I guadagni del capitalismo finanziario, non pagando tasse e licenziando

 

I guadagni del capitalismo finanziario, non pagando tasse e licenziando

Due recenti notizie economiche ci hanno dato un’immagine esatta di quello che è oggi il capitalismo finanziario o – come lo chiamano alcuni economisti – il “ceo capitalism”, ossia il capitalismo dei consiglieri di amministrazione che non sono fondatori o proprietari delle aziende ma le sfruttano solo al fine di conseguire sempre maggiori utili. I “ceo” sono, in termini inglesi, i “chief executive officer”, i funzionari capi esecutivi – per dirlo in italiano – gli amministratori delegati i quali passano da un’impresa ad un’altra, percependo lauti stipendi e ancor più consistenti liquidazioni, senza alcun legame morale o storico con le aziende che temporaneamente amministrano.

 Il primo caso in questione è quello della ex-FIAT italiana, ora diventata di fatto francese a seguito di un’alleanza con la Peugeot che in realtà è una cessione. Ebbene, la stampa c’informa che l’Agenzia delle Entrate ha contestato alla FCA (nuova denominazione della FIAT dopo l’acquisizione dell’americana Chrysler) di aver sottovalutato nelle sue dichiarazioni reddituali per 5 miliardi e cento milioni di euro proprio il valore della Chrysler acquisita, il che ha comportato il mancato versamento al Fisco di ben 1 miliardo e 300 milioni di euro a titolo di imposta sugli incrementi di valore. Ovviamente la FCA contesta questo fatto, fa ricorso e probabilmente si arriverà ad un compromesso sulla cifra da pagare.

Facciamo però presente che quell’importo di imposte non versare corrisponde a quello che circa 100.000 lavoratori o pensionati italiani pagano ogni anno come imposta sulle loro retribuzioni, oppure alla metà dell’importo che il governo ha previsto di stanziare per ridurre il cosiddetto “cuneo fiscale” che è la differenza tra quanto percepisce realmente il lavoratore dipendente e quanto paga il datore di lavoro quale sostituto d’imposta e contributivo.

Inutile aggiungere che l’Agenzia delle Entrate nulla ha percepito a titolo d’imposta sul congruo – e non del tutto noto – importo corrisposto ai “ceo” della FCA per questa operazione: e questo perché la loro residenza fiscale è collocata in qualche “paradiso fiscale” europeo tollerato da questa sovrastruttura burocratica e finanziaria che si chiama Unione Europea la quale fa le pulci al bilancio italiano e impone tagli alla spesa pubblica ma non si occupa di quei Paesi membri, quali l’Olanda e il Lussemburgo, che ospitano capitali (non sempre legali) in fuga dai loro Paesi di produzione e dal fisco.

 L’altra questione su cui vogliamo soffermarci è quella dell’Unicredit, che è il primo, o il secondo, sistema bancario italiano che però ha una proiezione multinazionale, e che è guidato – tanto per cambiare – da un “ceo” francese, M. Jean Pierre Mustier. Ebbene costui una settimana fa, presentando (a Londra!) il programma finanziario e operativo dell’Istituto da lui guidato, ha affermato che chiuderà in Italia decine di filiali e ridurrà il personale dipendente di ben 5.500 unità. L’obiettivo è quello di distribuire 8 miliardi di euro agli azionisti: cifra che corrisponde alla retribuzione di circa 100.000 dipendenti….

Ora, è bene tener presente che negli ultimi anni tra crisi reali di banche fallite e procedure di riduzione di personale, sono già stati espulsi dal sistema creditizio ben 38.000 dipendenti, cifra quindi destinata a salire. E anche qui dovremmo fare una riflessione. Nei decenni scorsi sono stati aperte in tutte le città italiane, ad ogni angolo di strada, decine di agenzie bancarie alla caccia dei risparmi delle famiglie italiane: poi, per effetto della crisi del 2008 e dell’informatica, le hanno progressivamente chiuse (con conseguente esubero di personale) e i poveri depositanti debbono andare alla ricerca dello sportello della propria banca oppure prelevare denaro con il bancomat dallo sportello più vicino pagando una esosa commissione, che assume aspetti usurai (due euro per un prelievo di 100 euro per poche ore di anticipo da una banca ad un’altra corrispondono ad un tasso annuale dell’800%!).

Quindi, questa operazione del ceo M. Mustier provocherà disoccupazione a migliaia di persone, disagi ai correntisti, maggiori spese per commissioni: ma gli azionisti guadagneranno, come ha indicato in quella conferenza a Londra, dal 20% al 40% sul capitale investito che arriverà al 50% nel 2023!

 In tutte queste vicende spiccano con evidenza tre aspetti:

  • la scarsa attenzione e rilevanza data dai media, stampa e televisione, a queste vicende che vanno trovate nelle pagine interne e nei trafiletti, essendo quelle multinazionali loro inserzionisti pubblicitari (altro indiretto condizionamento sulla libertà di informazione);
  • l’assenza totale del Governo o di altre autorità pubbliche (pensiamo ad esempio alla Banca d’Italia per quanto riguarda la chiusura delle agenzie) su questioni che interessano la tutela del credito e del risparmio e l’equità fiscale, forse perché paralizzati dalle complesse e intricate normative europee;
  • la noncuranza nell’attuazione delle norme contrattuali e non, anche europee, che stabiliscono la consultazione preventiva con le rappresentanze dei lavoratori sui piani industriali, sulle prospettive dell’occupazione, sullo sviluppo aziendale. Da questo punto di vista, una forte responsabilità ce l’hanno anche i sindacati filoeuropeisti che non hanno l’intenzione di opporsi vigorosamente a queste operazioni.

 Insomma, ancora una volta si constata che le multinazionali, anche quando appaiono formalmente italiane, agiscono come se fossero “legis solutus”, prive di qualsiasi obbligo produttivo, sociale, fiscale.

Va quindi data la massima attenzione e pubblicità a queste problematiche per farle recepire consapevolmente e attivamente, soprattutto dai giovani.

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