Uozzamerica


 

Uozzamerica

Confesso che mi sarebbe piaciuto credere, mentre gli sbarbatelli della VAM e i carabinieri chiudevano in due cerchi concentrici i rambo della ‘Delta Force’ nella notte di Sigonella (inconsapevoli forse del fatto che lo stesso schema era stato adottato tanto tempo prima da Giulio Cesare per sottomettere Alesia), gli altoparlanti dell’areoporto diffondessero le note di una vecchia canzone di Gigliola Cinquetti risalente al 1971, l’espressione subliminale di un patriottismo casereccio e ovattato, che faceva ‘E qui comando io, e questa é casa mia, ogni dì voglio sapere chi viene e chi va…..’, il tutto immerso nell’incipiente consacrazione della donna-bruco che si tramutava in farfalla, ma erano gli statuti della vecchia Sinistra che lo imponevano.

All’indomani di quell’episodio, che non fu certo estraneo alla crocifissione di Craxi (la Storia compie speso itinerari impronosticabili e tortuosi, come l’infiltrato d’acqua sul soffitto della camera da letto dopo un piovasco), lo spartito si é capovolto, a Cermis, nel 1998, da dove due piloti americani, a bordo di un caccia, si eclissarono dopo aver provocato una strage, mozzando una funivia, e ripararono negli USA per andare incontro ad assoluzione completa, e non é mai cambiato neppure quando – era il novembre del 2007 – una mammoletta a stelle e strisce, di nome Amanda Knox, fu prosciolta dall’accusa di aver partecipato all’uccisione in quel di Perugia di una studentessa inglese, a seguito, tuttavia, di una nutrita raffica di pressioni a trecentosessanta gradi da parte delle autorità diplomatiche americane. Neppure le coltellate mortali inflitte da uno scapestrato americano, con la connivenza di un altro John Wayne in sedicesimo, nel luglio del 2019, al carabiniere Mario Cerciello Rega, e l’esecuzione, nel marzo del 2005, dell’agente del SISMI, Nicola Calipari, sulla strada per l’aeroscalo di Baghdad da dove sarebbe dovuto partire per riportare in Italia una giornalista de ‘Il Manifesto’ strappata alle grinfie dei ‘terroristi’, avrebbero fatto evaporare l’adagio secondo cui, sotto il profilo giuridico, politico e antropologico, il peso specifico dell’occupante é, in una colonia, di gran lunga maggiore di quello dell’occupato, sempre che questi colluda. Da qui, dunque, a tracciare una bisettrice che separi, qui in Italia, gli adoratori della NATO da quelli che se ne vorrebbero distaccare – tanti piccoli indiani confinati in una riserva sulle montagne – é un’operazione che si fa in quattro e quattr’otto, ma non porta da nessuna parte perchè la palingenesi, anche alla luce dell’attuale congiuntura internazionale che favorisce le grandi ammucchiate, é di quelle che si sviluppano sullo sfondo di una tragedia, di cui non riesco neppure a percepire i contorni, benché intraveda – novello Croiset – parecchi morti eccellenti che hanno le satinate fattezze dell’uomo mite, alla stregua di Moro, e altri la lirica scapigliatura del Che Guevara, un ‘brand’ che fa comunque molta fatica ad attecchire da queste parti.

Fra questi due estremi – da un lato, l’opzione totemica per l’America e, dall’altro, l’elaborazione di una visione avuta alle cinque del mattino (la fuoriuscita dalla NATO) quando la veglia e il sonno s’incontrano e si confondono sulla battigia dei desideri frustrati – si apre una distesa enorme all’interno della quale la scelta forzata dell’atlantismo si stempera nella difesa, costi quel che costi, degli interessi nazionali, sulla falsariga del modello griffato Erdogan che sfrutta il cappello della NATO e la teorica possibilità di congedarsene in maniera traumatica per occuparsi a man salva dell’irredentismo curdo (con la complicità dei farisei dell’UE) e per spadroneggiare nel Mediterraneo a spese degli alleati, soprattutto della Grecia e dell’Italia, alla quale ultima contende con successo il controllo della Libia, riportando indietro il cursore della Storia, con uno strappo gaglioffo, a prima del 1911. Senza contare le eresie di Orban sul diritto di famiglia e sul rischio (ohibò, oddio!) che col dilagare dell’immigrazione clandestina – un’arca di Noè su cui sale, sulla spinta di una cospicua forza cinetica, ogni genere di animali – nel contaminare l’humus culturale della propria gente finisca poi per disintegrare anche lo Stato, una foglia alla volta, la biografia del carciofo: non risulta che il partito americano ne abbia sofferto più di tanto, ed é questa, dunque, la dimostrazione che si può essere obtorto collo dentro il sistema delle relazioni internazionali orchestrato da Washington senza che – come insegnava Craxi o come si può ricavare dal patriottismo involontario della Cinquetti – insorga l’obbligo di mettersi a squadra.

Si dà il caso che l’atlantismo leghi tutto l’arco costituzionale, che si estende dall’ala sinistra rappresentata dal clan dei DEM alla punta dell’ala destra tenuta dalla Meloni (in effetti, per democrazia s’intende un banale gioco di contrappesi fra Governo e Opposizione, purché siano entrambi posticci e lascino fare al manovratore che in plancia tiene saldamente nelle mani il timone della Finanza), ma a differenza dei DEM che sono nati così -. una malformazione genetica – col vizio del conformismo, la pulzella della Garbatella ha studiato per convertirvisi facendosi scritturare dall”Aspen Institute’, un covo di conservatori, capitanati da Rockefeller, che se la batte, quanto a durezza, coi peggiori bar di Caracas, e imparando a parlare la lingua inglese molto meglio di come lo parlano i professori di Harward: a mio modesto giudizio (ma sono probabilmente il solo a pensarlo), é la peggiore forma di prostituzione che si possa concepire nei riguardi di una cultura diversa da quella in cui si é stati concepiti, perché implica, come in questo caso, l’introiezione, insieme alle virgole e ai punti e virgola, della cultura ‘altra’, imposta con le buone e con le cattive dai cani da guardia del ‘politically correct’, da chi sta sopra a quelli che stanno sotto.

Ora, può ben darsi che la signora Meloni abbia fatto una finta sul ring e che in realtà l’americanismo del quale fa sfoggio in ogni menoma occasione abbia una funzione tattica, perché altrimenti le sarebbero preclusi tutti gli accessi, anche quelli secondari, a palazzo Chigi. Mussolini – che le piaccia, o no, l’accostamento en passant – detestava i massoni ma non disdegnò qualche strusciatina con Raoul Palermi alla vigilia della marcia su Roma, e, giunto al potere, si rimangiò tutto ciò che negativo aveva detto dello Stato ferroviere e dello Stato postino, serrando imperiosamente i freni – sibili e fischi – sull’impresa privata. In politica, il bluff, nelle giuste proporzioni, fa parte del gioco quasi quanto l’abilità nel cogliere i verdetti pronunciati dall’opinione pubblica più avveduta, come quello che schiacciarsi su Zelensky e signora, la coppia ideale di ‘Vogue’, non é la scelta migliore, e che troppa NATO fa male: tranne – e qui mi sorge un sospetto – che la Meloni non voglia suscitare l’ira funesta di quell’americanuzzo, tale Alan Friedman, che imperversa, da anni, su tutte le reti, come se fosse normale per un Bombolo, o uno che gli assomigli, rivolgersi agli americani, in America, costantemente col dito alzato e snocciolando fregnacce: tale e quale.

 

Immagine: https://www.goodfon.com/

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