Confusione tra “Flat Tax” e “Cuneo Fiscale”
Nel continuo duello verbale tra la Lega e 5 Stelle (duello che poi si tramuta in accordo nei voti parlamentari…) recentemente è divampata la polemica sulla riduzione dei carichi fiscali, soprattutto ai redditi dei lavoratori dipendenti. Salvini sostiene, come era indicato nel suo programma di governo, la teoria della cosiddetta “flat tax” che consiste nello stabilire una o due aliquote fisse, nettamente inferiori alle attuali, al fine di ottenere due obiettivi: la riduzione del carico fiscale individuale alla fonte, che consentirebbe l’utilizzo del risparmio così ottenuto per spese di consumo e d’investimento le quali a loro volta procurano un altro tipo d’imposte, quelle sui consumi; l’allargamento della base imponibile, per rendere conveniente a tutti l’emersione dei redditi nascosti vista la bassa tassazione, che anch’esso provocherebbe un maggior introito. Il totale delle minori entrate da un lato e delle maggiori dall’altro dovrebbe essere a somma zero, o comunque non avere un costo assai elevato per il bilancio statale.
La proposta di Di Maio è invece quella di ridurre il cosiddetto “cuneo fiscale”, ossia la differenza che si riscontra tra quanto incassato direttamente dal lavoratore dipendente e quanto in realtà costa al datore di lavoro: egli ha fatto un esempio di chi percepisce duemila euro mentre il datore di lavoro ne paga cinquemila.
La tesi di Di Maio è errata per due ragioni principali. Innanzitutto egli non tiene conto che nella spesa lorda del datore di lavoro vi sono anche gli oneri indiretti, tipo la quota parte del trattamento di fine rapporto che deve essere accantonata (versandolo all’INPS, quando i dipendenti superano un certo numero). Ma in realtà quella differenza è costituita da tre voci: una è la contribuzione a carico del datore di lavoro da versare all’INPS e all’INAIL, che assomma a circa il 25-26% della retribuzione; l’altra è l’aliquota dell’IRAP che serve a pagare essenzialmente la sanità e che viene calcolata sul numero dei dipendenti; il resto è costituita dall’IRPEF che il datore di lavoro deve trattenere sulla retribuzione quale sostituto d’imposta per versarla all’Agenzia delle Entrate e la parte di contributo a carico dei dipendenti (circa il 7%).
Quindi, quando si propone il taglio del cuneo fiscale al posto della flat-tax non si capisce se s’intende alleggerire i datori di lavoro dell’onere delle contribuzioni INPS, INAIL, IRAP o ridurre il prelievo fiscale.
Se si tratta della prima ipotesi la massa dei lavoratori dipendenti non ne avrebbe alcun vantaggio. Lo avrebbero solo i datori di lavoro, cosa che potrebbe anche essere considerata valida al fine di agevolare le imprese riducendo il costo del lavoro (bisognerebbe poi vedere chi copre i mancati introiti dell’INPS e chi copre le spese della sanità, già in grave deficit) ma che non sgrava in alcun modo il carico fiscale sulle retribuzioni.
Se invece s’intende la riduzione del prelievo IRPEF sulla retribuzione, allora non si fa altro che seguire la proposta di Salvini, la quale mira proprio a questo. Con la differenza che mentre la flat-tax si applicherebbe a tutti i cittadini qualsiasi sia la loro attività lavorativa o reddito derivante dalla pensione, con la proposta Di Maio – se così intesa – si privilegerebbero solo i lavoratori dipendenti, soggetti al “cuneo fiscale”, ossia alla differenza tra la loro retribuzione netta e quella lorda nominale.
Ci domandiamo però perché la stampa, anche quella che mostra di fare documentazione oltre che informazione, non metta in luce queste differenze non di poco conto. Al riguardo, potremmo anche aggiungere che ci sarebbe un’altra proposta interessante: quella di esonerare il datore di lavoro dal fatto di fungere – gratuitamente! – da esattore, addirittura mensile, per conto dello Stato e responsabilizzare i percipienti che dovrebbero provvedere ad accantonare la parte relativa all’imposta pur potendo utilizzarla quando hanno grandi necessità. Fino alla riforma Vanoni dell’IRPEF, questa era la regola in Italia.
Comunque, sarà difficile trovare una soluzione se i punti di partenza, le prospettive e le conoscenze della realtà sono così diverse tra gli alleati di questo governo.