Vita e morte nella quarantena dell’essere

 

Vita e morte nella quarantena dell’essere

La quarantena continua. Sono passate settimane, giorni di cui quasi non si riesce più a tenere il conto, nei quali le nostre vite sono state scosse da improvviso virus che ha piegato il nostro modo di vivere. Ciò che sta succedendo ora è sotto gli occhi di tutti ed è innegabile l’evidenza di uno stravolgimento vero e proprio di tutti i paradigmi sociali, politici, economici e religiosi che fino a poche settimane fa erano dati per scontati e certamente compiuti. No, non tornerà tutto come prima, come qualcuno superficialmente ripete dai balconi o nei post sui social network, ed anzi è proprio questo il punto: niente deve tornare come prima, perché esattamente in quel “prima” sta la causa di quanto stiamo vivendo ora.

Questo virus ci ha fatti tornare con i piedi per terra, nella oggettiva e concreta realtà della caducità della vita umana, della fragilità del nostro vivere davanti all’immensità dell’essere e dell’eternità. Un movimento dialettico di ritorno di cui, a dire il vero, dovremmo essere grati, perché la frenesia del mondo postmoderno ha raggiunto livelli ritenuti inarrestabili, innescando il definitivo collasso dell’identità umana e il declino inesorabile della civiltà di questo mondo, mentre il virus che sta devastando popoli e nazioni ci obbliga tassativamente a riconsiderare il grande feticcio del XXI secolo: la morte.

Esorcizzata fino all’inverosimile dalla società del consumo e dall’impero del soldo, la morte è vista come il nemico da sconfiggere a tutti i costi ma solo nell’esteriorità dell’apparire, in quanto l’interiorità dello spirito è stata negata e combattuta aspramente fino a convincere le masse che siamo solo materia prezzabile e niente di più; nell’altra faccia della medaglia, invece, è l’idolo adulato a cui viene reso il culto dell’aborto, dell’eutanasia, della guerra, ma anche del suicidio indotto per la disperazione dilagante voluta con le crisi economiche e il pilotaggio ben preciso dei mass media a favore di tutto ciò che è mortifero e oscuro. È lei, ancora una volta nello scorrere della Storia, a ripresentarsi come primo giudice spartiacque della vita di ogni persona, che prima o dopo dovrà confrontarcisi e rendere il valore della propria esistenza. Il dramma vero, la tragedia letteralmente parlando, è che davanti al solenne trapasso, l’uomo contemporaneo crede di poter fuggire, impaurito, perché la sua coscienza grida improvvisamente l’orrore di una vita sprecato e senza senso, volta solo all’egolatria narcisistica e all’ignoranza colpevole dello spirito.

Quale è il valore di questa “riscoperta”? Ci è data la possibilità di riscoprire il valore vero ed autentico della vita. Non una semplice opportunità, bensì forse una delle ultime, perché al punto in cui siamo arrivati nel compiere il male sulla terra non lascia spazio a grandi alternative. La quarantena è difficile perché l’uomo non sa stare con se stesso perché ha paura di sé, non si conosce o ri-conosce, è terrorizzato dal doversi assumere la responsabilità del dare un senso e uno scopo alla propria esistenza, ed ammettere di doverla trascendere e trascendere se stesso. La quarantena, invece, può essere se lo vogliamo l’occasione imperdibile per compiere una svolta, gettarci nella dimensione autentica del nostro essere e compiere un cambiamento radicale in tutta l’umanità, in tutto questo mondo che sta collassando ed ha bisogno di essere salvato.

Nessuno si salva da solo. Questa opera siamo chiamata a farla a partire da noi stessi, adesso che ne abbiamo la innegabile possibilità, perché quando poi torneremo alla vita sociale i valori siano diversi, rifiorisca il vero amore per il prossimo, torni la cura del Bene comune, risplendano quegli ideali che ci hanno fatti crescere e progredire, rinunciando una volta per tutte a morire dell’unica morte della quale dobbiamo temere: quella dell’eternità.

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