Settantanove anni


 

Settantanove anni

Sono andato a verificare, con la mia tenuta da palombaro, dove si sia incagliato un bel libro di Mario Spataro, ‘Rappresaglia’, che racconta le Fosse Ardeatine sollevando dubbi sulla reale dinamica di quei fatti e sull’illibatezza dei comunisti.

Un lungo costone di roccia lungo il quale l’acqua, a mano a mano che scendevo, diventava nera come il catrame.

Non me la sono sentita, dopo aver individuato la posizione di tale saggio nella graduatoria dei libri venduti da ‘Amazon’ – il numero 428,310 – di scivolare ancora più giù alla scoperta di dove fossero finiti i miei libri, i tre sul caso Matteotti che ho totalmente depurato, nelle mie ricerche durate circa trent’anni, degli errori tramandati dalla ‘vulgata resistenziale, e gli altri due, nei quali ho trattato, sulla base di una corposa riserva di documenti, il delitto dei fratelli Rosselli e il caso Moro, collocandoli in una prospettiva molto lontana dai luoghi comuni omologati dal mainstream. Ho rinunciato ad approfondire la ricerca per non dovermi pentire ulteriormente del tempo trascorso a pascolare negli archivi, ma non posso esimermi – giusto per rimanere connesso alle contingenze – dal denunciare l’uso spropositato del termine ‘nazifascista’ che fu coniato dai ‘Liberatori’ per adulterare surrettiziamente la narrazione di un’epoca mettendo insieme due entità, di cui una (il nazismo) era l’atroce caricatura dell’altra ( il fascismo mussoliniano) e che in comune avevano soltanto un’irriducibile avversione per l’economia di mercato, cioè per la giungla.

Il caso ha voluto che per un diabolico gioco di specchi curvi, l’Italia fosse entrata in guerra largamente impreparata, forse perché le armate tedesche che dilagavano in tutta Europa le consentivano di uscirne subito dopo (una disastrosa illusione), o forse perché (é la tesi associata ai dossiers sul carteggio Mussolini- Churchill, anch’esso supposto) il premier inglese aveva fatto pressione sul ‘duce’ perché, unendosi ad Hitler, lo ‘calmierasse’ nel corso dei colloqui che si sarebbero tenuti tra vincitori e vinti al termine del conflitto. Dal ‘passo dell’oca’ alla persecuzione degli ebrei – che rimase comunque circoscritta alle misure amministrative nella sua versione italiana- il regime fascista perseverò nell’emulazione dell’alleato limitatamente agli aspetti che potevano giustificare, agli occhi degli osservatori più sprovveduti, la loro coesistenza nell’Asse, ma le contraddizioni esplosero proprio all’indomani dell”8 settembre e della costituzione della RSI, allorché il rapporto di forze a favore dei Tedeschi declassò il ruolo dei repubblichini a quello di esecutori imbelli della volontà dei nazisti: così a piazzale Loreto, nell’agosto del ’44, dove i militi della ‘Muti’, a seguito di un attentato senza perdite subito da un automezzo germanico, furono costretti dai loro ‘colleghi’ tedeschi a fucilare un gruppo di detenuti, prelevati dal carcere di San Vittore: seguirono le ire del Prefetto e le rimostranze di Mussolini, che si rivolse per lettera all’ambasciatore Rahn lamentando che in questo modo l’unico risultato sarebbe stato quello di guadagnarsi l’odio e il disprezzo della popolazione.

Così, inoltre, a Dongo, dove il Duce arrivò, a bordo di un camion, imbacuccato in un pastrano della Wehrmacht troppo più grande di lui, e li’ fu preso in consegna dai partigiani, mentre la colonna tedesca proseguiva verso il Nord, mi piace immaginare sulle note dolciastre e beffarde di ‘Lilli Marlen’: la sceneggiatura di un controllo della Polstrada, nell’ora di punta dell’esodo estivo, la linearità scolastica di una trama che poteva incontrare al massimo il gradimento di un cecchi paone qualsiasi, ma che nessuno, per una sorta di conformismo indotto più ancora dalla pigrizia delle sinapsi che da un veto emanato dalla cultura dominante, si é mai sognato di mettere in discussione.

I muri di cartongesso eretti dai vincitori e dai loro sguatteri a difesa della ‘vulgata’ non hanno tuttavia impedito al ragionamento e alla logica di picchiettare come mosche ubriache contro delle evidenze, come quella che nell’antro delle Ardeatine furono accompagnati con le mani legate dietro la schiena quasi soltanto i militanti di ‘Bandiera Rossa’ e i seguaci di Montezemolo, gli unici che avrebbero potuto insidiare il primato politico del PCI al termine della guerra, o come quella che ci si apprestò a togliere subito di mezzo, su ordine degli ‘aparatciki’ comunisti, l’unica persona, il segretario del questore, Donato Carretta, che sapeva con quale criterio e a seguito di quali misteriose confabulazioni, era stata compilata la lista dei condannati a morte dopo l’imboscata di via Rasella: o quella, ancora, dell’uccisione in località ‘La Storta’, per mano dei Tedeschi in ritirata da Roma e a poche ore dalla firma del ‘Patto di Roma’, dell’unica persona, Bruno Buozzi, che facesse ombra agli uomini del PCI, nella corsa alla conquista dei primi posti nel mondo del lavoro e del sindacato.

