Tik tok: quando la vita non ha valore
La consapevolezza è “una brutta malattia”, porta a farti mille domande a porre interrogativi su cosa sia giusto o cosa sia sbagliato. È scorretta politicamente perché i tempi sono di un buio accecante e nella transizione tra padre e madre c’è tutta la fragilità del fluid gender. L’ormai sorpassato Baumann della società liquida con l’avvento del “nichilismo della pandemia” e di tutto ciò che essa sta comportando e comporterà in un futuro distopico e surreale, ci sta facendo abituare a tutto. Il caffè non si prenderà più nemmeno al bancone, sarà proibito darsi la mano ma si opterà più per il saluto a mo’ dei polli, e quello che chiamano assembramento e cioè semplice aggregazione sociale sarà un mero ricordo anche per coloro che ne fecero una bandiera negli anni della contestazione. Bene, come son solito dire: sic transit gloria mundi.
In mezzo a questo letamaio chimico tra “organi di governo” che con la scusa della reclusione in sgargianti e futuribili colori con cui hanno impiastrato l’Italia, ci vogliono tutelare dal male peggiore – il Covid – che miete miliardi di vittime (anche se nelle terapie intensive mi hanno detto frequenti sono i solitari a carte) e rocambolesche uscite di virologi, epidemiologi e tecnici, si consuma silente sui social, unico mezzo di “comunicazione” rimasto e concessoci a patto di essere allineati, la corsa a chi si inventa la più grande idiozia.
Quintali di ombre di cervelli in solitudine si lanciano sfide sempre più estreme, recuperando così quello spazio dove è divenuta vietata persino la favola di Biancaneve della Disney, perché le femministe diversamente donne hanno ruggito contro il sessista e spudorato principe azzurro, figlio di una logica retrograda e patriarcale e quindi degno di essere non solo debellato, ma congedato alla damnatio memoriae della in-civiltà tutta.
In questo isterismo dilagante c’è chi fa gara di oxigen regulation. Questo giochino simpatico e cretino, fatto da adolescenti lasciati schiattare in una DAD sempre meno didattica e sempre meno convincente, ha portato una ragazzina di 10 anni a morire soffocata; e si badi, non perché ha ingoiato il palloncino o si è messa la busta in testa come qualcuno dei più audaci della mia generazione che nemmeno stava proprio bene, no, è morta perché ha superato il limite massimo allo strangolamento arrivando non a perdere i sensi ma a perdere la stessa vita, nella probabile indifferenza di chi dall’ altro capo del telefonino era già passato all’apertura di altre tre o quattro applicazioni.
La bimba adulta che non potrà più crescere, è morta tra un selfie di Instagram e uno stato di Facebook, mentre i suoi coetanei continuavano indisturbati a lanciarsi sfide di pochi secondi per ritrovare, nei meandri del nulla che li avvolg,e un segnale di essere vivi e pensanti.
Mentre, nella degenerazione della informazione tra un Conte ter e un Papa che benedice la Pfizer, leggevo distrattamente ma non senza un senso di spossatezza e spaesamento l’articolo in questione, la mia mente – non so per quale perversa ragione – pensava a Mishima e al suo suicidio rituale lontano anni luce e forse addirittura inopportuno in merito a ciò che sta accadendo oggi in ogni parte del globo, perfino in quel Giappone che il saggio e ultimo Samurai avrebbe voluto davvero liberare. Pensavo alla sua determinazione e alla sua poetica fragilità; pensavo all’onore di chi non si è mai piegato e ha affrontato la morte tendendo sempre cara la vita, e facevo questo parallelismo perché è stata la coscienza e la consapevolezza a richiamarmi allo stesso ordine, dicendomi o meglio mostrandomi fotograficamente cosa fosse la vita reale che non vivremo più e, nello stesso tempo, la casa delle bambole di pezza a cui ci hanno abituati, con buona pace del genitore uno e genitore due, di cui nessuno di noi forse ha più bisogno.
Ho così spento il tablet restando connesso e malgrado tutto ci sono rimasto con l’indomito Spirito.