APPROFONDIMENTI: Il sistema neoliberista non aveva previsto la rivolta delle masse

 

APPROFONDIMENTI: Il sistema neoliberista non aveva previsto la rivolta delle masse

Le rivolte avvenute contro il sistema di potere creato dai fantocci della elite finanziaria, di cui il francese Emmanuel Macron è un calzante esempio, portano alla ribalta la necessità di comprendere quale sia la peculiarità delle oligarchie globaliste dominanti.  Indagare a fondo su quale sia il potere a cui queste fanno riferimento e come questo si eserciti, attraverso i suoi legami con le elite governanti, nelle società occidentali porta inevitabilmente ad individuare nel Grande Capitale Finanziario il fattore principale al vertice del sistema capitalista e neoliberista vigente.

Il grande capitale finanziario, da cui dipendono sempre più le sorti del mondo moderno, può essere definito un fattore perverso del sistema attuale, considerando che questo piomba sempre dove esiste la possibilità di procurarsi profitti, indipendentemente dal contesto politico e con la finalità di sfruttamento delle risorse materiali ed umane, senza alcun riguardo per il rispetto dei diritti sociali delle popolazioni, oltre alla compatibilità con l’ambiente.

Questo pertanto può essere una delle cause della perdita di rotta che soffriamo in Europa e non sarebbe azzardato paragonare il Grande Capitale Finanziario (GCF) ad una bestia feroce ed insaziabile che mai è appagata del sangue delle sue vittime.

Come allegoria del GCF, potrebbe essere calzante quella della “Lupa famelica” descritta ed immaginata dal sommo poeta, Dante Alighieri, all’ingresso dell’Inferno, “una lupa che sembrava gonfia di tutti i desideri e che aveva fatto vivere tanta gente nella miseria”. (“Maladetta sie tu, antica lupa, / che più di tutte l’altre bestie hai preda / per la tua fame sanza fine cupa”).

Si sa che la lupa viene univocamente interpretata da Dante come allegoria dell’avarizia-cupidigia, la più grave delle tre disposizioni peccaminose che impediscono a Dante la salita del colle (la lonza è la lussuria, il leone è la superbia); già san Paolo definiva l’avarizia “radix omnium malorum” (radice di tutti i mali, I Tim., VI, 10) ed è chiaro che l’avarizia rappresenta per Dante la causa prima del disordine morale e politico in cui versava l’Italia del primo Trecento, simboleggiato anche dalla selva oscura.

Altrettanto si potrebbe affermare ai tempi di oggi che la cupidigia e l’avarizia dei detentori del grande capitale finanziario (la Lupa) hanno ridotto i popoli nella miseria e nello sfruttamento. Dante già allora aveva saputo prevedere tutta l’involuzione dei sistemi sociali del suo tempo.

Se dobbiamo descrivere in cosa consista il Grande Capitale Finanziario (GCF), potremmo innanzi tutto affermare che il GCF consta della simbiosi tra capitale prevalentemente bancario (e comunque in forma di denaro) e capitale produttivo o capitale direttamente impegnato nella produzione di plusvalore attraverso la gestione e direzione dei processi produttivi. Fatto questo che dà luogo ad una intima alleanza di fondo fra le due istituzioni, banche e società multinazionali. I loro interessi convergono e consolidano quindi il loro connubio.

In un articolo pubblicato non molto tempo addietro in una pagina web di un sito di ricerca australiano (The Conversation), sono stati messi in evidenza alcune scoperte importanti circa la portata della dominazione globale del capitale finanziario.

Sulla base di una inchiesta realizzata alcuni anni prima, l’articolo di due ricercatori, David Peetz e Georgina Murray, accademici dell’Università di Griffith nel Queensland, Australia, sintetizzava la sua analisi sul controllo esercitato dal GCF sulle 299 maggiori corporations (multinazionali), le più grandi del mondo.

Nonostante che l’indagine abbia già alcuni anni, gli autori segnalano che, “da allora abbiamo scoperto che la tendenza è quella di una crescente concentrazione nei vari paesi negli ultimi decenni”.

Nell’articolo viene screditato il mito secondo cui le grandi corporations sarebbero di proprietà di una grande quantità di azionisti – un’illusione promossa di continuo nei grandi media per dare forza all’argomentazione secondo cui i lavoratori dovrebbero avere “un interesse” nella Borsa di valori.

“Quando una sola organizzazione di investimenti statunitense la Black Rock, controlla più del 6% delle azioni nelle corporations più grandi del mondo e 30 di questi fondi controllano più della metà di tutte le azioni in queste corporations, questo rappresenta una concentrazione molto alta”. La sola BlackRock gestisce direttamente oltre $5.000 miliardi di capitali, pari a quasi la metà del PIL di tutta l’Eurozona (!).

Lo studio ha scoperto che varie forme di capitale finanziario controllavano la grande maggioranza (68,4%) delle azioni nelle grandi corporations del mondo. Gli individui e le famiglie controllano solo una piccola parte (3,3%)., mentre le società industriali possiedono relativamente poco.

La ricerca è stata condotta su una base di dati compilata dalla Bureau van Dijkche che collega le informazioni di circa 100 fonti, coprendo quasi 63.000 compagnie in tutto il mondo.

Questo significa che soltanto un 1,5% degli azionisti controllavano più della metà delle azioni totale. Oggi questa quota è certamente cresciuta.

