Le multinazionali del consumo danneggiano lavoratori e piccole imprese
In genere, quando si parla di multinazionali si fa riferimento alle aziende petrolifere e minerarie, a quelle produttrici dei grandi aerei intercontinentali, a banche e gruppi finanziari ma non si pensa, in genere, ad altre multinazionali che invece intervengono nella vita quotidiana delle persone.
Ci riferiamo in particolare a quelle di cui poco si conosce, eppure sono attivissime sul mercato: ad esempio, Amazon e DHL.
Amazon, società americana, è nata per la vendita di libri a domicilio: poi si è allargata a vendere un po’ di tutto, dai telefoni cellulari all’arredamento domestico, dai vestiti ai gioielli. Recentemente ha acquisito la “Metro Goldwin Mayer” (quella del leone che ruggisce) e quindi si occuperà anche della vendita di spettacoli.
La DHL, che anch’essa è nata negli USA e poi è stata recentemente acquistata dalla “Deutsche Post”, si occupa dei trasporti di pacchi a domicilio usando tutti i mezzi possibili: autocarri, treni, aerei.
La loro presenza è ormai fortemente radicata anche in Italia e lo constatiamo vedendo i loro automezzi, oltre che la insistente pubblicità, in giro per la strada.
Quali sono i problemi che esse comportano per l’economia nazionale? Sono diversi, e riguardano la concorrenza, la situazione dei dipendenti, il trattamento fiscale, il condizionamento mentale. Il più grave, per le conseguenze indirette che provoca, è quello della concorrenza. Utilizzando gli ordinativi a mezzo internet e garantendo la consegna a domicilio, di fatto si annulla l’esistenza del piccolo e medio commercio. Anziché perder tempo a cercare il negozio adatto, a farsi mostrare la merce, a discutere sul prezzo il consumatore ordina da casa sua, al computer, il prodotto e dopo due-tre giorni lo riceve. Per di più a prezzo scontato rispetto a quello del piccolo commerciante vicino casa, perché “Amazon” non solo può permettersi gli acquisti di enormi quantità ma anche perché risparmia su altri costi, tra cui quello del personale e quello fiscale.
In tal modo il piccolo commercio tende a scomparire, “ucciso” da questo sistema, così come in parte è già successo con i supermercati alimentari nei confronti dei droghieri, panettieri, fruttivendoli di quartiere.
Parlavamo del personale. Ebbene, sono note le condizioni di stress in cui operano i dipendenti negli enormi magazzini di deposito e smistamento dei prodotti, dove i tempi di lavoro sono governati da “algoritmi” elettronici e da robot. Dopo molti anni, solo recentemente i sindacati sono riusciti a far applicare i contratti collettivi che, peraltro, non è uno solo perché ne vengono adottati diversi: quelli delle telecomunicazioni, del commercio e della logistica. Anche la presenza del sindacato è mal tollerata e solo recentemente in Italia si sono potute svolgere per la prima volta le elezioni della RSU in uno stabilimento nella provincia di Piacenza, dove peraltro si è classificata seconda l’UGL Ma questo avviene n Italia, ma non negli USA dove in Alabama è stata impedita la presenza del sindacato in azienda!
Da tener presente che – come è ormai abitudine nei grandi complessi aziendali, a maggior ragione in queste multinazionali – vi sono diversi tipi di dipendenti: quelli a tempo indeterminato (pochi), a termine, in somministrazione (il cosiddetto “lavoro in affitto”) e in appalto a società esterne. È quindi difficile organizzare e motivare tutti coloro che lavorano per la stessa azienda.
La consegna dei pacchi – che in realtà è la ragion d’essere di “Amazon”, perché senza una rete di consegne tempestive la sua attività è inutile – è affidata ad altre ditte con altri contratti, anche se il personale addetto lavora con continuità ed esclusivamente per Amazon.
Per quanto concerne la “DHL”, proprio pochi giorni fa è stata messa sotto accusa dalla Guardia di Finanza di Milano perché ha organizzato un sistema di false fatture e finte cooperative (ben 23!) che assumevano formalmente il personale addetto al trasporto e alle consegne: tutto ciò al fine di pagare di meno i lavoratori occupati con contratti non corrispondenti all’attività svolta ed evadere i contributi e le imposte mediante giri attraverso le false cooperative (su questa questione, occorrerà una volta per tutte decidere di abolire la cooperazione visto che, a differenza delle sue origini, è divenuto un sistema per abbassare la retribuzione ai lavoratori, non garantirne la stabilità, evadere tasse e contributi: cosa c’è ancora di cooperativo in sistemi come quello della “COOP”, ad esempio?).
Riguardo al trattamento fiscale di queste multinazionali, ricordiamo che con sistemi vari di stanziamento legale in Paesi con tassazione ridotta, con sistemi di elusione e di passaggio dei costi da una società ad un’altra, essi sono certamente mediamente inferiori a quelli pagati dai piccoli imprenditori e anche dai lavoratori dipendenti. “Amazon” ha sede legale in Lussemburgo e DHL in Usa, anche se la proprietà è ormai tedesca.
Vi è poi un’altra considerazione da fare per dimostrare quanto siano estranee al sistema produttivo nazionale queste imprese: esse sono amministrate da persone che si chiamano “country manager”, ossia dirigenti di quel paese, come se fossero una semplice filiale produttiva. Facciamo dei nomi: per “Amazon” è tale Mariangela Marseglia, per “DHL” Antonio Lombardo: sono italiani, certo, ma sono solo gli esecutori di un programma produttivo elaborato in sedi extranazionali.
Un ultimo punto va trattato, quello del condizionamento mentale. Se la maggior parte della popolazione si abitua a servirsi di questi apparati, lentamente si adegua alla loro mentalità che è quella innanzitutto dell’omogeneità del prodotto (per guadagnare di più, occorre che tutti comprino la stessa cosa senza distinzioni di qualità e gusto), poi quella di essere al servizio dei “server” di internet senza poter socializzare con gli esercenti, infine di non poter scegliere cose, in particolare oggetti di cultura quali libri e musica, che siano non conformi al politicamente corretto.
Dovremmo anche parlare dei “riders”, che trasportano cibo a domicilio, sviluppatisi con le chiusure del COVID: anch’essi dipendono da multinazionali e anche questa attività tende da un lato a sfruttare questi lavoratori e dall’altro a indurre la popolazione a modificare le sue abitudini del pasto in compagnia nei locali.
Insomma, tutte queste multinazionali del consumo sono più pericolose di quelle industriali o delle materie prime, perché incidono direttamente sulla personalità e non tengono conto delle specificità nazionali.