Sua eccellenza Napolitano e il diritto di odiare

Sua eccellenza Napolitano e il diritto di odiare

È d’uopo – come si soleva dire una volta – essere risparmiosi in fatto di invettive e di cattivi pensieri quando si parla di morti. Normalmente, è un precetto al quale ci si attiene quasi sempre: con l’unica eccezione -che io ricordi – per un morto illustre, come Mussolini, al quale, oltre all’impiccagione per i piedi che è di prammatica nei macelli, furono comminati la ‘damnatio memoriae’, neanche fosse Caligola, e la condanna ad essere vilipeso in eterno anche sui libri di storia, attraverso un cliché che esorbita dalla consultazione dei documenti e fa premio solo sulla tradizione orale alimentata dai media addomesticati.

Messina Denaro, il mafioso, se n’è andato in silenzio. Qualcuno dice perché il suo passaggio nell’aldilà è avvenuto in contemporanea con la dipartita di S. E. Giorgio Napolitano, e la risonanza di tale evento può avergli tolto un po’ di pubblicità, ma non consta che ci siano stati troppi squilli di tromba all’annuncio della morte del più grande camaleonte dell’evo moderno che sia apparso in Italia.  Ho sentito, piuttosto, dei rumori, come di certi venti che soffiano impetuosi nelle gole tra i monti, che erano quelli emessi dalla suburra confinata nel social o intruppata dentro gli stadi,  e il controcanto  di una prefica che lì, di primo acchito, non avresti mai detto – il presidente del Senato Ignazio La Russa- e che poi, invece, a ripensarci bene, non è una grande sorpresa, di quelle che ti fanno fare oooooooh!, con un’esclamazione che potrebbe riempire una mongolfiera, perché quando scivoli sul tappeto rosso delle istituzioni, dopo aver calpestato quello sdrucciolevole delle piazze, diventi quasi sempre un’altra persona, specie, poi, se devi  arruffianarti l’establishment (composto da un assortimento di papaveri) per dei problemi in famiglia.

Ho sofferto nel vedere su di un filmato la scena dei militi nazisti che incrociano  sul marciapiedi un vecchio decorato con la stella gialla, e lo malmenano perché si è scordato di scappellarsi al loro passaggio, ma lo sdegno è stato quasi maggiore nell’apprendere che le autorità del mondo del calcio hanno imposto, per la grave dipartita di S. E. Napolitano,  il minuto di silenzio all’inizio delle partite di due settimane fa, ed hanno multato le società i cui tifosi non hanno ottemperato seppellendo i  ventidue impiegatucci del pallone schierati al centro del campo sotto una tempesta di fischi. Ora, ci sta che i sudditi di Kim -Jong- Un siano obbligati ad applaudire e a sorridere anche quando il loro capo scorreggia – si tratta, infatti, di una tirannide –  ma  non si capisce come faccia questo regime – liberale e tollerante per sua ammissione – a pretendere, in certe circostanze,  l’uniformità delle condotte dai suoi sottoposti e ad entrare così apertamente in conflitto anche col catechismo del suo maggiore rappresentante, passato a miglior vita, tranne che non abbia tenuto conto del fatto che questi non ci si è attenuto, ancorché per sbaglio, neppure una volta.

Benché egli sia sotto terra, a non troppa distanza da Antonio Gramsci, che se ne duole,  rimarrà per sempre scolpito nella nostra mente il ricordo di quando si tolse la feluca  del GUF per arruolarsi nelle file dei comunisti; delle lodi indirizzate ai carristi di Kruscev  che facevano un battuto degli insorti ungheresi; del ‘visto’ strappato all’ambasciata americana per andare oltreoceano a spiegare come fosse cambiato il PCI e come fosse diventato uno di loro, proprio mentre le sedicenti Brigate Rosse uccidevano Moro; della leggiadra giravolta – da prima ballerina del Bolshoi, con quella faccia e con quella strana piega sul viso che denotava un’aristocratica insofferenza per le bassezze del mondo – compiuta per passare dal ‘Socialismo reale’ ad un Atlantismo altrettanto ‘reale; della superba disinvoltura con cui, da presidente della Repubblica, molto vicino a godere dei  privilegi di un Re, nominasse gli uomini da mettere a capo dell’Esecutivo, scegliendoli  tra coloro che più potevano piacere ai padroni delle ferriere domiciliati a Bruxelles e a Washington; dello sfrigolio dei nastri in cui si diceva che fossero incisi la sua voce e il suo nome, nel quadro delle indagini che avrebbero dovuto dimostrare  l’esistenza di un rapporto dialettico tra Istituzioni e Mafia, e che lui invece ha voluto, fortissimamente voluto,  abusando dei poteri connessi con la sua carica e della complice arrendevolezza degli altri poteri dello Stato, che venissero distrutti; di tutte le energie profuse, da inquilino del Quirinale, per indurre il Governo, allora retto da Berlusconi, a dichiarare guerra a Gheddafi, un gesto  per il quale gli sarebbe stata conferita, l’anno dopo,  la Legion d’Onore dai Francesi che ne avevano maggiormente beneficiato, mentre il popolo Italiano, che ne era stata la seconda vittima,  vinceva il ‘Tafazzi d’oro’ per essere diventato campione mondiale di  autolesionismo.