Come ha scritto Alberto Micalizi in un suo recente articolo: “Siamo imprigionati all’interno di un quasi-mercato manipolato ed etero-diretto da conglomerate ed istituzioni finanziarie il cui obiettivo di fondo è di appropriarsi di risorse dell’economia reale, attualmente di proprietà degli Stati, delle famiglie e delle imprese”. Vedi: La Matrice che ci imprigiona

Le istituzioni finanziarie esercitano il loro potere “non attraverso la voce”, vale a dire, disponendo dei manager in società, ma “attraverso il ritiro” – la continua minaccia di prelevare fondi dalle azioni dei CMGs “se non ottengono un profitto adeguato.” Usando il loro potere sui mercati finanziari e la pressione che esercitano sui manager per migliorare il “valore per gli azionisti”, il capitale finanziario è in grado di dettare le condizioni.

Il sistema fa capire quale sia la gestione attraverso i mercati finanziari: “Se fai tutto il possibile per massimizzare i profitti – e sia attraverso una maggiore produttività, l’espansione su larga scala o la riduzione dei costi – possiamo vendere la nostra partecipazione finanziaria o, altrimenti, vi sostituiremo come gestori “.

Questa modalità operativa porta ad una conclusione importante che gli autori riescono a disegnare. Dal punto di vista della logica essenziale del sistema, la distinzione tra capitale industriale e capitale finanziario è fuorviante.

“Questo avviene perché, in ultima analisi, il capitale industriale è il capitale finanziario. Se mai c’è stato un tempo in cui il mondo era dominato dalle grandi corporations di proprietà di poche famiglie e individui i cui valori, capricci e preferenze personali definivano il comportamento delle società, quel tempo è tramontato. Il mondo è attualmente dominato da società che seguono la logica del capitale finanziario, la logica del denaro, perché è quello con cui si identificano. La loro logica non è la logica degli individui, ma la logica di una classe, una elite.”

Di conseguenza il sistema neoliberista, imposto con i suoi dogmi di apertura dei mercati, della competitività delle imprese e della omologazione del fattore lavoro, inclusa la privatizzazione dei beni pubblici e liberalizzazione dei servizi, risulta il sistema imposto quale modello di sfruttamento e di stabilità di mercato per consentire la massima profittabilità del GCF (Grande Capitale Finanziario).

Da questo si evince il superamento delle vecchie teorie della divisione in classi fra lavoratori e datori di lavoro, in quanto questi ultimi, quando espressione del ceto medio imprenditoriale o mercantile (piccole e medie aziende locali), sono assoggettati agli stessi vincoli a cui sono sottoposti i lavoratori subordinati in termini di competitività e di sfruttamento che sono peculiari dei comuni lavoratori. Questo spiega la nuova situazione di proletarizzazione del ceto medio che viene omologato ad un modello economico globale.

I dati sul paese di origine delle grandi società e le istituzioni finanziarie che li controllano consentono una lettura interessante e politicamente significativa.

Il maggior numero di CMG, 86 in totale, solo il 29 percento, proviene dagli Stati Uniti. I prossimi quattro paesi sulla lista sono: il Giappone con 48; Gran Bretagna con 23; Francia con 23; Germania con 20. Poi arrivano Corea, Cina, Italia e Australia.

La concentrazione della proprietà nelle principali potenze capitaliste è ancora più pronunciata quando si tratta di società finanziarie. Delle 10 principali società finanziarie che dominano i CMG, 6 hanno origine negli Stati Uniti, 3 in Francia e 1 in Gran Bretagna. Stati Uniti è il paese di origine di 10 delle 21 principali entità finanziarie. Di questo gruppo, 18 hanno azioni in almeno 100 delle 299 più grandi società.

Due istituzioni finanziarie statunitensi si distinguono: la Black Rock e la Capital Group. Entrambi hanno il maggior numero di azioni in un numero significativo di aziende. Nel caso di Black Rock, è il principale azionista del 42 o 13 percento delle sue azioni. Nel 55 percento della sua partecipazione, Black Rock è tra i 5 principali azionisti, come Capital Group con il 45 percento delle sue azioni.

Il significato politico di queste scoperte è che esse confutano le affermazioni fatte praticamente da tutti i gruppi di pseudo-sinistra che la Russia e la Cina siano potenze imperialiste. Non basano queste definizioni su alcuna analisi economica, poiché né le istituzioni cinesi né quelle russe sono tra le principali entità finanziarie che controllano le grandi società.

Nella letteratura contemporanea, almeno nella letteratura vetero marxista, l’imperialismo era inteso come la politica espansionistica del capitale finanziario, che ha un contenuto economico ben definito.

La sinistra odierna si è totalmente prostrata agli interessi del capitale finanziario ed è la strenua sostenitrice del neoliberismo e della necessità di accedere ad un sistema globalizzato, esattamente gli stessi obiettivi del GCF.

Inoltre, si può affermare che, la ricerca di Peetz e Murray, è una conferma sorprendente dell’intera analisi di Lenin sull’Imperialismo.

Molte cose sono cambiate dal secolo scorso, ma la cosa sorprendente è che le tendenze fondamentali dello sviluppo economico hanno seguito il corso delineato a suo tempo da Lenin. Ad esempio, il rivoluzionario russo aveva elencato cinque paesi – Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone – come il nucleo del sistema imperialista. Mentre l’analisi di Peetz e Murray dei dati sui CMG e le più importanti istituzioni finanziarie chiariscono come questi poteri rimangono in cima alla lista.

Lo sviluppo di corporations globali e delle istituzioni finanziarie transnazionali hanno portato a un punto critico la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico: tra lo sviluppo dell’economia globale e il modello di stato nazionale in cui era una volta radicato il sistema di profitto privato.

Questo spiega perché l’elite finanziaria abbia in programma, come suo obiettivo finale, quello di scardinare gli stati nazionali ed arrivare ad un nuovo ordine mondiale gestito da organismi transnazionali.

Tuttavia l’elite finanziaria non aveva previsto la possibile rivolta dei popoli contro il sistema del Grande Capitale Finanziario e delle oligarchie che lo sostengono.

 

 

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