanità stessa, e noi fossimo trasformati in macchine asessuate».

Sorgono alcune doverose e libere riflessioni. Il desiderio è una realtà primordiale dell’essere umano. Secondo la struttura autonoma del discorso femminista, il desiderio non può essere saziato. La nostalgia fa parte di un vuoto ancora più grande, di un problema molto più profondo. E la macchina è nella sua essenza il trionfo assoluto della malinconia femminile: è un desiderio insaziabile. È in questo senso che si materializza la volontà femminista: la donna raggiunge la sua ultima libertà diventando una macchina. È la libertà di diventare finalmente un desiderio totalizzante. Pertanto, è ridicolo rimanere semplicemente nelle prime fasi del femminismo; bisogna passare direttamente all’ultima fase e raggiungere il più rapidamente possibile la meta finale, che non è altro che il cyber-femminismo. Il fatto che le donne si identifichino con la macchina coincide pienamente con le idee del post-umanesimo (intelligenza artificiale, nanotecnologia, ecc.).

Dobbiamo parlare chiaramente: è arrivato il momento in cui le donne diventano macchine, solo allora la loro identità metafisica profonda arriverà a coincidere con la loro essenza. Le fasi precedenti stanno crollando a poco a poco, c’è qualcosa che non va. Ora dobbiamo andare dritti alla fine, perché fermarci alle tappe intermedie?

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