Sport e pensiero forte: la rinascita di Tyson Fury
Questo è un articolo apparentemente diverso dal solito. Un articolo che non parla direttamente di politica, ma del resto si sa, “tutto è politica”. E’ un articolo che parla di un uomo, un pugile, un campione che è arrivato nel punto più alto e poi è scivolato giù in un abisso, ma come pochi altri ha saputo rialzarsi.
Tyson Fury, classe 1988, nato a Manchester da genitori irlandesi di etnia pavee, prematuro di tre mesi. Il padre, ex pugile professionista, scelse per lui il nome Tyson, perché sapeva che per sopravvivere avrebbe dovuto combattere proprio come Tyson, “iron” Mike. Lasciò la scuola a 11 anni per lavorare con il padre e tre fratelli asfaltando strade, fin dalla tenera età si è dedicato alla boxe, e per tutta la vita ha lottato per arrivare dove tutti coloro che si cimentano nella “nobile arte” vogliono arrivare, ovvero ad essere il campione del mondo. Da dilettante ha rappresentato al livello internazionale sia l’Irlanda che l’Inghilterra, nel 2011 decise di passare professionista, collezionando una serie di interminabili successi, fino a che nel 2015, prevalse sull’allora campione dei pesi massimi Volodymyr Klyčko e si affermò come campione.
Ma i pugni che si prendono sul ring, anche se spesso fanno male, sono niente rispetto a quelli che può dare la vita. Dopo la vittoria del titolo mondiale, Tyson Fury cadde a poco a poco in un abisso di depressione ed intraprese la via dell’autodistruzione. Alcol, droga e cibo parevano essere la risposta alle sue paure, la risposta vigliacca di chi cerca di evadere una realtà insoddisfacente. Lontano dal ring per circa tre anni distrusse la sua vita, arrivò a pesare circa duecento chili, e addirittura tentò il suicidio. Ma come può un uomo che ha tutto essere depresso? Fama, gloria, soldi, moglie e figli sembravano non bastare.
Affetto dal disturbo bipolare probabilmente da tutta la vita senza mai esserne cosciente, Fury ad un certo punto ha detto “no”. Messo K.O. dalla vita, come sempre ha fatto sul ring ha saputo rialzarsi e guardarsi dentro. Ha abbandonato alcol e droga, ha combattuto le paure e la depressione, ed ha ricominciato a fare quello che sapeva fare meglio, combattere. In un anno ha perso più di settanta chili ed è ritornato sul ring. L’altra notte, sotto il cielo di Las Vegas ha affrontato il campione in carica, Deontay Wilder, sconfiggendolo per K.O. tecnico alla settima ripresa. Tyson Fury, the gipsy king è tornato più forte di prima.
Qual è la “morale” di questo insolito mio lavoro? La storia di Tyson Fury, e come la sua quella di altri, ci insegna che per tutti c’è sempre una seconda possibilità, e soprattutto che la vita è piena di brutte sorprese, dalle quali non dobbiamo fuggire e cercare di evadere, bensì combatterle a denti stretti e pugni chiusi. La linea da seguire è sempre la stessa, disciplinare sé stessi, armonizzare copro e mente, saper valorizzare tutto quello che di bello ci circonda. In questo la “nobile arte” è disciplina perfetta, e ancora una volta, la storia di Fury che qui oggi ho raccontato, ci ricorda che “vita est militia super terram”.