Le associazioni imprenditoriali e bancarie prevedono la crisi economica

 

Le associazioni imprenditoriali e bancarie prevedono la crisi economica

La cosiddetta “fase 2” deliberata dal presidente del consiglio Conte con i suoi soliti “decreti presidenziali”, veri e propri atti anticostituzionali e abusi d’ufficio, non è stata avviata, come è ormai chiaro leggendo e ascoltando tutte le dichiarazioni di politici, commentatori, sociologi ed economisti.

La tecnocrazia dei virologi e degli “esperti” ha ancora una volta bloccato l’Italia per altre settimane in base non a ragioni scientifiche ma solo perché non sanno cos’altro fare se non limitare libera circolazione e libera attività lavorativa.

Però tutti gli ambienti professionali dell’imprenditoria non riescono più a nascondere la verità e nell’ultima settimana sono stati molti gli allarmi e le critiche al governo su questa questione.

Ha cominciato il neo-eletto presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, già presidente dell’importante Associazione lombarda degli industriali, che ha detto in un’intervista: “E’ il momento di una grande coesione nazionale e della lealtà tra tutte le parti in causa, però serve una maggiore concretezza, meno slogan, meno frasi fatte. La liquidità alle imprese deve arrivare velocemente e bisogna anche progettare la “fase 3”, quella dei grandi investimenti sul territorio di cui nessuno parla.” Ha poi aggiunto l’osservazione secondo cui non si può contrapporre la salute al lavoro. Egli infine manda un messaggio al governo e a tutte le forze politiche e sociali: “in questo momento molto tragico e molto drammatico si apre una grande opportunità, quella di cambiare l’Italia: abbiamo una finestra importantissima per questo Paese che viene fuori da due anni di stagnazione e da dieci anni di crisi finanziaria, dal 2008 al 2018. C’è bisogno di grande leale collaborazione tra tutte le parti che sono in causa: politica, mondo delle rappresentanze sindacali e datoriali.”

A lui ha fatto seguito il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, che commentando le disposizioni deliberate sulla “Fase 2” ha detto: “Questa Fase 2 rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro. In queste condizioni diventa vitale il sostegno finanziario alle aziende con indennizzi a fondo perduto che fino adesso non sono ancora stati decisi. Bisogna invece agire subito e in sicurezza per evitare il collasso economico di migliaia d’imprese”.

A questo proposito, per quanto riguarda in particolare Roma (città che com’è noto vive molto di turismo in tutte le sue articolazioni) il dirigente della Confederazione Nazionale dell’Artigianato cittadina, Stefano Di Niola, ha dichiarato che quasi 27.000 botteghe di artigiani e commercianti non riapriranno. Andando nello specifico, chiuderà l’attività il 40% del commercio al dettaglio, il 30% dei ristoranti e dei bar, il 30% degli alberghi, il 40% delle gelaterie, il 30% dei parrucchieri, il 15% dei fornai: si registra un calo del fatturato dell’85% per gli alberghi, dell’80% per gelaterie, ristoranti, bar, parrucchieri.

Infine, le banche. Abbiamo già espresso in precedenti commenti l’impostazione data dal governo di far concedere dalle banche prestiti fino a 25.000 alle piccole imprese con un fatturato fino a 100.000 euro annui, e altri più consistenti per le imprese con un fatturato maggiore: l’intervento dello Stato si sarebbe realizzato con la garanzie sulle insolvenze tramite un fondo costituito appositamente, e ne avevamo esposto le criticità.

Ebbene, il direttore generale dell’Associazione Bancaria Italiana, Giovanni Sabatini e il dirigente della stessa associazione Fabrizio Balassone, hanno pochi giorni fa esposto in audizioni parlamentari le loro perplessità e preoccupazioni chiedendo in particolare una tutela sotto il profilo penale nel caso che le imprese beneficiarie del finanziamento finissero in procedura fallimentare. Ciò in quanto la garanzia statale non è sufficiente per la mole di prestiti concedibili (450 miliardi di euro) e quindi una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile e non tutti i debiti accesi saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria.

Insomma, da questa sintetica panoramica si comprende come la situazione dei prossimi mesi (se non anni) dell’Italia sarà assai grave sotto il profilo economico, il che comporterà anche una massiccia disoccupazione e un incremento della povertà.

L’irresponsabile chiusura totale delle attività su tutto il territorio nazionale disposta autoritariamente dal governo, senza alcuna consultazione con il Parlamento e le Parti Sociali che ha impedito di recepire le loro documentate osservazioni soprattutto per la possibilità di attuare liberalizzazioni in relazione alla diversa situazione socio-sanitaria dei territori (il Centro-Sud, ad esempio, avrebbe potuto ripartire dando magari uno stimolo al resto d’Italia) ci sta portando in una crisi che potrebbe anche essere irreversibile.

Il che potrebbe avallare l’ipotesi formulata da qualche esponente dell’opposizione politica secondo cui il blocco dell’economia nazionale sarebbe funzionale per tre finalità occulte e convergenti: impedire la concorrenza italiana alle imprese degli altri Stati Europei, tagliandoci così posizioni nei mercati internazionali;  costringerci a chiedere prestiti ai fondi europei (in particolare il MES) incrementando il nostro debito e la spesa per interessi; acquisire a prezzi di svendita le nostre migliori attività industriali e commerciali, strangolate dalle crisi.

Ancora una volta, l’Italia sta perdendo la sua sovranità per colpa dei suoi traditori interni!

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