Ad un occhio, che non sia stato menomato dalle cataratte del pregiudizio e che sia in grado di intercettare le imbastiture invisibili tra il vicino e il lontano, tra il sotto e il sopra, tra la destra e la sinistra (tassonomie che compaiono solo sul libretto delle istruzioni consegnato, insieme alla merendina, ai boy scouts della storiografia investigativa), non dovrebbe sfuggire l’attitudine di ogni singolo particolare ad essere il naturale corollario di tutti gli altri, ad organizzarsi spontaneamente sotto forma di una catena, e ciò giustifica, almeno per me, che ci sia un rapporto di intima continuità tra l’insurrezione degli abitanti di Varsavia dell’agosto del ’44, mentre le truppe sovietiche accampate sulla sponda esterna della Vistola aspettavano che i Tedeschi li ammazzassero tutti prima di tentare di prendere la città, e certe cronache italiane dell’ultimo periodo della guerra, le più torbide della storia di questo disgraziato Paese. Però, di ‘nazicomunismo’ non c’é traccia nell’interpretazione sapientemente edulcorata del patto Molotov-Ribbentrop e neppure nel frasario dei propagandisti di professione, al contrario di ‘nazifascismo’, che dilaga per un morboso processo inflattivo, nonostante abbia, sul piano della credibilità storica e politica, a conti fatti, molto meno titolo dell’altro.

Tra le tante stranezze alle quali bisognerebbe, prima o dopo, prestare attenzione, c’é l’assenza, almeno fino ad oggi, di ricerche centrate su come l’occupazione americana, che dura da quasi ottant’anni, può avere condizionato la vita dell’Italia e degli Italiani, con uno speciale riferimento a vicende, come la mutazione del PCI e quella della vecchia Destra rappresentata dal MSI, riguardo alle quali risulta sin troppo facile ipotizzare l’intervento, da dietro le quinte, di una lunga mano, di quelle – come accadeva nelle circoscrizioni periferiche dell’impero romano – che si chiudono su se stesse, lasciando scoperte due dita, per benedire, o si serrano per schiacciare. Avendone tempo – ma non me ne rimane abbastanza per un’immersione nei bassifondi della Storia che ne richiederebbe un’infinità – sarebbe interessante appurare quali siano stati gli steps compiuti dal partito comunista dal momento in cui – era la primavera del ’78, e Moro si divincolava sempre più flebilmente tra le grinfie acuminate di Steve Pieczenik, ‘il nostro uomo a Roma’ col mandato di farlo fuori ricevuto da Carter – un certo Napolitano era in tournée in America per spiegare che del PCI potevano fidarsi, che i comunisti non mangiavano più i bambini e che erano diventate persone per bene.

Dal ’78 al ’92, quando fu scaraventato al centro della scena un tal Mario Chiesa che faceva la cresta sulle donazioni destinate al Pio Albergo Trivulzio per stornarle al PSI (un soggetto di questo genere lo si trova sempre, basta fare due passi fuori di casa), si snoda un tratto di strada interrata dal quale il PCI affiorò non solo completamente indenne, benché avesse fornicato in cambio di parecchi milioni di rubli convertiti in dollari con i nemici per antonomasia dell’Occidente e, quindi , dell’Italia, ma già pronto per assumere incarichi di Governo, a dispetto della Prima Repubblica che si sbriciolava con un sinistro rumore di calcinacci, e dei lavoratori che non riconosceva più, mai visti, che roba sono?

Nondimeno, un’indagine andrebbe fatta per cercare di capire come sia successo che il pupillo di Almirante, a lui più caro di un figlio, si svegliasse un giorno con l’idea che il capitalismo e gli USA, contro i quali molti giovani avevano protestato nelle piazze rimettendoci anche la vita, avrebbero indicato da lì in avanti la direzione da seguire per gli strateghi della Destra, e che si fosse spinto sino al punto da definire l’epopea fascista quale il ‘Male Assoluto’, una capriola che aveva confinato nel limbo dei moderati anche la soldataglia avvelenata dell’estrema Sinistra. In un caso come nell’altro, il paragone con la folgorazione patita da San Paolo sulla via di Damasco, non regge. Regge piuttosto il principio, avvalorato dall’esperienza, secondo cui, in politica, niente é gratis perché c’é sempre qualcuno che vende e qualcuno che compra, cosa che spesso i documenti non dicono, non apertamente, e allora bisogna sopperire coi puntini, a con b, b con c, non esistono alternative.

 

Immagine: https://www.minimaetmoralia.it/

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