In altri tempi – diciamo nell’Ottocento e nella prima metà del ‘900 –  un uomo che si fosse comportato in tal guisa sarebbe stato preso a modello da Francisco Goya per uno dei suoi dipinti più famosi o avrebbe posato, dritto, in piedi (guardi l’uccellino!) tra un muro sbrecciato e l’immarcescibile macchina fotografica col treppiedi che veniva adoperata per le foto di gruppo, laddove, però, non c’era alcuna macchina fotografica e il gruppo si schierava – vestiti tutti allo stesso modo – idealmente alle spalle dell’obiettivo.

Credo, comunque, che con la morte di questo personaggio, il Re Sole di un’Italietta  succube, cinica e laterale, non si sia estinta la specificazione antropologica, quella in parte rappresentata dai notabili che si sono scomodati per andargli  a porgere l’ultimo saluto, e  che da lui hanno mutuato- manifestandosi, ad esempio, con la rinuncia a farsi al suo cospetto il segno della croce –  l’inclinazione a far vacillare ogni minima certezza e a farla precipitare nell’abisso di un agnosticismo inconcludente e distopico, per creare degli spostati; che come lui, S.E. Il Defunto, nel porsi alla testa di questa falsa democrazia, ne hanno largamente abusato per fini personali, coniugandoli con quelli della casta alla quale si sono sempre in cuor loro onorati di appartenere, sia quando fingevano (fingono) di essere di destra, sia quando, al contrario, fingevano (fingono) di essere di sinistra.

Non mi sento assolutamente in sintonia con quanti si limitano a dire che Sua Eccellenza aveva collezionato degli errori. Troppo comodo. Il vizio caratteristico di quest’epoca, di confusi e di confusione, è quello di accorciare puntualmente sulle differenze per cercare di cancellarle. Non si è eletti per due volte di fila Presidente della Repubblica (e il discorso vale anche per Mattarella) se non si viene riconosciuti capaci di incarnare, anche per qualche dote misteriosa, le perversioni della classe dominante – quella attuale – che, nell’intento di ricondurre ogni menomo aspetto della sfera relazionale sotto il controllo del Pensiero Unico, ha finito addirittura per gettare  la croce addosso ad una bimbetta, figlia di genitori separati, che, nella pubblicità di una catena di supermercati, ha il torto, imperdonabile, di volerli riappacificare utilizzando una pesca, e, quindi, di collocarsi al di fuori  del kamasutra sentimentale brevettato da Lor signori. E questo, mentre anche l’Odio, che vale quanto l’Amore, nell’essere  depurato della sua forza propulsiva – quella che fra tante altre cose ‘move il sole e l’altre stelle’ – si riduce alla ‘resilienza’ – una miseria – che consiste nel mettersi  carponi, cioè a pecora,  nell’attesa che le vicissitudini della vita si risolvano da sé: un trucco escogitato dai capi  per prevenire la ribellione dei capeggiati, ma anche un surrogato della ‘Divina Provvidenza’, quella che servì al Manzoni per giustificare la codardia di Renzo e che garantisce la durata ‘sine die’ alle peggiori dittature.

Per tutte queste ragioni, e per tante altre che per brevità non dico, io ammetto di avere odiato perdutamente Napolitano. Se ho commesso un reato, venite a prendermi. Sto qui, immobile, che esibisco i polsi.

Immagine: https://www.velvetmag.it/

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