Debbo purtroppo confessare che trovo orribile la sottana bianca degli arabi, ma l’estetica – che pure é chiamata in causa da una vista assuefatta ad un altro tipo di abbigliamento – qui c’entra poco perché é sovrastata da una miriade si sensazioni, tutte rigorosamente negative, su come quel mondo, che si é cristallizzato nel ricordo, peraltro assai appannato, di Averroé e Avicenna (roba di quasi mille anni fa, l’ultimo rantolo, sullo sfondo del deserto, del pensiero speculativo) stia riuscendo, con un ritmo delle iniziative e degli eventi sempre più serrato, a prevalere sull’Occidente.
Cospirano principalmente tre fattori. Da un lato, la dipendenza energetica, che si é accentuata a seguito della guerra tra Ucraina e Russia, e che ha costretto molti Paesi, tra i quali specialmente il nostro, a rettificare la complessione, da quella a squadra del cliente fisso, a quella prona, con le braccia incrociate dietro la nuca, del prigioniero e del servo. Dall’altro, la traiettoria tracciata, nel rapporto tra noi e loro, dalla logica coloniale che ‘illo tempore’ si traduceva nel controllo, alle nostre condizioni, della loro ricchezza, si é rigirata a nostro sfavore, giacché coi proventi della vendita del petrolio e del gas, dei quali non possiamo fare a meno per assicurare la sopravvivenza della nostra stessa società, essi, gli uomini con la sottana bianca (quasi il simbolo di un disegno che non riesce ad emanciparsi dalla nostalgia per lo schizzo iniziale)) si permettono, non solo di impadronirsi delle nostre cose (fabbriche, banche, titoli di Stato) ma anche di comprarle in blocco insieme a delle persone, come dimostra l’episodio della corruzione a valanga praticata dall’emiro del Qatar su alcuni parlamentari europei e sui vertici della FIFA per garantirsi l’assegnazione dei mondiali di calcio: un capovolgimento avvenuto in modo graduale – quindi, con la concreta possibilità di evitarlo se ce ne fosse stata l’intenzione e se esso avesse incontrato l’opposizione di una forza che fosse stata, o fosse, di gran lunga inferiore – ma che non ha minimamente scalfito il significato del termine ‘colonialismo’, al quale, col segreto obiettivo di continuare a farsi del male, crogiolandosi nei sensi di colpa, l’Occidente associa lo stereotipo del legionario col chepì che si mette in posa sotto una palma.
Dall’altro lato, ancora, il deprezzamento del nostro patrimonio valoriale e la riduzione della Chiesa a semplice succedaneo dei sevizi sociali, con l’implicita affermazione della totale estraneità di ogni forma di trascendenza alle vicende della materia, hanno aperto una voragine nella quale si é infilato l’Islam, con la forza del suo vigore dottrinario, che non ammette né contaminazioni né deroghe, e che riceve dall’essersi avvinghiato come l’edera al potere politico – e questo sin dalle proprie origini – una sua ‘legittimazione’ politica, che lo esime, per di più, dalla fatica di dover scendere a compromessi coi suoi avversari e coi suoi competitori sul quadrante internazionale: soprattutto se la loro proclività a disfarsi delle remore morali sia avvertita dai praticanti del Corano come una manifestazione di decadenza, suscettibile di disprezzo.
Nonostante l’espansione dell’Islam, favorita da tutti questi fattori, risulti evidente almeno da quando é cominciata la ‘restrizione’ dell’Europa con l’enorme pregiudizio patito per essere stata l’epicentro di due guerre mondiali e sia poi proseguita con la concessione dell’indipendenza agli ex possedimenti coloniali – la sua idoneità a sfruttare il declino del vecchio continente, ancor più delle ossessioni mercantili dello zio Sam, appare largamente sottovalutata.
La periferia delle grandi città, come Parigi, ospita centinaia di migliaia d immigrati della seconda e della terza generazione che non si sono mai integrati e che sono sempre pronti a cogliere ogni minimo pretesto per rovesciarsi nelle strade e dare sfogo alla loro avversione nei confronti dei cristiani e dei bianchi, non già per ripagarli a scoppio ritardato dei torti, veri o presunti, subiti dai propri progenitori, ma per il solo fatto di sentirli, così, a pelle, come degli strumenti che suonano una musica aliena, inassimilabili gli uni agli altri, come l’olio e l’acqua.
Per la prima volta nella loro storia gli abitanti di Londra hanno un sindaco musulmano, al quale, per un riflesso pavloviano che contraddice la sua estrazione culturale ma é del tutto conforme al suo stato, di immigrato proveniente da un altro mondo, piace parlare di una città cosmopolita, che si é tinta di tutti i colori dell’arcobaleno, proprio mentre in Pakistan, il Paese in cui sono nati i suoi genitori, i gay rischiano di essere messi a morte. In Germania, la diffusione epidemica delle botteghe che offrono kebab, nasconde – che lo si voglia ammettere o no – il dramma di un Paese costretto a modulare la propria politica interna e le proprie iniziative sulla scacchiera internazionale sulla base degli orientamenti diagnosticati alla comunità turca, per sua natura, molto competitiva, che vi si é sviluppata rigogliosa come la muffa: quindi, un occhio di riguardo verso Erdogan, anche quando le circostanze consiglierebbero di fronteggiarlo a muso duro, e il contestuale adattamento della pubblica amministrazione alle attese, necessariamente vincolanti, di una buona parte della popolazione, che non é tedesca, né cristiana, ma passabilmente europea, un rovinoso passo indietro rispetto al lirico rimbombo dell’inno di Haydn.
In quest’epoca, che corre veloce per uniformarsi ai progressi della tecnologia – i quali sono tanto più alienanti quanto più rapidamente bruciano i tempi per divenire patrimonio esclusivo di una casta di sacerdoti – solo la politica sembra procedere a rallentatore, come la Cina che si é fatta potenza nucleare affiorando pian piano da una piantagione di bambù (non ce n’eravamo accorti), o come l’Europa che era piccola – di una piccolezza insieme timida ed aggressiva, tale e quale a quella raccontata in una vecchia canzone di Fred Buscaglione – e che é cresciuta trasformandosi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, da bambina capricciosa in zoccola impenitente.
Così allora é successo che l’areale degli arabi ricchi, e quello dell’Islam, si siano allargati sfruttando in determinati casi l’uno l’attitudine dell’altro a farsi strada, con estrema spregiudicatezza, nei gineprai del Medio Oriente e di tutta l’Africa settentrionale (ciò che si desume dalla matrice di alcuni assegni riscossi in passato dai tagliagole dell’ISIS), ma che tale fenomeno scivoli via pressoché inosservato nell’ottica di chi é intento – sulla falsariga di un Wisenthal – a censire gli abusi dell’imperialismo americano piuttosto che quelli perpetrati da Israele sui palestinesi, ma nel farlo si priva dell’opportunità di monitorare l’Islam dopo che esso aveva ‘saggiato’ i Russi in Cecenia, nella guerra durata ben 10 anni, dal 1999 al 2009, e all’indomani di tanti altri conflitti, dei quali é stata data un’interpretazione fuorviante, da cronaca locale, come quello finito nel giugno del 1999, con l’installazione di una testa di ponte musulmana nel Kosovo; o come quelli, ormai cronicizzati, che oppongono gli Uiguri dello Xinjiang ai governanti di Pechino, prendendo di tanto in tanto una piega insurrezionale; o quello, ancora, che si combatte ad intervalli spesso di vari mesi, tra l’Armenia cristiana, sostenuta dai Russi e l’Azerbaijan islamico assistito dai Turchi, per il controllo del Nagorno – Karabakh, laddove, molto più verosimilmente non sono in gioco dei pezzi di terra, ma i vessilli srotolati e consegnati al vento di due civiltà contrapposte.
Dato che l’Impero romano, contrariamente a come se la cantano e se la suonano alcuni vecchi libri di scuola, non franò di colpo ma venne meno per effetto di una serie interminabile di aggiustamenti, di compromessi e di concessioni, non molto diversa da quella che l’Europa – il ventre molle dell’Occidente – sta compiendo a tutto vantaggio degli arabi ricchi e dell’Islam, sarebbe auspicabile che la politica, liberatasi dalla nefasta fissazione per l’accoglienza, riscopra oltre a Lepanto anche Poitiers, non solo per andarci in vacanza.